A Mosca è tornato a far freddo. Lo si nota dalle gocce di nevischio sulle controspalline di migliaia di soldati che, come da tradizione, hanno sfilato sulla Piazza Rossa per commemorare il trionfo sovietico contro il nazi-fascismo.
Per i russi il 9 maggio è sinonimo di Vittoria. Quella, rigorosamente con la ‘v’ maiuscola, dell’Armata rossa nella “Grande Guerra Patriottica” contro il nazifascismo. Un’occasione per ricordare al mondo – e agli occidentali – che senza la stoica resistenza sovietica il Führer avrebbe potuto dargli filo da torcere ancora per mesi, forse anni.
Guai a chi abbia qualcosa da dire in contrario. Ad esempio permettendosi di notare come per i polacchi il male hitleriano non sia stato troppo diverso da quello staliniano: dal 2020 il Codice penale russo prevede fino a cinque anni di carcere per “riabilitazione del nazismo” o diffusione generica di “falsità” sul ruolo messianico dell’URSS.
Dopo i festeggiamenti ridimensionati del 2023, quest’anno il cielo della capitale russa è tornato a fare da sfondo ai fumi bianco, blu e rosso della bandiera russa erogati dai jet dell’aeronautica militare di Mosca. Oltre 9.000 militari e 61 mezzi militari – tra cui i missili intercontinentali Yars e i terra-aria S-400 – sono stati passati in rassegna dallo “zar” Vladimir Putin, che appena 24 ore prima ha giurato per il suo quinto mandato (terzo di fila).
Seduta al suo fianco c’era l’élite politico-militare russa, in primis il ministro della Difesa Sergej Shoigu. Presente anche una folta delegazione di dignitari esteri, in maggioranza provenienti dalle repubbliche post-sovietiche (il presidente bielorusso Lukashenko, il kazako Tokayev, il kirghiso Japarov, il tagiko Rahmon, l’uzbeko Mirziyoyev, il turkmeno Berdimuhamedow), ma anche da Cuba, Laos e Guinea-Bissau.
Piuttosto clamorosa l’assenza del premier armeno Nikol Pashinyan, che pure mercoledì sera si trovava nella capitale russa per il vertice dell’Unione economica eurasiatica. Erevan contesta all’alleato russo di averla pilatescamente abbandonata al suo destino nella contesa con l’Azerbaigian sul Nagorno-Karabakh, e da allora il Governo armeno ha bussato sempre più insistentemente alle porte di Stati Uniti e Unione europea.
L’Occidente e la Russia, per l’appunto.
“Oggi vediamo come qualcuno cerca di distorcere la verità sulla Seconda Guerra Mondiale”, ha tuonato Putin dal palco d’onore all’ombra della Cattedrale di San Basilio, “gli stessi abituati a fondare la loro politica essenzialmente coloniale su ipocrisia e menzogna“,
“Il revanscismo, la parodia della storia e il tentativo di giustificare i nazisti di oggi fanno parte di una politica globale delle élites occidentali volta a fomentare nuovi conflitti regionali”. Un chiaro riferimento al supporto occidentale all’Ucraina e la sua leadership post-2014, la cui rimozione (metaforica ma non troppo) è uno dei principali obiettivi della “operazione speciale” lanciata all’alba dello scorso 24 febbraio 2022.
Ed è proprio a causa della “giusta lotta contro il neonazismo” che la Russia, ammette il leader del Cremlino, “sta attraversando un periodo difficile e critico”. Dal quale si può uscire solo tutti insieme. E, sottointeso, uniti contro l’Occidente imperialista.
“La Russia farà di tutto per evitare uno scontro mondiale, ma allo stesso tempo non permetteremo a nessuno di minacciarci. Le nostre forze strategiche sono sempre in allerta“, le parole del 71enne pietroburghese. Che lo va ripetendo da mesi: Mosca non userà armi nucleari “tattiche” né in Ucraina né altrove, ma è pronta a farlo in caso di minaccia “esistenziale” alla propria sicurezza nazionale.
A febbraio, nel suo discorso sullo stato della nazione, Putin aveva già avvertito l’Occidente che l’idea di aiutare Kyiv non più solo con armi ma anche con soldati in carne e ossa avrebbe aumentato il rischio di un conflitto nucleare. A differenza di allora, però, ora la proposta del presidente francese Emmanuel Macron non sembra più solo una boutade.
Le notizie dal fronte sono dopotutto pessime. Nonostante lo sblocco di nuovi aiuti militari per 61 miliardi di dollari da parte di Washington, da settimane le truppe ucraine, a corto di uomini e munizioni, sono in ritirata nelle campagne che circondano Avdiivka, consolidando di fatto il dominio russo del villaggio strategico del Donbass conquistato dai russi tre mesi fa. Situazione che potrebbe peraltro peggiorare esponenzialmente con l’approssimarsi dell’annunciata – e ormai imminente – offensiva di Mosca.
Cosa farà l’Occidente se la resistenza ucraina dovesse crollare è il dilemma amletico che dilania le cancellerie europee e nordamericane. Per Putin la risposta è nella storia: basterebbe ricordare, a suo avviso, cosa è accaduto ai leader europei che hanno tentato di invadere la Russia, come lo stesso Hitler o Napoleone.
Con una promessa: “Stavolta le conseguenze per gli aggressori saranno ben più tragiche”.