La Cina è vicina – ma quanto?
Bisogna mutuare il titolo di un vecchio film di Marco Bellocchio per riassumere il sentiment prevalente tra analisti e addetti ai lavori che monitorano gli sviluppi della guerra in Ucraina.
A fronte di un Occidente riscopertosi ineditamente compatto nel far arrivare a Kyiv tutto (o quasi) l’aiuto militare necessario, negli ultimi 13 mesi di conflitto Mosca ha infatti dovuto praticamente fare tutto da sé – se si esclude il supporto logistico bielorusso e la fornitura di droni-kamikaze di fabbricazione iraniana. Le cose però potrebbero presto cambiare, come dimostra l’annunciata visita del presidente cinese Xi Jinping a Mosca all’inizio della prossima settimana.
Il leader di Pechino, recentemente riconfermato in patria per un terzo mandato, è arrivato in mattinata nella capitale russa lunedì, dove nel primo pomeriggio incontrerà l’omologo russo – secondo quanto anticipato dal portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov. Martedì ci sarà invece spazio per i colloqui ufficiali e la firma solenne di alcuni accordi bilaterali, alla vigilia della ripartenza conclusiva di mercoledì.
Si tratta del terzo incontro bilaterale in un anno tra i due alleati. L’ultimo incontro tra di loro si è tenuto a settembre a Samarcanda, in Uzbekistan, a margine del vertice dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai. In precedenza, Putin aveva incontrato Xi all’inizio del febbraio 2022, a poche ore dalla cerimonia inaugurale dei Giochi olimpici invernali di Pechino – e meno di tre settimane prima dell’invasione dell’Ucraina.

La missione del leader di Pechino non poteva peraltro arrivare in un momento più critico. Mentre la Corte penale internazionale emette uno storico mandato d’arresto per Putin e per la responsabile del Cremlino per i diritti dell’infanzia, Maria Lvova-Belova, i media statunitensi riportano che alcune compagnie cinesi – tra cui una direttamente collegata al Governo di Pechino – starebbero fornendo fucili d’assalto e altre attrezzature militari alla Russia.
Nello specifico, le spedizioni sarebbero partite dalla Cina tra giugno e dicembre del 2022 e vedrebbero tra i mittenti anche la China North Industries Group Corporation Limited (Norinco) – un gigante dell’industria militare controllato dal Partito Comunista Cinese. Il destinatario sarebbe la compagnia russa Tekhkrim, tra i cui clienti figurano anche le truppe di Mosca attualmente impegnate in Ucraina.
Indiscrezioni che sembrano smentire quanto sostenuto dal ministro degli Esteri cinese Qin Gang appena una settimana fa. “Pechino non ha fornito armi ad alcuna delle due parti del conflitto ucraino”, aveva perentoriamente risposto Qin alla domanda di un giornalista, sullo sfondo dei timori statunitensi che Pechino stesse per fornire armi e munizioni all’alleato russo.
La possibile fornitura di aiuti letali da parte di Pechino era stata paventata dalla vicepresidente USA Kamala Harris, dal segretario di Stato Antony Blinken e dal capo della CIA Bill Burns. E tutti e tre avevano lasciato intendere che la presa di posizione cinese avrebbe comportato “gravi conseguenze” per il Dragone. Non solo sanzioni contro Pechino, ma forse anche la fornitura dei tanto richiesti jet militari occidentali – F-16 ed Eurofighter Typhoon – all’esercito ucraino per contrastare la superiorità aerea di Mosca. Anche se, a onor del vero, lo stesso Burns aveva ammesso che l’intelligence di Washington non aveva ancora visto “prove di spedizioni effettive di equipaggiamento letale”.

Il bilaterale tra Xi e Putin servirà a sondare le reali intenzioni della Cina a svolgere un ruolo di mediatore nel conflitto ucraino. Pur non rinnegando l’amicizia “senza limiti” con la Russia, sinora Pechino non ha mai infatti apertamente approvato l’aggressione militare di Putin, limitandosi a richiamare i due belligeranti al “dialogo” e alla “pace” ed accusando gli USA e la NATO di aver incitato il Cremlino ad usare la forza bruta.
L’appello a una soluzione politica della crisi è stata ribadita giovedì dal ministro degli Esteri Qin in una telefonata al suo omologo ucraino Dmytro Kuleba. La Cina, secondo Qin, “ha sempre mantenuto una posizione obiettiva ed equa sulla questione ucraina, si è impegnata a promuovere la pace e a far progredire i negoziati e invita la comunità internazionale a creare le condizioni per i colloqui di pace”.
Sì, ma quali condizioni? Limitandoci all’ambito territoriale, Kyiv chiede il ritiro della Russia da tutte le aree occupate – definizione nella quale ricade, oltre al Donbass, anche la Crimea. La conditio sine qua non di Mosca è invece il riconoscimento della sovranità russa sulle quattro regioni dell’Ucraina orientale unilateralmente annesse lo scorso settembre (Lugansk, Donetsk, Cherson e Zaporizhzhia).
Le posizioni al momento rimangono in uno stallo non dissimile da quello che contraddistingue i combattimenti sul campo a Bakhmut. E all’orizzonte non emerge nemmeno la prospettiva di un cessate il fuoco temporaneo – che secondo il Pentagono riconoscerebbe “di fatto le conquiste territoriali russe”.
La visita di Xi a Mosca potrebbe perciò servire a smuovere il pantano ucraino. Resta da vedere, però, a favore di chi.