La guerra non ha mai abbandonato l’evoluzione umana. Dalla clava dello scimmione preistorico evoluto agli armamenti di distruzione di massa del sofisticato contemporaneo, da sempre la specie eretta si esercita nella distruzione e nell’autodistruzione. Le guerre si fanno per imporre, attraverso l’uso della forza, ideologie e/o interessi. Vi sono componenti psichiche oltre che materiali nelle radici degli eventi bellici. Per questo gli stati, o altri soggetti che fanno le guerre (gruppi armati indipendentisti o terroristici), nelle guerre del nostro tempo utilizzano le tecnologie informatiche, con l’obiettivo di influenzare gli orientamenti e le decisioni delle popolazioni civili e dei combattenti coinvolti o da coinvolgere.
A parte il mezzo utilizzato, non si tratta di novità, visto che le guerre sono da sempre combattute anche con le parole: quelle tecniche strettamente collegate alle operazioni sul campo, le altre finalizzate a informare o ingannare le opinioni pubbliche, interne e internazionali. Propaganda e disinformazione s’insegnano da sempre nelle scuole di guerra: aggressore e aggredito adottano la propria strategia di guerra cognitiva, orientandola al servizio degli obiettivi da raggiungere sul campo di battaglia.
Un libro di Eugenio Iorio, in uscita da Rubbettino – Infoguerra (Rubbettino, 2022, € 22,00) – spiega come tecniche e tecnologie dell’infosfera applicate ai conflitti armati, possano risultare in un vantaggio competitivo strategico. La questione – lo si è visto con evidenza nel dibattito sviluppatosi nei paesi Nato in relazione alle notizie in arrivo da Russia e Ucraina – è in genere incompresa dalle opinioni pubbliche, avviluppate nella rete di disinformazioni propagandistiche dalle quali faticano a districarsi. Nelle 350 pagine del lavoro, l’autore spiega come le guerre dell’informazione diventino un moltiplicatore d’efficacia di quelle che gli stati maggiori conducono sul campo, infliggendo talvolta incalcolabili danni ai nemici. Capita soprattutto quando le si sottovalutano, non assumendo in tempo contromisure anche di prevenzione. Le campagne informative condotte attraverso le strumentazioni elettroniche risultano essere molto più subdole e pervasive di quelle condotte nel passato con strumenti tradizionali (si pensi alla disinformacija di epoca sovietica). Da qui l’utilità di manuali come quello proposto da Iorio, che fanno chiarezza su aspetti quali il caos informativo e le modalità per ridurlo all’ordine, le forme assunte dall’infoguerra, gli agenti d’influenza, le Information, Mimetic e Social Media Operations.
Si comprende come dell’infoguerra – e dell’infoterrorismo, questione che Iorio non accantona – facciano parte operazioni che mirano a trascinare la psiche del profondo di chi le riceve (per lo più l’avversario o il potenziale avversario) ad azioni (impaurire, minacciare, blandire, convincerle alla propria grandezza e invincibilità; ingannare, corrompere sper convenienze vere o presunte, propalare notizie false e tendenziose sui leader) che avvantaggino chi le provoca. Ne fanno parte anche operazioni di protezione in generale e di protezione specifica dalle informazioni in arrivo da spie nemiche, così come il foraggiamento di voci coperte “acquistate” nei mass media o negli apparati amministrativi del paese avverso.
Iorio documenta, con ricca messe di casi di studio, come il potenziale quantitativo e qualitativo di “influenza” a disposizione degli Stati al fine di manipolare le menti, sia cresciuto a dismisura, grazie alle tecnologie informatiche. Tanto più che, in momenti topici dei conflitti, Stati ed altri belligeranti possono anche adottare azioni puntate alla distruzione o all’indebolimento delle tecnologie dell’avversario, con virus e boicottaggi tali da rendere la catena di comunicazione e comando avversaria fragile o addirittura indifesa.
Le tecnologie informatiche sono usate da decenni dai russi per condurre quella che loro chiamano “guerra di nuova generazione” e gli Usa “political warfare”. Iorio la definisce “il crescente utilizzo di mezzi non militari e non letali” come premessa all’aggressione armata risolutiva, chiamando l’attenzione a un eloquente testo del generale Valerij Vasil’evič Gerasimov. Con l’occhio all’invasione russa dell’Ucraina, le parole del capo di stato maggiore della Difesa russo non si prestano ad equivoci: “Si ricorre all’uso aperto delle forze – spesso con il pretesto del mantenimento e della pace e della regolazione delle crisi – solo per il raggiungimento del successo finale del conflitto”.