Davanti a migliaia di membri delle comunità native canadesi, Papa Francesco ha chiesto perdono per la serie abusi, fisici e sessuali, commessi più di mezzo secolo fa dai missionari cristiani sui bambini indigeni del Paese nord-americano.
Il pontefice ha dichiarato di avvertire “indignazione e vergogna” per “il male commesso da tanti cristiani contro i popoli indigeni”, dopo aver pregato lunedì mattina nella comunità di Maskwacis, provincia di Alberta, sede dell’ormai demolita Ermineskin Indian Residential School. L’istituto faceva parte del complesso di “scuole residenziali“, ovverosia istituti d’istruzione e indottrinamento cattolico finanziati dallo Stato e attivi fino agli anni ’70.
“Chiedo perdono per i modi in cui purtroppo molti cristiani hanno sostenuto la mentalità colonizzatrice delle potenze che hanno oppresso i popoli indigeni. Sono addolorato. Chiedo perdono in particolare per i modi in cui molti membri della Chiesa e delle comunità religiose hanno cooperato anche attraverso l’indifferenza a quei progetti di distruzione culturale e assimilazione forzata dei governi dell’epoca culminati nel sistema delle scuole residenziali”.
Si stima che circa 150.000 bambini indigeni siano stati rapiti dalle loro famiglie di origine per essere catechizzati proprio nelle scuole cattoliche sparse in tutto il Canada. Una politica di cristianizzazione forzata che secondo Bergoglio ha distrutto tradizioni secolari e spezzato intere famiglie in maniera ancora oggi percettibile.
Già in occasione del suo atterraggio in Canada, nel pomeriggio di domenica, il Papa aveva definito la sua visita un “pellegrinaggio di penitenza” per conto dell’intera Chiesa romana, venendo accolto dal premier Justin Trudeau nonché da alcuni leaders indigeni, tra cui la governatrice generale Mary Simon, di origine Inuk.
A rendergli onore anche una serie di anziani e capi indigeni, che avevano sfilato davanti a lui consegnandogli dei regali. Il Papa, arrivato in carrozzina, si era poi fermato a baciare la mano all’anziana Alma Desjarlais, sopravvissuta agli abusi, nel primo di una lunga serie di gesti simbolici che proseguiranno nei prossimi giorni.
Il viaggio del pontefice argentino in Canada ha suscitato reazioni contrastanti: se da un lato alcuni apprezzano le scuse di Roma, altri chiedono di più: ad esempio l’accesso ai registri della Santa Sede, fondamentale per scoprire cosa sia successo ai bambini andati negli istituti cattolici e mai più tornati. Le pretese non si fermano qui: i gruppi di indigeni chiedono un risarcimento monetario, che i responsabili siano prontamente consegnati alla giustizia, e che gli oggetti nativi americani conservati nei Musei Vaticani vengano rimpatriati nelle loro terre d’origine.
La permanenza di Francesco durerà una settimana, con visite a Edmonton, Quebec City e infine a Iqaluit, nella provincia settentrionale del Nunavut. La missione del Papa è stata anticipata, lo scorso 1° aprile, da un incontro in Vaticano con i rappresentanti delle Prime Nazioni, dei Metis e degli Inuit, in cui il Santo Padre si era già scusato per le “deplorevoli” atrocità compiute nelle scuole residenziali da alcuni missionari cattolici.
Scuse che la Commissione canadese per la verità e la riconciliazione avevano chiesto al Papa già nel 2015, ma che sono avvenute solo in seguito alla scoperta, nel 2021, dei cadaveri di 200 ragazzi vicino all’istituto cattolico di Kamloops, nella Columbia Britannica.