Regolare i flussi migratori e ristabilire l’influenza statunitense sull’emisfero occidentale dopo i turbolenti anni di presidenza Trump. Questi gli obiettivi prefissati dalla Casa Bianca per il 9° Vertice delle Americhe, tenutosi a Los Angeles da lunedì 6 a venerdì 10 giugno sotto l’egida dell’OAS (Organizzazione degli Stati americani). Ma non è andata esattamente come auspicava la diplomazia statunitense.
Il giorno conclusivo del summit californiano è stato segnato dalla firma della Dichiarazione di Los Angeles, sottoscritta dal presidente USA Joe Biden e da altri venti capi di Stato e di Governo delle Americhe (nonché dalla Spagna, in qualità di osservatrice). Il documento solenne contiene una serie di misure per affrontare il problema della migrazione regionale, ma in sostanza si limita a mettere nero su bianco generiche “promesse di cooperazione” per dipanare l’annosa matassa dei flussi umani diretti dai Paesi poveri a quelli ricchi (o un po’ meno poveri).
Nello specifico: gli Stati Uniti e il Canada si sono impegnati ad accogliere un numero maggiore di lavoratori provenienti dall’America Latina – una decisione che, nel caso di Washington, serve soprattutto ad alleviare la cronica carenza di manodopera che affligge l’economia USA. Persone che, ci tiene a sottolineare Biden, devono entrare nel Paese per vie legali.
“L’immigrazione clandestina non è accettabile”, ha ripetuto con fermezza il capo di Stato USA, che insieme agli altri leaders presenti ha promesso di “aumentare gli sforzi nazionali, regionali ed emisferici per creare le condizioni per una migrazione sicura, ordinata, compassionevole e regolare”.

Secondo la Casa Bianca, il Messico sarebbe a sua volta disposto ad ospitare un numero maggiore di lavoratori centroamericani. Molti di questi ultimi provengono da Guatemala, Honduras ed El Salvador – che compongono il tristemente famoso “Triangolo del Nord“, caratterizzato da povertà, violenza e corruzione endemiche che spingono una parte consistente della popolazione a emigrare verso Nord.
I pur limitati sforzi di regolare l’immigrazione devono però fare i conti con gli attriti politici che storicamente contrassegnano i vertici inter-americani. A tenere banco è soprattutto l’atavica contrapposizione tra gli Stati Uniti e i suoi alleati regionali, da una parte, e il gruppo di Stati socialisti o anti-imperialista, dall’altra. Al Vertice di Los Angeles la Casa Bianca ha deciso di non invitare i tre Paesi più anti-statunitensi del continente – ossia Cuba, Venezuela e Nicaragua.
Un’esclusione che non è piaciuta a diverse nazioni latinoamericane, tra le quali il Messico di Andrés Manuel López Obrador, che per protesta hanno disertato il vertice o inviato rappresentanti di secondo livello. A boicottare il meeting californiano sono stati anche i leaders centroamericani del “Triangolo del Nord”, una circostanza che non depone a favore del rispetto degli impegni presi – dato che il grosso dei flussi migratori parte proprio da quei Paesi. Altri invece – come Argentina e Cile – hanno deciso di partecipare pur rimproverando a Biden l’ingiusta esclusione delle nazioni avversarie.
La Casa Bianca si rifiuta comunque di considerare l’appuntamento inter-americano come un fiasco. L’amministrazione Biden sottolinea che la dichiarazione di LA ha raccolto le promesse di numerosi Paesi oltre agli USA come ad esempio Messico, Canada, Costa Rica, Belize ed Ecuador. Una lista che però non comprende il Brasile di Jair Bolsonaro, principale economia sudamericana.
Al vertice è stata infine discussa la proposta statunitense – ancora in fase embrionale – di istituire un partenariato economico per aiutare il Latinoamerica a riprendersi dalle conseguenze del Covid.

(Ph: Alan Santos/PR)
È quantomeno un bilancio in chiaroscuro di un emisfero ancora molto diviso quello che emerge dal summit di Los Angeles. Una delle priorità dell’amministrazione Biden in politica estera tuttavia rimane il ristabilimento della sfera d’influenza statunitense nella regione americana, che è andata parzialmente perduta durante il tumultuoso mandato di Trump.
L’ex presidente aveva affrontato la questione migratoria da un duplice punto di vista: costruire un “Muro” al confine USA-Messico, unito alla condanna politica dei regimi di Nicolás Maduro (Venezuela) e Raúl Castro (Cuba). A questo però aveva aggiunto anche la fornitura di aiuti per centinaia di milioni di dollari ai migranti venezuelani, agevolando al contempo il ricongiungimento familiare di cubani e haitiani con parenti negli USA e promuovendo l’assunzione a termine di lavoratori centroamericani.
Washington adesso teme in particolare la crescente influenza politico-commerciale cinese in America Latina, considerata dagli Stati Uniti come una potenziale violazione della Dottrina Monroe (1823). La direttiva, che prende il nome del quinto presidente USA James Monroe, sostiene che qualsiasi interferenza politica nel continente americano da parte di potenze straniere sia da considerarsi un atto ostile nei confronti di Washington.