Il centro di ricerca Pew ha rilasciato, nell’ultimo mese, tre interessanti inchieste d’opinione su come gli Stati Uniti guardino alle maggiori questioni interne e internazionali. I risultati non sono per niente confortanti, specie se rapportati alle grandi responsabilità che il Paese ha negli affari internazionali, e al preoccupante quadro che l’economia e la pace globali presentano nella fase attuale.
Preoccupano in particolare il basso livello di fiducia nello Stato, la scarsa sensibilità verso immigrati, lavoratori, poveri, salute pubblica, ambiente e clima; la limitata considerazione per gli avvenimenti internazionali. Nulla di particolarmente nuovo rispetto a inchieste effettuate sugli stessi temi in anni precedenti, ma piacerebbe che s’interrompesse nel grande pubblico la carenza pluridecennale d’attenzione verso i grandi problemi interni e internazionali. Non si assiste a mutamenti, neppure di fronte alle tre crisi maggiori dei nostri tempi: ambiente e riscaldamento globale, pandemia e salute pubblica, guerre in Europa e Africa e rischi di guerra in Asia.
Il primo rapporto ha riguardato “the Nation’s biggest problems” ed è apparso il 19 maggio. Il 18 gli USA avevano superato 83 milioni di infetti e il 17 un milione di morti da Covid-19. Cinque giorni dopo avrebbero preso atto che l’aggressione russa all’Ucraina era giunta al terzo mese.
Sulle dodici preoccupazioni richiamate dall’inchiesta (v. tabella 1), quella riguardante il Covid-19 è all’ultimo posto, con un risicato 19%, mentre al primo si colloca l’inflazione con il 70%. Quasi appaiati al terzo e quarto posto, l’affidabilità del sistema sanitario (55%) e la violenza criminale (54%). Il cambiamento climatico riscuote il 42% di attenzione. Del tutto assenti nella scala, questioni globali come la guerra russa, le tensioni commerciali, lo sviluppo nei Paesi poveri.
Tab. 1 – Pew, What do Americans say are the Nation’s Biggest Problems?, %
L’inchiesta pubblicata il primo giugno, si concentra sulla conoscenza degli affari internazionali, in base a dodici domande (v. tabella 2). Otto su dieci tra gli adulti intervistati riconoscono Kim Jong Un e lo associano alla Nord Corea, due terzi sanno chi è Boris Johnson, ma solo una risicata maggioranza afferma che l’Ucraina non fa parte della NATO, e una magra metà degli intervistati conosce chi sia il Segretario di Stato degli Stati Uniti (Antony Blinken).
Nonostante l’accusa di genocidio rivolta dagli USA al Governo di Pechino, solo un intervistato su cinque è consapevole della situazione dei musulmani nello Xinjiang cinese; inoltre non più del 41% sa identificare la bandiera dell’India (secondo Paese al mondo per abitanti).
Interessano anche le risposte a due questioni che dovrebbero risultare presenti al pubblico statunitense, viste le scelte di politica estera del governo: è a quota 67% la gente che identifica il simbolo dell’euro, e al 48% la gente che riconosce Kabul come capitale dell’Afghanistan e Gerusalemme come sede dell’ambasciata Usa in Israele.
Si rileva che nessuno dei raggruppamenti documentati da Pew tra gli intervistati (età, genere, livello scolastico, orientamento politico) manifesta scostamenti significativi rispetto al risultato medio.
Tab. 2 – Pew, Dodici domande di politica internazionale, % di risposte giuste
L’ultima inchiesta di riferimento, uscita l’8 giugno, esamina il rapporto di fiducia esistente tra cittadini e governo. I risultati sono sconfortanti, visto che permangono inossidabili la sfiducia e l’insoddisfazione rilevati costantemente negli ultimi due decenni (v. grafico 1).
Grafico 1 – Pew, La fiducia nel governo federale 1960-202
Quasi due terzi degli intervistati afferma che chi si candida alle elezioni lo fa “per servire i propri interessi personali”. Solo un quinto pensa che il governo federale faccia sempre o il più delle volte “the right thing”, un’opinione – nota Pew – che perdura dai tempi della seconda amministrazione Bush figlio.
Non più del 6% ritiene che la frase “careful with taxpayer money” risulti pienamente appropriata in riferimento al governo federale, mentre il 21% pensa che in qualche modo possa esserlo. Non supera l’8% la percentuale di chi pensa che il Governo corrisponda ai bisogni dell’americano medio.
Rispetto a questioni specifiche, gli intervistati danno un giudizio altamente positivo sul Governo nelle seguenti percentuali: risposta a disastri naturali (70%), terrorismo (68%), immigrazione e povertà (24%), economia (37%). Richiesti di dove vorrebbero un maggiore ruolo del governo, risultano all’ultimo posto la lotta alle povertà, al penultimo gli standard di sicurezza sul lavoro, insieme a protezione dell’ambiente e sanità pubblica.
Vista dall’Unione Europea, la cultura politica e sociale degli Stati Uniti appare sempre più distante dai cosiddetti valori europei. Gli avvenimenti intervenuti tra la fine degli anni ‘60 e l’inizio degli anni ‘70 (guerra in Vietnam e assassinio di John Kennedy) hanno stravolto un Paese che, da allora, appare incapace di puntare in modo convinto su democrazia e solidarietà sociale per riprendere la leadership smarrita.
Se si osserva il grafico, si vede come l’unica punta di parziale risalita nel rapporto di fiducia con il Governo federale, appaia dopo l’attentato alle torri gemelle del settembre 2001, con l’operazione in Afghanistan e l’aggressione contro l’Iraq di Saddam Hussein. Chissà se con il drammatico persistente crollo successivo di consenso c’entri qualcosa il fallimento della guerra irachena, avviata grazie alla menzogna dell’amministrazione di George W. Bush sulle (inesistenti) armi di distruzione di massa irakene.
Una vicenda, il cui acme, in termini di politica interna, si ebbe con il raggiro del segretario di stato Colin Powell spinto dai suoi servizi a raccontare all’assemblea Onu la storiella prefabbricata delle armi batteriologiche e chimiche irachene (5 febbraio 2003) pronte all’uso.