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May 21, 2022
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Ho assistito con Falcone e Borsellino agli interrogatori di pentiti veri e immaginari

Il ricordo e la rabbia di chi lavorò accanto ai due magistrati fino a pochi giorni dalle stragi

Pippo GiordanobyPippo Giordano
Falcone e Borsellino, il sorriso di due uomini antidoto contro la paura, il tempo, l’oblio

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino il 27 marzo 1992 al palazzo Trinacria di Palermo (Foto di Tony Gentile)

Time: 4 mins read

Indelebili ricordi affollano la mia mente. Ricordi di Galantuomini Siciliani, coi quali condividevo il sogno di avere una Sicilia senza condizionamenti mafiosi e sconfiggere il “mostro” Cosa nostra.

Ora si ricorda il trentennale delle stragi di Capaci e via D’Amelio, in cui perirono i magistrati Giovanni Falcone, Francesca Morvillo (sua moglie) Paolo Borsellino e i poliziotti di scorta Rocco Dicillo, Antonio Montinaro, Vito Schifani, Agostino Catalano, Eddie Walter Cosina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi e Claudio Traina.

Ho un ricordo, che ancora oggi rivivo con estrema rabbia. Accadde che la stessa notte dell’attentato di Capaci, il tg RAI, collegandosi con New York mandò in onda le esternazioni di giubilo col segno di vittoria, di un mafioso palermitano. Pronunciò parole offensive verso Falcone. Dopo qualche anno, trovandomi nel tribunale di Manhattan per seguire il processo contro i fratelli Gambino, incontrai più volte quell’individuo. Dovetti sopprimere la naturale reazione verso un siffatto personaggio, che consideravo “nuddu miscatu cu nenti”. Ricordo ancora adesso il nome e cognome…

Ed ora vorrei ricordare gli ultimi momenti trascorsi insieme a Falcone e Borsellino. Uno degli ultimi interrogatori, prima di trasferirsi a Roma, Falcone lo fece nel carcere di Rimini a due mafiosi di Villabate. Concluso esame testimoniale, ci concedemmo “un’ora d’aria” passeggiando sottobraccio nel cortile del carcere. Parlammo del passato, ricordando gli amici della mia Squadra mobile palermitana, assassinati da Cosa nostra. Non lo rividi più.

Con Paolo Borsellino, invece, trascorremmo l’ultimo venerdì della sua vita: era il 17 luglio 1992 ed eravamo alla DIA di Roma per interrogare Gaspare Mutolo. E a proposito di pentiti di mafia intendo evidenziare  che nel corso degli anni l’apporto da loro dato  è stato determinante e incisivo nella lotta alle mafie. Ma, ahimè, da tempo la figura del pentito di mafia viene ridicolizzata da loro stessi a causa di racconti strampalati.

Del pentitismo mi reputo un esperto, per aver nel corso degli anni assistito negli interrogatori decine di magistrati. La mia presenza, era motivata dalla conoscenza diretta del fenomeno mafioso e dei fatti accaduti a Palermo. Ebbi modo di “assistere” ben nove pentiti di mafia, da Tommaso Buscetta, Francesco Marino Mannoia, Totuccio Contorno, Marchese Giuseppe, Gaspare Mutolo, Gino La Barbera, Santino Di Matteo, Giovanni Drago e sino a Stefano Calzetta. Iniziai la gavetta all’inizio degli anni 80 con Falcone, negli interrogatori di Totuccio Contorno ed è proseguita sino a metà degli anni 90 con tutti i magistrati della DDA di Palermo.

Ma veniamo ai pentiti odierni. Per meglio far comprendere il mio disappunto su alcuni pseudo pentiti, occorra che io citi parte delle loro dichiarazioni:

-Vincenzo Scarantino, un pentito, un caso umano. Qui è talmente lapalissiano il dramma umano che non c’è nulla da aggiungere, se non ribadire che siamo di fronte al più grande depistaggio della storia del nostro Paese. Le sue false propalazioni, fecero condannare all’ergastolo degli innocenti, compreso suo cognato Profeta.

-Maurizio Avola, è un mafioso catanese che sostiene di aver partecipato all’attentato costato la vita al giudice Paolo Borsellino e alla scorta. Dichiarazione smentita dagli accertamenti compiuti dalla DIA. E’ emerso che risultava essere a Catania e per giunta con un braccio ingessato.

Pietro Riggio, ex poliziotto penitenziario, che dichiara: “un poliziotto mi ha confidato di aver partecipato alla fase esecutiva della strage Falcone, si sarebbe occupato del riempimento del canale di scolo dell’autostrada con l’esplosivo, operazione eseguita tramite l’utilizzo di skateboard”. Il Riggio aggiunge anche, che “Nella strage di Capaci c’erano, carabinieri, Dia, Cia, agenti segreti libici e poliziotti. (praticamente una riunione planetaria).

– Ex pentiito Antonio Parisi. (‘ndrangheta) afferma: “Esistono due audiocassette che documentano un incontro avvenuto in un casolare nelle colline sopra Archi, a Reggio Calabria, fra Berlusconi, uomini della ‘Ndrangheta e dei servizi, una donna dei servizi. Come politici c’era anche Giuseppe Valentino (ex senatore di An)”. Anche questa notizia -come dice il pentito- l’ha appresa mediante una confidenza ricevuta  da un noto e importante uomo della ‘ndrangheta. Ma immaginate Silvio Berlusconi, che va in un casolare della Calabria per incontrare l’allora latitante della ‘ndrangheta Pasquale Condello, detto il “Supremo»?. Sottolineo che nelle varie dichiarazioni dei pentiti, c’è sempre una donna dei servizi segreti. Mi sembra giusto, par condicio di genere.

–Vincenzo Calcara, che dichiara di essere stato un “uomo d’onore riservato”. Era talmente riservato che lo sapeva solo lui e quindi spendo solo poche parole per dire che avrebbe dovuto uccidere Paolo Borsellino con un fucile che faceva pam pam pam. Intelligenti pauca.

Ecco, ho solo raccontato una parte del film “fantamafia” sponsorizzato da numerosi “esperti” giornalisti. I giornalisti seri, che mi onoro della loro stima, non commentano certe strampalate notizie.

Sono convinto che determinate dichiarazione fatte dai pentiti, dovrebbero essere corroborate da elementi probatori prima di giungere in dibattimento. Mi rivolgo ai pm, dicendo che mi rendo perfettamente conto che è cambiata la procedura penale, ma non sarebbe male continuare col “metodo Falcone”. Ossia, quando Falcone si accorgeva che il racconto appariva nebuloso o campato in aria, annotava tutto per poi far espletare gli accertamenti. E solo dopo aver accertato la genuinità dei fatti, li verbalizzava. Altrimenti cestinava.

Non vi è alcun dubbio, che qualsiasi testimonianza resa e priva di riscontro, non fa altro che minare la credibilità dei pentiti e della Giustizia medesima.

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Pippo Giordano

Pippo Giordano

La legalità è il mio chiodo fisso perché fin da piccolo ho respirato la mafia e la sua brutalità. Sono stato ispettore della DIA e ho lavorato nella Squadra Mobile di Palermo di Ninni Cassarà. Ho diretto la Sezione antiterrorismo della Digos di una città del Nord. Ho collaborato con i giudici Paolo Borsellino e Giovanni Falcone. Oggi, da pensionato, racconto agli studenti degli uomini che hanno scritto col sangue la lotta alla mafia. Con Andrea Cottone ho scritto un libro, Il sopravvissuto, l'unico superstite di una stagione di sangue, che parla delle ombre in quella zona di contatto fra mafia e pezzi di Stato.

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