Si è concluso con un spiraglio d’intesa l’ultimo round di colloqui tra le delegazioni di Russia e Ucraina, incontratesi martedì mattina a Istanbul per sbrigliare la matassa della crisi ucraina. Gli emissari russi hanno dichiarato che l’esercito di Mosca ridurrà radicalmente le operazioni militari nel nord del Paese, più in particolare nelle regioni di Kyiv e Chernihiv.
Dall’altra parte, il team negoziale ucraino ha ribadito – come aveva già annunciato il presidente Volodymyr Zelens’kyj – che il Governo di Kyiv è pronto a venire incontro alla richiesta russa di neutralità internazionale, a condizione che l’imparzialità dell’Ucraina venga garantita da 8 Stati terzi tra cui Israele, Polonia, Canada, Turchia e Italia.
Uno dei negoziatori di Kyiv, il consigliere presidenziale Mykhailo Podoliak, ha spiegato che nella versione ucraina di neutralità è prevista l’assenza di basi militari straniere sul territorio nazionale e la non-affiliazione ad alcuna alleanza politico-militare. La questione dello status di Donbass e Crimea andrebbe invece deferita a un negoziato ad hoc. Ad opinione di Podoliak, il passo avanti odierno nei colloqui bilaterali è comunque “sufficiente” affinché si tenga nel prossimo futuro un vertice tra Zelens’kyj e Vladimir Putin.
Moderatamente più cauti i russi, che ritengono che il summit tra i due capi di Stato debba avere luogo sono in seguito alla firma di un accordo di pace da parte dei rispettivi ministri degli Esteri. A dirlo è stato Vladimir Medinskij, capo-delegazione di Mosca, che ha comunque sottolineato come i colloqui con la parte ucraina abbiano ormai raggiunto una fase più “concreta”.

I russi hanno voluto sottolineare il salto di qualità dei colloqui annunciando “due passi concreti per la escalation della crisi”, ossia che le truppe russe ridurranno drasticamente la loro attività militare nei pressi della capitale Kyiv oltreché nella vicina Chernihiv, entrambe nel nord del Paese.
Uno dei rappresentanti russi ai colloqui turchi, il viceministro della Difesa Aleksandr Fomin, ha ribadito che si tratta di una mossa per “aumentare la fiducia reciproca per i futuri negoziati” – malgrado l’esercito e l’aviazione di Mosca stessero già faticando ad accerchiare la capitale, stante la tenace resistenza delle truppe di Kyiv e della popolazione locale.
Infine, Medinskij ha dichiarato che il Cremlino non è contrario in linea di principio all’ingresso dell’Ucraina nell’UE – una prospettiva di compromesso rispetto alla volontà ucraina di entrare nella NATO e l’imperativo russo di impedire che l’Ucraina finisca definitivamente nell’orbita del rivale occidentale.

Tra gli effetti della mini-intesa generale tra Russia e Ucraina c’è un vistoso calo del prezzo del petrolio, che al momento cede oltre il 4% a 101,38 dollari al barile (WTI) e di oltre il 4% a 107,55 dollari al barile (Brent).
Prima dell’avvio dei negoziati faccia a faccia, le due delegazioni erano state accolte dal presidente turco Recep Tayyip Erdoğan. Il padrone di casa aveva dato il benvenuto agli ospiti nel maestoso palazzo di Dolmabahçe, costruito in epoca ottomana nel quartiere europeo di Beşiktaş, dove si sono tenuti i colloqui. “Crediamo che una pace giusta non avrà perdenti, e che un conflitto prolungato non sia nell’interesse di nessuno,” le parole del leader turco, che si è reso quindi disponibile ad ospitare anche un prossimo vertice tra Putin e Zelens’kyj.
Presente ai colloqui era anche l’ex patron del Chelsea, il miliardario Roman Abramovič, che svolge il ruolo di “facilitatore” tra le due delegazioni. Proprio sull’oligarca russo nelle ultime ore si è concentrata l’attenzione mediatica in seguito a un’indiscrezione del Wall Street Journal, secondo cui proprio Abramovič, assieme ad alcuni delegati ucraini, sarebbero stati lievemente avvelenati. Il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov, ha brevemente liquidato però la questione come “disinformazione” durante un briefing con la stampa.

Lo stesso Peskov ha poi chiamato in causa gli Stati Uniti, condannando nuovamente le dure parole del presidente Joe Biden contro Putin (“un macellaio” e “un dittatore”, per citare le offese più recenti). Secondo il portavoce di Putin, tali “offese personali (…) non dovrebbero avere spazio nella retorica di un capo di Stato”, e ciò non può che influire negativamente sulle relazioni tra Mosca e Washington. Relazioni che però, sempre secondo Peskov, è necessario continuare a coltivare “non solo nell’interesse dei nostri due Paesi, ma anche nell’interesse del mondo intero” – laddove curiosamente il Pentagono lamenta proprio una indisposizione delle gerarchie militari russe a dialogare con gli alti funzionari americani, aumentando così il rischio di incomprensioni fatali.
La situazione sul terreno
Nonostante il deciso passo in avanti raggiunto dalla diplomazia, sul campo continua la devastazione. Martedì le forze russe hanno distrutto un deposito di petrolio nell’Ucraina occidentale e demolito un edificio governativo nel sud, provocando diversi morti.
Nella città portuale di Mariupol’, essenziale per saldare geograficamente la Crimea (annessa dalla Russia nel 2014) al Donbass delle sedicenti repubbliche di Doneck e Luhans’k, prosegue l’assedio russo che avrebbe sinora provocato quasi 5.000 morti, secondo le stime non verificabili del sindaco della città.
Proprio la drammatica situazione umanitaria a Mariupol’ è stata al centro di una telefonata pomeridiana tra il presidente francese Emmanuel Macron e il suo omologo russo Putin, in cui il capo dell’Eliseo ha chiesto al Cremlino di acconsentire a una maxi-operazione di evacuazione dei civili in collaborazione con i Governi di Grecia e Turchia.