Trent’anni fa, il 17 febbraio 1992, “la polizia fece irruzione in un ufficio di Milano dove il presidente del Pio Albergo Trivulzio, una delle principali istituzioni caritatevoli della città, stava per ricevere una mazzetta.
Fu incriminato con l’accusa di aver preso una tangente in cambio dell’invio di ogni salma che arrivava dalla casa per anziani ad una specifica agenzia funebre. L’irruzione della polizia era stata ordinata da Antonio Di Pietro, un dinamico, imprevedibile e stachanovista magistrato di Milano, un ex poliziotto dall’aspetto trasandato la cui immagine è apparsa in magliette molto vendute in tutta Italia. Pochi mesi dopo quel giorno, per i sondaggi era l’uomo più popolare d’Italia”.
Così recita il paragrafo introduttivo del mio libro The Italian Guillottine, pubblicato negli Stati Uniti nel 1998. Anche io fui, così come molti italiani e stranieri, trasportato dalle notizie di un gruppo coraggioso di magistrati milanesi che prendeva d’assalto l’arena principale della corruzione politica italiana: i fondi segreti dei maggiori partiti politici italiani.
Nessuno pensava a una versione diversa o meno nobile dell’accaduto, ma qualcosa non tornava.
Quando espressi i miei dubbi a un buon amico, Massimo Pini, stretto collega di Bettino Craxi, non mi diede alcuna opinione al telefono. Ma pochi giorni dopo, la Mercedes di Pini entrò nel cortile della fattoria in Borgogna dove io e mia moglie stavamo trascorrendo un anno bucolico.
Seguirono due notti insonni, in cui insieme a un brillante giornalista ed esperto ricercatore, Luca Mantovani, lessi pile di documenti e sentii che la mia costruzione mentale era stata rimessa a posto.
Non c’era dubbio che i magistrati avessero ammanettato alcuni colpevoli. Ma perché allora? Perché proprio questi magistrati? Le relazioni losche tra partiti, grandi affari e forze sinistre con le tasche piene erano andate avanti per anni. La destra aveva a lungo accusato Mosca di finanziare il Partito Comunista Italiano e la sinistra aveva replicato affermando che Washington tenesse a galla i cristiano-democratici e i socialdemocratici.
Ma “Mani Pulite” non riguardava l’influenza straniera. Si trattava dell’avvelenamento del sistema politico italiano con le tossine coltivate in casa. Il libro che ne risultò dalle ricerche, fu scritto e pubblicato per una ragione: l’ingenua speranza di innescare una riforma. In quanto tale, questa tempesta perfetta è stata un perfetto fallimento, ma ha almeno giocato un ruolo nel cambiare alcune percezioni.
La fiducia e la popolarità della magistratura milanese è crollata nei sondaggi ed è diventata una questione controversa, non scontata. Con mio amaro sgomento, ha aiutato Silvio Berlusconi a svincolarsi con sufficiente successo attraverso la cortina di fumo di accuse e controaccuse per due lunghi mandati come Presidente del Consiglio. Ha portato ad alcuni piccoli cambiamenti strategici nelle apparizioni pubbliche dei magistrati.
Ora, a trent’anni di distanza, l’indipendenza della magistratura da ogni controllo istituzionale resta intatta. Un altro grado di giudizio, anche in caso di assoluzione, diventa metodo invece che crimine. L’habeas corpus è stato soffocato sotto una pila di suicidi e uomini distrutti, tutte vittime prima del processo. I magistrati passano facilmente tra il ruolo di pubblico ministero e quello di giudice, con il solo inconveniente di dover spostare l’ufficio, facendo tutti parte della stessa squadra.
Il risultato è che i magistrati italiani esercitano un potere incontrollato sulla vita politica italiana, senza eguali, per la sua assoluta indipendenza, da quello di qualsiasi altro grande paese occidentale.
Il libro, la cui traduzione in italiano aveva talmente stravolto il significato da essere stata bloccata, (il fallimento della traduzione italiana fu predetto da Joseph LaPalombara, decano degli scienziati della politica americana studiosi dell’Italia, nella sua prima recensione del libro), ha nel corso degli anni visto le sue affermazioni confermate dalle testimonianze, troppo tardive, di alcuni dei partecipanti e di attenti osservatori.
Ma alla fine, nonostante tutto, credo non abbia avuto un impatto serio sul sistema che ha messo sotto accusa.