L’addio a FW de Klerk
A 85 anni, si è spento per un mesotelioma pleurico Frederik Willem de Klerk, ultimo Presidente bianco del Sudafrica e figura chiave della storia mondiale del Novecento. Premio Nobel per la Pace nel 1993, è l’uomo che ha guidato la transizione della “nazione arcobaleno” da regime razziale e segregazionista a democrazia. Col suo storico discorso al Parlamento del 2 febbraio 1990, segnò l’inizio dello smantellamento di quell’impianto legislativo conosciuto come apartheid, e la fine di tre secoli di storia coloniale del paese. Pochi giorni dopo decise la liberazione, dopo 27 anni di prigionia, di Nelson Mandela, suo ex nemico, poi collaboratore e infine amico. Tuttavia, per il suo trascorso di esponente di spicco dell’apartheid, per gran parte degli storici egli resta un personaggio controverso. Questo ha contribuito al parziale oblio storiografico verso la sua figura, che fino a oggi è rimasta “all’ombra di Mandela”.
De Klerk e Mandela
“Non sono così preoccupato per il riconoscimento del mio ruolo personale, ma penso che sia importante che tutti riconoscano il ruolo di tutte le parti nella creazione della nostra nuova società” ha detto lo stesso de Klerk durante l’intervista che mi ha rilasciato in più fasi nel 2016, incentrata sulla fine dell’apartheid e sui protagonisti di quel cruciale passaggio storico. Aggiungendo: “Credo che i sudafricani siano informati e consapevoli del ruolo che ho svolto. Anche se c’è una tendenza, da parte dei membri dell’ANC, a minimizzare il ruolo di altri partiti nella creazione della democrazia in Sudafrica”.
E riguardo al suo rapporto con Mandela è altrettanto netto: “Nelson Mandela e io abbiamo avuto spesso un rapporto burrascoso. C’è stato sempre rispetto reciproco e abbiamo riconosciuto l’importanza che ognuno di noi ha svolto nell’assicurare che i nostri rispettivi collegi elettorali continuassero a sostenere i negoziati. Tuttavia, eravamo leader di partiti avversari, con storie e approcci molto diversi. Quindi ci siamo spesso scontrati. Tuttavia, quando la situazione lo ha richiesto, siamo stati in grado di unirci per superare gli stalli che via via emergevano durante i negoziati. Alla fine, dopo che entrambi ci siamo ritirati dalla politica, siamo diventati amici”.

Il ruolo dell’apartheid tra Guerra fredda e Occidente.
La fine dell’aparthid non è stata “solo” una storia di liberazione da un regime razziale. E nemmeno “semplicemente” l’ultimo tassello della decolonizzazione del continente africano. Si è trattato invece dell’ultimo atto della Guerra fredda nell’emisfero australe. Infatti, il regime dell’apartheid non fu un’incontrollata degenerazione tardiva del colonialismo occidentale, bensì una strategica devianza dalla liberaldemocrazia da parte di un alleato dell’Occidente, avvenuta con il nullaosta di fatto dell’Occidente stesso, intenzionato a difendere il proprio controllo sulle rotte navali passanti per il Capo di Buona Speranza, e soprattutto sulle immense risorse minerarie del sottosuolo sudafricano. Chester Crocker, ad esempio, che ha rappresentato gli USA in Africa negli anni 1981-89 (Assistant Secretary of State for African Affairs), ha spiegato con franchezza la presenza di Washington, definendo la regione il “golfo Persico dei minerali non combustibili”.
L’inizio della fine
Ma negli anni Ottanta, un mutamento geopolitico globale mette in discussione in tutto il mondo ruoli, strategie, obiettivi, relazioni, zone di influenza. Inizia una progressiva dismissione di un immenso sistema di strutture, gruppi di individui, strategie, atti al mantenimento della contrapposizione fra i Blocchi atlantico e sovietico. È l’inizio della fine di Yalta e della Guerra fredda. L’apartheid sudafricana, scottante ingranaggio del vecchio ordine mondiale, oramai in via di dismissione, diviene sempre di più un costoso ingombro per quegli stessi interessi dei quali fino a quel momento era stata un cruciale strumento. Il vento del cambiamento che tre mesi prima aveva abbattuto il Muro di Berlino, ora soffia sull’apartheid.

(UN /Milton Grant)
E così, dopo decenni di condanna ufficiale ma ufficioso sostengo, inizia l’accerchiamento internazionale per costringere Pretoria ad avviare riforme radicali che accompagnino il Sudafrica verso la democrazia. Sotto le insegne delle potenze occidentali, i principali istituti di credito, i maggiori fondi di investimento e le più potenti multinazionali iniziano a muoversi in sinergia per abbattere l’apartheid, dando luogo nel Paese a una massiccia operazione di disinvestment. Il valore del rand precipita. Vaticano, showbiz e mondo dello sport si uniscono alla Chiesa Anglicana e al movimentismo internazionale per i diritti umani, nel fare da coro ai potentati economici dai quali sono foraggiati. Giovanni Paolo II fa un viaggio di dieci giorni per visitare i paesi confinanti col Sudafrica, per far sentire la pressione della Santa Sede sulla “terra del diavolo” (secondo l’espressione usata dal vescovo di Kokstad). Divi di Hollywood e della discografia diventano testimonial della lotta di liberazione. Nel secondo capitolo della celebre saga cinematografica intitolata “Arma letale”, i cattivi di turno sono dei diplomatici sudafricani spietati e corrotti. Nel mondo dello sport si intensifica l’ostracismo di molte associazioni professionistiche che già nel 1964 aveva portato all’esclusione del Sudafrica dalle Olimpiadi di Tokyo. Il tutto al grido di “free Mandela”. Lo spin è ormai palese: game over.
La lunga e silenziosa preparazione poi l’azione fulminea.
Isolamento internazionale, incommensurabili danni economici, il rischio di perdere l’autonomia e infine lo spettro della guerra civile incombono sul destino del Sudafrica. La repentina conquista della scena da parte di Frederik Willem de Klerk sbroglierà la situazione. Considerato da molti un anonimo burocrate di partito, sul finire degli anni Ottanta F.W. de Klerk ha scavalcato l’immobilismo conservatore del governo di cui era ministro, per guidare in prima persona prima i negoziati segreti e poi quelli ufficiali con il Fronte di liberazione. Grazie al suo pragmatismo e a un insospettabile attivismo che ha sfiorato più volte l’incostituzionalità, de Klerk diventa prima capo del National Party e poi Presidente del Sudafrica. Con il nuovo esecutivo la svolta politica è improvvisa, rapida e rivoluzionaria, tanto da cogliere ugualmente impreparati favorevoli e contrari, tanto in patria quanto nel mondo. Conservatore “ortodosso” di lungo corso, nel momento decisivo agisce da riformista radicale, arrivando a negoziare la fine del regime di cui è il massimo esponente. Fiero membro della comunità afrikaner, “sovrintende” alla consegna del potere politico ai Neri, agli Asiatici e ai Coloureds, riuscendo però a conservare gli interessi economici dei Bianchi e a scongiurare al Paese tanto la guerra civile quanto l’intervento diretto delle potenze occidentali. Un aiuto che, nel caso si fosse concretizzato, si sarebbe dimostrato ben presto assai ingombrante.
FW de Klerk è stato dunque la guida di quella parte “illuminata” dell’establishment sudafricano che a metà degli anni Ottanta iniziò a intercettare i segnali precoci dello sgretolamento della Cortina di Ferro, prevedendone gli effetti geopolitici. Così facendo ha portato al successo il delicato processo di agganciamento del Sudafrica al “vento del cambiamento” che soffiava in Europa e nel resto del mondo, salvando in questo modo il Paese dall’isolamento internazionale e proteggendone l’enorme forza economica e finanziaria.