Il South Dakota come le Cayman Island: conti offshore segreti di persone che non vogliono far sapere che sono ricche e spendono e spandono i loro soldi usando società fantasma che invece usano soldi veri. Fintanto che il Consorzio Internazionale dei Giornalisti Investigativi (ICIJ) non si mette a scavare e trova 12 milioni di file riservati che portano alla scoperta degli investimenti che 29 mila ricchi e famosi non vogliono far sapere. Ovviamente come in tutte le inchieste finanziarie lo scalpore delle rivelazioni e i nomi di alcuni dei protagonisti sono dati con molta rilevanza anche se poi un re da sempre nel mirino dei terroristi che compra in segreto una casa a Malibu o un imprenditore che costruisce un complesso edilizio a Miami non commettono nessun reato. Ma è il modo usato con queste società fantasma con i conti in South Dakota, che fa sorgere i dubbi sulla legittimità dell’operazione.
ICIJ è una no profit americana che riunisce “280 tra i migliori giornalisti investigativi di 117 paesi”. Sono in partnership molte testate tra le più autorevoli al mondo, dal New York Times al Guardian, dal Washington Post a El Pais e Le Monde. Ne fa parte, tra i giornali italiani, l’Espresso. Tutti impegnati a lavorare insieme, a scambiarsi ogni giorno notizie e documenti, fotografie e contatti, su una piattaforma informatica messa a punto dal consorzio. L’Icij è conosciuto soprattutto per l’inchiesta Panama Papers, nata quando una fonte anonima prelevò milioni di documenti riservati dello studio legale panamense Mossack Fonseca e li consegnò al quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung.
Dopo la scoperta degli intrighi di Panama e dopo le pressioni fatte dagli americani sulle banche alle Bahamas e alle Cayman Island accusate di riciclare i miliardi della droga e dei terroristi, la ricerca per gli istituti finanziari in cui depositare le proprie ricchezze senza dover rispondere a tante domande si è spostata dai Tropici a Sioux Fall in South Dakota. E la piccola città “dove non succede mai nulla” è stata investita da un fiume di danaro amministrato da società fantasma che inspiegabilmente hanno riversato questi capitali in enti finanziati nati poche ore prima che i soldi venissero depositati.
I Pandora Papers documentano un ciclone di affari ricchissimi con i nomi dei beneficiari. Nella lista ci sono 35 capi di Stato o di governo. Più di 300 politici di oltre novanta nazioni: ministri, leader di partito, parlamentari. Insieme a generali, capi dei servizi segreti, manager pubblici e privati, banchieri, industriali, celebrità dello sport, della moda e dello spettacolo. Ma ci sono anche criminali. Ex terroristi. Bancarottieri e faccendieri. Trafficanti di droga. E boss mafiosi, anche italiani, con i loro tesorieri.
Il Re di Giordania Abdullah, ha usato varie società fantasma per acquistare per oltre 100 milioni di dollari proprietà di lusso a Malibu, in California, a Londra e a Washington. In Europa i documenti espongono l’acquisto per 22 milioni di dollari di un castello in Francia, vicino Cannes, da parte del premier ceco Andrej Babis, politico miliardario populista avversario dell’elite europea che, tra pochi giorni affronterà le elezioni. Da vedere ora quale effetto avranno sull’elettorato le rivelazioni sui suoi investimenti. In Africa il presidente del Kenya Uhuru Kenyatta che da anni si dipinge come nemico della corruzione, con alcuni familiari ha creato almeno sette entità offshore per nascondere denaro e beni immobiliari per più di 30 milioni di dollari. Nei documenti c’è anche la famiglia reale britannica, che tramite il fondo della Regina ha acquistato per 67 milioni di sterline una proprietà a Londra legata alla famiglia del presidente dell’Azarbaijan, Ilham Aliyev, accusata di corruzione. Sempre restando in Gran Bretagna i Pandora Papers notano come l’ex primo ministro Tony Blair e la moglie Cheire abbiano risparmiato centinaia di migliaia di sterline in tasse sulla proprietà con l’acquisto di un edificio per uffici a Londra tramite una società offshore.
Il nome del presidente russo Vladimir Putin non compare nei documenti che, invece, fanno luce sulla fortuna di alcuni uomini e donne nella sua cerchia più ristretta. Fra questi spicca il suo amico di infanzia Petr Kolbin ma anche Svetlana Krivonogikh, con la quale Putin avrebbe avuto una relazione e una figlia. La donna avrebbe acquistato tramite una società offshore un lussuoso appartamento a Monaco. Nei fascicoli dell’inchiesta vengono chiamati in causa anche il cantante spagnolo Julio Iglesias, l’ex top model tedesca Claudia Schiffer e la cantante Shakira. Ma anche il mafioso Raffaele Amato: ‘o Lello’, arrestato nel 2005, operava – riporta il Miami Herald – tramite una società di comodo, registrata in Gran Bretagna e usata per acquistare proprietà in Spagna poco prima di fuggire dall’Italia. Amato è stato il capo degli “scissionisti”, l’alleanza di clan camorristi che fu al centro della sanguinaria guerra tra cosche che ha ispirato il libro e la serie televisiva Gomorra. Arrestato nel 2009 dopo anni di latitanza proprio in Spagna ed estradato in Italia, il boss Amato sta scontando una condanna definitiva a vent’anni di reclusione.
I Pandora Papers hanno scoperto anche tra i clienti di una società fantasma Delfo Zorzi, condannato in primo grado per la strage di piazza Fontana a Milano e poi assolto in appello con conferma dell’assoluzione da parte della Cassazione. Zorzi controllava segretamente catene di negozi e aziende di abbigliamento. I Pandora Papers ora documentano che Zorzi era cliente della Fidinam, una società fiduciaria svizzera controllata da prestigiosi avvocati ed ex magistrati, che aveva registrato quel cliente con il suo nuovo nome giapponese, Hagen Roi, ottenuto a Tokyo dove vive dagli anni ’70.
I documenti contengono oltre 130 nomi presenti nella lista dei miliardari di Forbes, di 45 nazionalità diverse. Tra questi ci sono 15 brasiliani, 13 britannici, 10 israeliani e ben 52 russi. Molti dei russi si sono appoggiati alla società cipriota Nicos Chr. Anastasiades and Partners. La società prende il nome dal suo fondatore, Nicos Anastasiades, presidente di Cipro dal 2013.
Tra i miliardari americani c’è invece Robert F. Smith, magnate del private equity con un patrimonio di 6,7 miliardi di dollari. Lo scorso anno ha avuto una mmulta di 140 milioni di dollari per non avere pagato le tasse sui suoi fondi offshore. Ed è coinvolto nei Pandora papers anche il suo mentore, Robert Brockman, che ha un patrimonio di 4,7 miliardi di dollari. Centinaia di milioni di dollari – riporta il Washington Post – da fuori degli Stati Uniti sono parcheggiati in società a Sioux Falls. E parte di questi fondi sono legati a persone e aziende accusate di abusi di diritti umani o altri reati finanziari.
Dopo le clamorose rivelazioni il problema è diventato politico per l’amministrazione Biden che della trasparenza e della moralizzazione degli investimenti ne ha fatto una bandiera. Troppi Stati dell’Unione hanno allargato le maglie per il controllo sugli investimenti che provengono dall’estero. Attualmente gli Stati Uniti sono il Paese leader per la creazione di questi conti offshore e non solo in South Dakota. Negli ultimi quattro anni molti stati rossi hanno deregolato i controlli sugli investimenti dall’estero e ora per la Casa Bianca è arrivato il momento di affrontare il problema.