In attesa che il Bundeswahlleiter (Federal Returning Officer) di Berlino comunichi i risultati provvisori ufficiali, stanno circolando le percentuali considerate dai più definitive del voto tedesco.
Gli exit poll della serata di domenica 26 e i primi dati della notte avevano confermato due aspettative della vigilia: la vittoria socialdemocratica e la complessità delle operazioni che porteranno al nuovo governo. Avevano anche evidenziato la precisione con la quale le previsioni riescono a orientare sul risultato elettorale già molti giorni prima del voto.
Come nelle aspettative, i socialdemocratici di Scholtz hanno battuto i democristiani di Laschet (25,7% contro 24,1% dicono i risultati provvisori alle 6 di lunedì mattina,). Confermate anche le aspettative sugli altri partiti: i provvisori danno i verdi al 14,8%, i liberali all’11,5%, La Sinistra al 4,9%, l’estrema destra di Afd al 10,3%.
Rispetto all’ultimo sondaggio pre-elettorale di giovedì 23, al momento del voto hanno guadagnato i due partiti maggiori (erano dati rispettivamente a 25% e 22%), e i liberali (dall’11%), mentre hanno perso qualche percentuale i Verdi (erano dati al 16%) e le due estreme. Ad aver lucrato di più rispetto alla vigilia è l’accoppiata democristiana Cdu/Csu, per il previsto riflesso conservatore pavloviano di un elettorato anziano e merkeliano, ampiamente evidenziato alla vigilia. Si tratta di ben magra soddisfazione, visto che i democristiani, rispetto al parlamento precedente, hanno perso quasi il 9% dei voti, mentre gli avversari socialdemocratici hanno guadagnato il 5,3%.

Gli elettori non hanno consegnato al Bundestag un mandato chiaro riguardo al nuovo governo, tanto più che Armin Laschet, candidato alla cancelleria per i democristiani, autore dell’ennesima gaffe al seggio elettorale (ha ripiegato in modo sbagliato la scheda mostrando a tutti un voto che per legge è segreto), nonostante il sonoro ceffone infertogli dall’elettorato e il fatto che abbia bruciato la cospicua eredità consegnatagli da Angela Merkel, si sta proponendo in queste ore come l’unico in grado di formare una coalizione di governo stabile e coerente. Ne ha il diritto. Il presidente Frank-Walter Steinmeier, socialdemocratico, darà probabilmente il primo incarico a Olaf Scholz, ma sarà l’andamento delle trattative con liberali e verdi a risultare decisivo. In ogni caso, a Berlino, nessuno si azzarda a fare previsioni su quale possa essere il prossimo governo e su chi potrà guidarlo.
Si dà invece per scontato che ci vorranno tempi lunghi per l’accordo che sosterrà il governo, anche perché la tradizione di elaborare il corposo “contratto” scritto tra partner, stavolta dovrà vedersela con questioni piuttosto complesse, come la risposta sanitaria a Covid-19, il rilancio dell’economia in sintonia con la decarbonizzazione, il rafforzamento dell’Unione Europea e la revisione del rapporto atlantico. Non si esclude che gli auguri per il Natale e il nuovo anno vengano fatti, anche quest’anno, da “mamma” Merkel che, nell’attesa, continua a gestire gli affari correnti.

Nella sostanza, il risultato non ha sorpreso, in quanto anticipato dai sondaggi. Il recupero finale di Laschet, tuttavia, complica la vita del vincente Scholz, e regala preoccupazioni sulla probabile instabilità di un quadro istituzionale inedito. Mai prima i due partiti maggiori erano apparsi tanto appaiati. In un sistema politico che, in termini sostanziali, si basa sull’alternativa tra centro conservatore e sinistra riformista, non è un buon segnale, perché un’opposizione avventurista avrebbe spazio per incunearsi nelle contraddizioni tra alleati al governo per generare una nuova alleanza della quale costituirebbe il perno.
Fu il politologo Maurice Duverger, nell’aureo testo che dedicò quasi settant’anni fa ai partiti politici, a decifrare l’enorme peso che il “ricatto” dei piccoli può avere nelle alleanze dei governi democratici, quando i piccoli risultano necessari alla sopravvivenza della compagine. I liberali hanno nel loro Dna decenni di altalena tra democristiani e socialdemocratici: nulla vieta che si ripetano.
Tra i segnali che il risultato del voto lancia all’Europa, e in particolare all’Italia, va raccolto quello che riguarda la struttura che sostiene il sistema politico parlamentare. Nei suoi aspetti più significativi continua ad esprimere le tre grandi correnti del pensiero politico novecentesco: socialdemocratico, democristiano popolare, liberale. In Italia non è più così da decenni, e chissà che l’interminabile crisi italiana non abbia a che vedere anche con l’aver gettato via, nell’ultimo decennio del novecento, il bambino della storia politica nazionale insieme all’acqua sporca delle cronache giudiziarie.

Il voto segnala anche la vivacità del fenomeno Verde (si passa dal 9% del 2017 a quasi il 15%), in quanto risposta al bisogno di prendersi cura della salute del pianeta. Stabilisce che, almeno per ora, il pericolo della destra estrema viene confinato geograficamente nei territori orientali già sottoposti al comunismo contenendolo intorno al 10 per cento, e che i favori all’estrema sinistra non vanno oltre il 5%, soglia minima per la rappresentanza parlamentare. Non sono brutte notizie per un sistema di democrazia liberale, anche se la frammentazione della rappresentanza parlamentare e la mancanza di un forte mandato a un solo partito può ingenerare sintomi di instabilità.
Tornando a questo punto, i seggi sinora assegnati ai socialdemocratici (includendo le aggiunte di livellamento e overhang, tra rappresentanti di circoscrizione ed eletti col proporzionale), sono solo dieci in più di quelli toccati ai democristiani: 206 contro 196. Verdi e liberali risultano per ora averne rispettivamente 118 e 92. In un Bundestag per ora allineato sulle 734 presenze, la maggioranza la fanno 368 voti. Quei dieci voti non costituiscono il solco che Scholz avrebbe voluto per tenere alla larga l’avversario Laschet. Se i verdi sono potenziali alleati dell’Spd, non altrettanto può dirsi dei liberali. L’alternativa di un’alleanza socialdemocratica con verdi e La Sinistra potrebbe rappresentare un suicidio politico per il moderato Scholz, ma a parte questa considerazione, il risultato inferiore alle attese dei neocomunisti e i pochi seggi raccattati (39) non consentirebbero comunque di formare la maggioranza necessaria a governare.

Salvo sempre possibili sorprese, due appaiono le maggioranze all’orizzonte: semaforo (i rossi di Scholz con verdi e gialli liberali) o Giamaica (i neri di Laschet con verdi e gialli). Le capitali dell’Unione Europea e nei palazzi di Bruxelles ci si chiede quale sarebbe più conveniente all’atteso rilancio europeo. Ma, almeno per ora, non si trova risposta. A Parigi, la capitale che con Berlino fissa in pratica gli indirizzi dell’Unione, non si nasconde imbarazzo, non tanto per il risultato che va ancora decifrato, quanto per il provincialismo del dibattito elettorale che poco e niente si è occupata degli affari del mondo e dell’Europa, e dei due candidati alla cancelleria. Ci si chiede se davvero la Germania sia in grado di far fronte alle sue responsabilità storiche, che dovrebbero ormai necessariamente esprimersi nella guida dell’Europa negli affari interni ai 27 e verso il mondo.