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August 24, 2021
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La giornata convulsa di Biden, tra trappola Afghanistan e l’ok al piano infrastrutture

Al G7 il presidente USA conferma che la data del ritiro definitivo da Kabul resta il 31 agosto, ma voci dal Congresso non vogliono sia imposta dai talebani

Massimo JausbyMassimo Jaus
Time: 4 mins read

Accordi segreti, ma non tanto, per la fuga dall’Afghanistan. Il direttore della Cia, William Burns, si è incontrato ieri a Kabul con il leader dei talebani Abdul Ghani Baradar. Lo scrive il Washington Post affermando che la missione è stata ordinata dal presidente Joe Biden. Un vis à vis con la nuova leadership afghana per evitare malintesi, proprio per essere sicuri delle posizioni contrastanti. Gli afghani non transigono e hanno fatto sapere che la data del 31 agosto per lasciare l’aeroporto di Kabul è inamovibile. E gli Stati Uniti stanno cercando, per ora, di rispettare i termini. Nel corso di un incontro con la stampa Biden ha detto di seguire le raccomandazioni del Pentagono e di rispettare la scadenza concordata con i talebani.

Per il presidente è stata una giornata convulsa. Da una parte lo scottante problema dell’Afghanistan, dall’altro il mega piano sulle infrastrutture da 3 mila e 500 miliardi di dollari approvato alla Camera dei Rappresentanti. Un piano per ricostruire le infrastrutture del Paese e avviare una lunga serie di riforme sociali. Un programma su cui ha puntato tutta la sua presidenza. Una vittoria importantissima per rilanciare gli Stati Uniti dopo la grave crisi economica causata dalla pandemia.

Per l’Afghanistan la decisione Biden l’ha presa e l’ha comunicata intervenendo al summit del G7 convocato per discutere della situazione a Kabul. Biden ha detto che la data del 31 agosto per il ritiro per ora resta e per andare incontro alle pressanti richieste degli alleati li ha assicurati di aver chiesto al Pentagono di preparare piani di emergenza, pronti a scattare se per qualsiasi motivo sarà necessario restare in Afghanistan anche dopo la fine del mese. Ma questa sua decisione è stata respinta dal portavoce dei talebani, Zabihullah Mujahid, il quale ha detto che qualsiasi estensione del termine già concordato sarà considerata una “violazione”. “Abbiamo visto le dichiarazioni pubbliche del portavoce talebano. Penso che tutti noi comprendiamo cosa voglia dire. Il nostro obiettivo è portare via i civili da Kabul il più velocemente possibile entro la fine del mese” ha detto il portavoce del Pentagono Kirby. I contatti con i talebani avvengono diverse volte al giorno. La situazione richiede ‘deconfliction’, un costante sforzo per evitare scontri, impegno che “finora ha funzionato bene” ha concluso il portavoce.

Una mediazione difficile in un Paese definito la “Tomba degli imperi” per il fallimento di tutte le superpotenze che nel corso dei millenni hanno cercato di conquistarlo. Un Paese difficile da interpretare e soprattutto da capire con una struttura tribale frantumata, coinvolta in lotte centenarie per le rivalità nella coltivazione del papavero per l’oppio, divisa per le differenti composizioni etniche e religiose, piagato dal banditismo e dalla corruzione. Le due lingue ufficiali, il pashto e il dari non sono parlate in una quarantina di distretti che usano altri linguaggi come urdu e uzbeki.

Secondo il giornalista della BBC Kawoon Khamoosh il presidente Ashraf Ghani si è rifugiato a Dubai portandosi 169 milioni di dollari prelevati dalle casse dello Stato. Per la Reuters i milioni di dollari in contanti sarebbero stati trasferiti in elicottero negli Emirati mentre Ashraf Ghani avrebbe preso l’aereo per Dubai. Un Paese che supera le divisioni e trova unità solo nella lotta agli infedeli. In questo complicato panorama è difficile capire chi realmente sia al comando della Nazione, se i muhajdeen siano realmente alleati dei talebani o su chi sia al comando delle forze armate antiamericane. Confusione, incomprensioni, paure, diffidenza tra gli schieramenti tanto che ci sarebbero stati scontri alla periferia di Kabul tra gruppi differenti per la spartizione delle armi lasciate dagli americani.

Immagine straziante di afgani in fuga da Kabul (youTube)

In questo panorama pieno di incertezze il portavoce del Pentagono ha reso noto che solo ieri sono stati portati via dall’aeroporto di Kabul 21 mila e 600 persone: 12 mila 700 usando 37 arei militari americani e 8 mila e 900 persone usando gli aerei della coalizione. Dal 14 agosto sono state evacuate 58 mila 700 persone, 4 mila con passaporto americano. Fuggono da Kabul gli ultimi componenti di una classe dirigente minacciata dall’oscurantismo dell’odio religioso. Riempire i quadri dirigenziali del Paese è di vitale importanza e per questo il portavoce dei talebani Zabihullah Mujahid, ha detto che è stato nominato il nuovo ministro della Difesa, Abdul Qayyum Zakir, detenuto per 6 anni a Guantanamo.  Poi, dopo la fuga di Ajmal Ahmaty, governatore della banca centrale, il portavoce dei talebani ha annunciato che Haji Mohammad Idris sarà il governatore della banca centrale. Da tre settimane le banche sono chiuse. Molti manager sono fuggiti, tanti – secondo France Press – portandosi via anche le chiavi degli uffici. Fuggiti anche i controllori di volo dell’aeroporto di Kabul ora gestito dai militari americani.

Il ritiro da Kabul è inevitabilmente diventato un fatto politico. “E’ molto difficile poter rispettare i tempi – ha detto il congressman Adam Schiff, chairman della Commissione Intelligence della Camera – se dobbiamo portare via tutti gli afghani con doppio passaporto i tempi sono troppo stretti”. Mitch McConnell, leader della minoranza repubblicana al Senato ha suggerito a Biden di abbandonare la data del 31 agosto: “I talebani non ci possono dire quando dobbiamo andar via”.  Dichiarazioni a denti stretti perché ai repubblicani è più difficile da digerire il megapiano di spesa approvato alla Camera che non il tragico ritiro dall’Afghanistan.

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Massimo Jaus

Massimo Jaus

Massimo Jaus, romano e tifoso giallorosso. Negli Stati Uniti dal 1972. Giornalista professionista dal 1974. Vicedirettore del quotidiano America Oggi dal 1989 al 2014. Direttore di Radio ICN dal 2008 al 2014. È stato corrispondente da New York del Mattino di Napoli e dell’agenzia Aga. Massimo Jaus. Originally from Rome and a Giallorossi fan. In the United State since 1972. A professional journalist since 1974. Deputy Editor of the daily paper America Oggi from 1989 to 2014. Has been New York correspondent for Naples' "il Mattino" and for Agenzia Aga.

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