Dobbiamo credere al nuovo volto buono dei talebani? Dobbiamo credere che siano cambiati? Dobbiamo credere che i diritti delle donne saranno garantiti? La mia risposta è No. Una cosa però è evidente a tutti. I talebani hanno imparato a comunicare e lo stanno facendo con grande efficacia su ogni mezzo. Usano i social, dove i loro portavoce fanno propaganda mostrandoci foto e messaggi rassicuranti sulla calma che ora regna a Kabul. Rispondono alle domande delle giornaliste senza irritarsi nella prima conferenza stampa trasmessa sulle tv internazionali. Si fanno intervistare da una conduttrice a Tolo Tv. Telefonano in diretta alla BBC per dire la loro sulla nuova fase storica dell’Afghanistan. Un grande cambiamento, non c’è dubbio, rispetto a quando facevano i falò di tutti gli apparecchi televisivi sequestrati nelle case di Kabul e di quando intrattenevano la folla con la lapidazione di una donna, tra un tempo e l’altro di un incontro allo stadio.
I talebani hanno capito che non è più conveniente restare isolati dal mondo se si vuole governare un paese. È meglio fare accordi e magari anche un governo inclusivo nel quale inserire persino l’ex presidente Karzai o il capo della commissione per la riconciliazione Abdullah Abdullah. Siamo nel regno della fantapolitica, ma è con loro, ai quali si è unito persino il leader jihadista Hekmatyar, che i capi talebani stanno trattando il futuro del paese.

I talebani hanno bisogno di un riconoscimento della comunità internazionale per poter dichiarare una vittoria totale. Speriamo che nessuno in Europa creda alle loro promesse, perché serve tempo per capire quale sia la loro vera faccia e che fine abbiano fatto i loro amici di Al Qaeda, quelli dello Stato Islamico e di altre formazioni terroristiche con le quali hanno fatto affari in questi anni e che sono alla ricerca di un posto dove mettere radici.

La vera domanda è: l’Afghanistan tornerà ad essere un paradiso per terroristi coperti da un governo presentabile? Non lo sappiamo. Ma sappiamo molto bene che difficilmente sarà un luogo vivibile per le donne, perché non lo è mai stato neanche in questi 20 anni di presenza straniera. Nelle grandi città le donne hanno potuto riavere diritti, istruzione lavoro e speranze di un futuro, ma nelle aree rurali sperdute nelle vallate incuneate tra i picchi più alti del mondo le donne non hanno mai avuto alcuna speranza. Da sempre sono costrette a matrimoni forzati per stringere alleanze tra clan e spesso sono date in sposa ancora bambine a vecchi; sono cedute per saldare debiti. Frustate e uccise per colpe assurde come avere avuto rapporti prematrimoniali, muoiono per parto e hanno scarsa assistenza sanitaria e legale.

I talebani stanno preparando da tempo la loro avanzata su Kabul e negli ultimi mesi sono aumentati gli assassinii mirati contro giornaliste, donne giudici, poliziotte e dottoresse. I talebani hanno negato loro responsabilità in questi attacchi, ma poiché da tempo controllano gran parte del territorio è evidente che nulla può accadere senza il loro consenso. Ci sarebbe quindi chi fa il lavoro sporco per i talebani, e sono magari quegli amici integralisti da proteggere una volta instaurato un governo presentabile alla comunità internazionale.

Nascere donna in Afghanistan è da sempre una sfida con la vita. Le donne che fanno lavori di responsabilità non piacciono in una società conservatrice come quella afghana. È difficile imporre un’idea di giustizia e di difesa dei diritti umani in un mondo che ha le sue regole tribali. Come può una donna magistrata giudicare un uomo o difendere un uomo in un tribunale civile? Era Complicato prima, diventa impensabile in una società governata dai talebani che hanno già chiarito di volere un Emirato con la sharia, la legge coranica che loro hanno sempre interpretato nel modo più oscurantista. Le donne sono a rischio, continuiamo a dirlo, ma già una volta le abbiamo abbandonate nelle mani dei talebani e abbiamo visto che cosa è successo. Non ripetiamo lo stesso errore.