Giovedì 15 luglio, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha aggiornato il giudizio sull’andamento della pandemia Covid-19. Lo statement dell’Ottavo Incontro dell’International Health Regulations (2005) Emergency Committee riguardante la malattia da SARS-CoV-2, ha affermato:
despite national, regional, and global efforts, the pandemic is nowhere near finished. The pandemic continues to evolve with four variants of concern dominating global epidemiology. The Committee recognised the strong likelihood for the emergence and global spread of new and possibly more dangerous variants of concern that may be even more challenging to control.
Sotto lo stile felpato della diplomazia sanitaria internazionale, si avverte la forte preoccupazione che non vi sia percezione, nella pubblica opinione, di quanto il SARS coronavirus 2 sia tuttora aggressivo. Gli elementi di allarme evidenziati dal Comitato per l’Emergenza evidenziano che:
– nonostante gli sforzi effettuati, nessun paese al mondo può ritenersi prossimo alla conclusione della vicenda Covid-19,
– la pandemia continua ad evolvere attraverso 4 varianti dominanti (sulle centinaia meno virulente sinora identificate),
– vi è forte probabilità che ci si trovi alla vigilia di un’ulteriore emergenza, con la diffusione globale di nuove più pericolose varianti,
– vi è il rischio che queste pongano sfide anche maggiori alla nostra capacità di controllarle.
Le preoccupazioni dell’OMS valgono in particolare per i paesi dove la vaccinazione non solo è in ritardo, ma verrà completata, nella migliore delle ipotesi, da qui a un anno. È il caso dell’Africa, un miliardo e 300 milioni di persone, dove, ad oggi, nemmeno il 2% della popolazione ha concluso il ciclo vaccinale. Un dato inquietante se si pensa che nel continente nero tutti gli indicatori relativi all’espansione di COVID-19 stanno dando, dal 3 maggio, numeri minacciosi. Ogni tre settimane stanno raddoppiano i casi, e crescono continuativamente decessi e attivi della giornata.
Mai prima l’Africa era andata così male e mai aveva sperimentato un mese così aggressivo come questo luglio, anche considerando il picco di inizio 2021: la cosiddetta terza ondata risulta decisamente più aggressiva delle precedenti, spingendo i casi attivi verso quota 450mila. A metà luglio, l’Africa contribuisce più di ogni altra regione del mondo ad accrescere il numero dei casi e dei morti globali: i decessi, 105mila cumulativi al momento, stanno aumentando oltre ogni previsione, e in quanto ai casi cumulativi si è prossimi ai 4 milioni e mezzo.
Anche se in misura minore, è il complesso dei paesi in sviluppo a temere la presente ondata, in particolare per il ritardo nelle vaccinazioni: non si supera ancora il 2% della popolazione completamente vaccinata. Le nazioni ricche completeranno il ciclo delle vaccinazioni all’inizio dell’autunno; OMC auspica che per l’estate 2022 anche i paesi poveri siano stati vaccinati, benché lo spettro della terza dose stia mettendo a rischio anche questa non proprio rosea prospettiva.
Non è estraneo allo scandaloso divario tra ricchi e poveri nella fruizione del bene primario della salute (in barba alla ricorrente laude occidentale sui diritti umani di seconda generazione), il fattore costo. Usa e UE hanno promesso un ridicolo numero di dosi gratuite rispetto ai bisogni, ma non hanno assunto impegni su date e modalità d’invio. Resta comunque da sapere se forniranno anche la catena del freddo per distribuzione e inoculazione, visto che l’ultima generazione di vaccini prodotti in occidente esigono bassissime temperature. I cinesi, con vaccini tradizionali, stanno facendo parecchio nei paesi in sviluppo: peccato che i loro vaccini, a basso prezzo o donati in una novantina di paesi, coprano tra il 50,4 (valutazione brasiliana) e il 79% (valutazione cinese) dei casi.
I continenti ricchi, in prospettiva, stanno meglio, anche se non è che numeri cumulativi e tendenze spingano a parecchio ottimismo: la variante delta (indiana) allarma, anche perché se ne teme, con il tempo, la possibile accresciuta virulenza. La specificità della delta è che include diverse mutazioni, tra le quali le cosiddette E484Q, L452R e P681R. La loro contemporanea presenza conferisce la potenziale superiore trasmissibilità, con il conseguente pericolo di reinfezione. Tranquillizza i paesi dove la vaccinazione di massa è a buon punto, l’efficacia dimostrata dei vaccini, che hanno ridotto in modo sostanzioso il rischio di decesso ed esteso le forme leggere di malattia, curabili anche a domicilio. Per capire da dove si parte, in questa nuova fase della lotta al virus SARS-Co-2, si riassumono, in tab. 1, alcuni dati di sintesi, registrati in paesi chiave al termine del primo semestre dell’anno.
Dove i vaccini ci sono e sono inoculati gratuitamente dalla sanità pubblica, capita che significative fasce di popolazione rifiutino l’inoculazione. Avviene in base all’età, al livello di scolarizzazione, ad altri fattori.
Gli stati rispondono come possono, in genere attraverso campagne di opinione pubblica che utilizzano volti amici e affidabili: attori, atleti, animatori televisivi. In Russia, il primo paese a produrre il vaccino, alla fine di giugno aveva completato la vaccinazione solo il 13% della popolazione. Nessuna sorpresa, da quelle parti diffidano, a ragione, del governo: già in aprile un’indagine demoscopica di Levada, spiegava che il 62% dei russi avrebbe rifiutato il vaccino e che il 56% preferiva rischiare i danni di Covid-19 piuttosto che quelli di Sputnik V. Vladimir Putin ha provato a convincere la massa di scettici con un argomento ritenuto persuasivo, in linea con l’amabilità che da sempre contraddistingue il suo linguaggio: “Ė affidabile quanto i nostri fucili d’assalto Kalashnikov”. Pare che non gli abbiano creduto; la buonanima di Mikhail Kalashnikov non se ne abbia, non è stato il suo AK-47 a finire sotto schiaffo. Il risultato della faccenda è che le fonti ufficiali russe denunciavano l’11 luglio 25.033 nuovi casi in un giorno (che andavano a sommarsi ai 25.082 del 10 e ai 25.766 del 9) e 749 morti. Il tutto, dopo un prospetto primaverile piuttosto stabile, e l’impennata imprevista della curva dal 4 giugno con 8.947 casi.
Non disponendo della grazia e delle risorse putiniane, in alcuni paesi si è proceduto con piccoli omaggi ai vaccinati. In Francia Macron ha fatto capire che senza la certificazione vaccinale si rischia di starsene tappati in casa. In Italia si sono avuti casi di minorenni che hanno denunciato i genitori no vax che rifiutavano il consenso al vaccino. In Italia, peraltro, ci sono tuttora 2 milioni di ultrasessantenni che non vogliono vaccinarsi e 2,55 milioni che attendono la seconda dose: più di 4 milioni e mezzo di fascia fragile, una buona metà votata, per ora, al rifiuto.
Il fatto è che molti degli esitanti vogliono certezze scientifiche riguardo ai vaccini, che nessuno è in grado di produrre: riguardano l’efficacia nel lungo periodo e l’assenza di effetti collaterali dei vaccini mRNA Covid-19. Nella storia della medicina, la scienza è sbarcata solo di recente nel territorio delle pesti e delle pandemie, e non possiamo chiederle più di quanto già ci consegna: serve tempo perché accumuli dati, li elabori e quindi accresca capacità e abilità di curare.
In base a quanto esposto non sorprenderà l’evoluzione dell’anno rappresentata in tab. 2.
Il virologo tedesco Alexander Kekulé, direttore dell’Istituto di microbiologia medica a Universitätsklinikum Halle (Saale) dichiarò nel novembre 2020. “In Cina, il virus originario fu arrestato piuttosto presto. Lo stesso sarebbe potuto succedere a noi; sarebbe bastato usare i loro stessi metodi”. La questione posta da Kekulé, alla luce dei dati in tab. che riguardano l’Europa e le Americhe, appare piuttosto seria, anche perché gli epidemiologi – e la presa di posizione dell’OMC citata in apertura va nella stessa direzione – annunciano altre epidemie in arrivo, chiedendo sorveglianza e disciplina, unici strumenti per prevenire altri passaggi di virus da animale a umani. Sono passati dieci anni da quando David Quanman avvertì sugli imminenti e ripetuti Spillover ai quali saremmo stati sottoposti: nel decennio trascorso, come si sono preparati i sistemi sanitari pubblici che mediamente assorbono nel mondo intorno al 6,5% delle risorse nazionali?
La Cina fece una pessima figura tra il 2002 e il 2003, in occasione dell’influenza aviaria. Il partito Comunista dovette vedersela con proteste e rivolte interne. Deve aver appreso la lezione, o ha funzionato il binomio dottrina-tecnologia ammannito al paese dalla leadership di Xi; per quanto ne sappiamo un paese di 1 miliardo e 400 milioni di persone ha impiegato due mesi per abbattere la curva di crescita del Covid-19.
Il sistema sanitario italiano non ha neppure aggiornato, dal 2006, il suo “piano di preparazione e risposta a una pandemia influenzale”, un fatto che ha certamente qualcosa a che vedere con i numeri che, in tabella 1, riguardano l’Italia, e oggi ha davanti cifre sanitarie ed economiche rovinose.
In Spagna il 14 luglio la Corte Costituzionale decide a maggioranza (6 a 5) che il rigoroso confinamento domestico incluso nello stato di emergenza dichiarato dal governo Zapatero per contenere la prima ondata infettiva di COVID-19 a marzo 2020, era incostituzionale. La decisione dela corte è arrivata in risposta al ricorso presentato dal partito di estrema destra Vox, che aveva definito le misure una sospensione delle libertà civili. La corte ha discettato sulla differenza tra sospensione e limitazione delle libertà e affermato che certe misure possono essere assunte solo con la procedura prevista per lo stato d’assedio, ovvero previa approvazione del parlamento, non per decretazione urgente del governo.
È l’occidente in generale a doversi interrogare, perché dalla tabella 2 apprende che la pandemia ha colpito preferibilmente (in epoca pre-vaccinazione), la regione euro-americana, e che a giugno 2020 mentre in Cina gli effetti del virus risultano sterilizzati da mesi (v. tab. 1), nell’area in questione esplodono. Alla fine di giugno 2021, euro-americhe, con meno di ¼ della popolazione mondiale, sperimenta il 72% dei casi globali e il 78% dei decessi. Il fatto che la percentuale dei decessi sia più alta di quella degli infetti è un ulteriore elemento di preoccupazione per europei e americani. Basta andare con la memoria ai giorni scorsi, con le moltitudini di tifosi assembrati e festanti che a Roma e Buenos Aires festeggiavano i calciatori che avevano prevalso nei rispettivi tornei europeo e americano, per capire che nessuna resipiscenza è prevedibile, almeno a breve.
Il che non consente nessuna seria prospezione sul futuro andamento della pandemia, almeno in Europa e nelle Americhe.
Nel frattempo il modello CoCo (confuciano comunista) di salute pubblica e di diplomazia sanitaria, portato avanti con terribile coerenza da Xi Jinping, avanza e pianta bandiere commerciali e culturali (e ora anche militari) sulla nuova via della Seta. Le menti di molti occidentali guardano sgomenti a come i loro governi hanno gestito e gestiscono la pandemia, ed elaborano scenari preoccupati sul futuro del modello di democrazia che hanno sinora goduto.
Discussion about this post