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Joe Biden a Tulsa per scovare il razzismo nascosto e sempre in agguato

Nella città dell'Oklahoma il presidente tiene il discorso per commemorare 100 anni dalla strage e inaugurare il museo di Greenwood Rising; intanto in Texas...

Massimo JausbyMassimo Jaus
Time: 6 mins read

“Il razzismo non è stato sconfitto in America, si è soltanto nascosto aspettando il momento giusto per riemergere” con queste parole il presidente Joe Biden ha inaugurato a Tulsa, in Oklahoma, il museo Greenwood Rising  per commemorare il centesimo anniversario del massacro commesso dai suprematisti bianchi tra il 31 maggio e il primo giugno del 1921.

Non si sa con esattezza quante persone furono uccise: furono fatte fosse comuni senza nessun segno di riconoscimento e molti sopravvissuti vennero terrorizzati e fuggirono. Secondo alcune stime il numero delle vittime potrebbe essere tra 100 e 300, tutti abitanti del quartiere di Greenwood, il più prosperoso della città, che venne raso al suolo. Migliaia di persone persero i loro familiari, interi gruppi familiari uccisi, distrutte le case, i negozi. I sopravvissuti furono minacciati di non raccontare a nessuno della strage.

Biden nel primo pomeriggio ha incontrato gli ultimi tre sopravvissuti del massacro e ha visitato Greenwood, il quartiere di Tulsa che ospitava una delle più fiorenti comunità afroamericane, tanto da essere chiamato “The black Wall Street”. Ha inaugurato il museo dicendo “Sono qui per fare chiarezza. Sono il primo presidente che viene qui e che vuole che la verità sia conosciuta in America. Le violenze di Tulsa non sono state disordini razziali, ma un massacro”, ha detto Biden. “La verità non può essere ignorata, Quello che la gente si rifiuta di vedere non può più essere nascosto. Il razzismo è la minaccia più pesante che il Paese sta affrontando. La libertà di voto è sotto assalto” ha proseguito Biden.

Joe Biden a Tulsa (Youtube)

Il presidente ha poi elencato una serie di misure e finanziamenti per ridurre il divario economico tra gli americani afroamericani e quelli bianchi. Biden ha detto che ha dato ordine al ministro delle costruzioni abitative, Marcia Fudge, di creare un fondo di 100 milioni di dollari per cercare di eliminare la segregazione razziale nell’acquisto delle case che per legge non è ammessa, ma di fatto è ampiamente applicata.

Massacro di Tulsa in Oklahoma, 1921 (wikipedia)

Nonostante le dimensioni tragiche, la strage di Tulsa è stata per anni nascosta e poi minimizzata. E’ riemersa solo di recente nel dibattito nazionale. Il presidente, il primo in carica a visitare questa città dell’Oklahoma per ricordare una delle pagine più buie e più nascoste della storia americana, ha detto che userà il potere di acquisto federale per aumentare del 50% i contratti con le piccole imprese svantaggiate, una mossa che secondo la Casa Bianca si tradurrà in altri 100 miliardi di dollari in cinque anni. Biden ha invitato a  “riflettere sulle radici profonde del terrore razziale nella nostra nazione” impegnandosi a lavorare per sradicare il razzismo.

Il presidente ben sa che senza il voto afroamericano la sua conquista della Casa Bianca non sarebbe stata possibile e si è impegnato a combattere il razzismo sia economico che da parte  delle forze di polizia sulla scia delle proteste dopo l’uccisione di George Floyd e di presentare una proposta di legge per cambiare le regole elettorali per renderle più eque. “Non bisogna eliminare gli elettori, ma educare l’elettorato – ha detto il presidente – Il razzismo non è stato sconfitto, si è solo nascosto”.

Giugno 2020, Union Square, New York: La passeggiata dell’ironia (di Terry W. Sanders)

Nelle settimane scorse Biden aveva chiesto al Congresso di affrontare rapidamente la riforma della polizia, ma fino ad ora non è riuscito a ottenere il risultato sperato. Il disegno di legge dopo l’approvazione della Camera è ora bloccato al Senato con la minaccia del filibuster da parte dei repubblicani. Per ora le trattative proseguono e oggi Mitch McConnell, il leader di minoranza repubblicana al Senato, ha detto che il punto da superare resta la “qualified immunity” una misura approvata anche dalla Corte Suprema, che ammette l’esenzione delle denunce civili per gli agenti, che i democratici vogliono togliere. Ma questa immunità sulle violenze della polizia già era stata rimessa in discussione dopo l’uccisione di  Eric Hasser  proprio a Tulsa.

La minaccia del filibuster, la tattica della minoranza per bloccare le decisioni della maggioranza, è entrata di prepotenza nel dibattito politico dopo il voto della settimana scorsa con cui è stato bloccata l’approvazione della commissione d’inchiesta sull’insurrezione del 6 gennaio. Il vento della riforma soffia, ma due democratici, Joe Manchin e Kyrsten Sinema, non si allineano con il partito. La settimana scorsa la senatrice dell’Arizona pur di non votare per la formazione della commissione non è andata al Senato. Senatori democratici che Biden ha sottolineato “sono più alleati con i miei amici repubblicani” che con il loro partito.

Né, tantomeno, nessun repubblicano in questo momento voterebbe per rimuovere l’arma più forte in mano loro per bloccare le iniziative della Casa Bianca e della maggioranza del Congresso.  In questa situazione, nonostante la maggioranza sia alla Camera che al Senato, Biden non può portare avanti quelle riforme che vorrebbe fare come quella della legge elettorale federale per contrastare le iniziative restrittive imposte dai singoli Stati in cui il potere politico è in mano ai repubblicani che, allarmati dai risultati elettorali nel loro Stato in cui la gente ha scelto i candidati democratici, stanno facendo di tutto per emarginare l’elettorato anziano e quello afroamericano e ispanico che con queste misure restrittive vengono penalizzati.

Nelle zone rurali, dove i seggi sono distanti molte miglia dai piccoli villaggi, sono state tolte le cassette elettorali in cui una sola persona poteva imbucare anche le schede dei vicini di casa. Varate anche molte altre misure restrittive come vietare la possibilità di portarsi una sedia pieghevole per non stare in piedi nella fila ai seggi,  o dare una bottiglia d’acqua ad una delle persone in fila per il voto, o ritardare l’apertura dei seggi nelle zone a maggioranza afroamericana. Tutto ciò poiché per tradizione l’elettorato afroamericano nelle zone rurali vota la domenica mattina presto. Alle scorse elezioni la prima sosta dell’autobus usato per andare in chiesa la domenica era davanti le cassette elettorali dove veniva imbucato il loro voto e poi tutti a messa. Dopo la sconfitta elettorale di Trump gli Stati della Georgia, Pennsylvania, Arizona ai quali  poi si sono aggiunti anche la Florida e il Texas hanno fatto, o stanno facendo, leggi con queste restrizioni spacciate come misure contro i brogli elettorali. Anche se, come ampiamente dimostrato dai tribunali, dalle indagini dell’Fbi e smentiti dall’Attorney General repubblicano William Barr e dal capo della cybersicurezza, Christopher Krebbs nominato dallo stesso Trump, i brogli elettorali non ci sono stati. Ma la “Grande Bugia” unisce e coalizza il popolo MAGA, i seguaci di Trump che rifiutano la verità e seguono ciecamente il racconto dell’ex presidente. Così, con la scusa delle elezioni truccate si cerca di eliminare o limitare l’ampia fascia di elettori democratici composta dagli anziani e dalle minoranze etniche.   

In Texas durante il weekend si è assistito ad un curioso braccio di ferro tra il governatore repubblicano e i legislatori statali democratici. La maggioranza repubblicana aveva preparato un disegno di legge statale per le nuove leggi elettorali con una lunga serie di misure restrittive nonostante la forte opposizione dei democratici. I numeri della maggioranza repubblicana non lasciavano dubbi che la legge sarebbe passata in aula. I democratici non si sono dati per vinti e prima del voto sono usciti dall’edificio del Congresso statale facendo mancare il quorum per il voto. Son dovuti andare fuori dal palazzo perché l’assenza solo dall’aula sarebbe stata considerata “momentanea”, quindi presente, ma non in aula. Cosa impossibile, invece se uscivano fuori dall’edificio. Una sottile differenza che avrebbe influito sul quorum. Uscendo dal palazzo, invece, sono stati obbligatoriamente considerati assenti. Il governatore Greg Abbott, seguace di Trump, ha minacciato i parlamentari democratici di bloccare loro lo stipendio per punirli della loro assenza. 

Gregg Abbott, governatore del Texas

Tra tutti i governatori repubblicani Greg Abbott è forse il più reazionario e non solo per la riforma elettorale e per diffondere le bugie dell’ex presidente, ma per ignorare le stragi settimanali e facilitare l’acquisto delle armi e anche per limitare le possibilità dell’aborto. 
Nei giorni scorsi Abbott gongolava per la legge approvata dal parlamento statale con cui per acquistare una pistola non serve più mostrare un documento di riconoscimento e tantomeno registrare la matricola dell’arma. Niente permesso, niente porto d’armi: nulla. Unica restrizione se nell’autocertificazione l’acquirente scrive i suoi precedenti penali. La misura è stata sostenuta dal governatore che ha confermato che quanto prima la promulgherà nonostante l’opposizione della polizia e della maggioranza dei texani.

Per quanto riguarda le interruzioni volontarie di gravidanza, invece, il governatore del Texas ha firmato una legge che le vieta al di là della sesta settimana di gravidanza, senza eccezioni come violenza sessuale o l’incesto.

Un’America reazionaria, questa lasciata in eredità a Biden, i cui bassi istinti sono stati risvegliati dall’ex presidente tra quella parte del Paese che non solo vuole ignorare le vergogne del passato, ma addirittura cerca di modificare a proprio vantaggio le regole fondamentali della democrazia.

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Massimo Jaus

Massimo Jaus

Massimo Jaus, romano e tifoso giallorosso. Negli Stati Uniti dal 1972. Giornalista professionista dal 1974. Vicedirettore del quotidiano America Oggi dal 1989 al 2014. Direttore di Radio ICN dal 2008 al 2014. È stato corrispondente da New York del Mattino di Napoli e dell’agenzia Aga. Massimo Jaus. Originally from Rome and a Giallorossi fan. In the United State since 1972. A professional journalist since 1974. Deputy Editor of the daily paper America Oggi from 1989 to 2014. Has been New York correspondent for Naples' "il Mattino" and for Agenzia Aga.

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