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January 12, 2021
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L’FBI teme scorra ancora il sangue e chiede aiuto, Trump dal Texas non cede

L'agenzia federale avverte che ci potranno essere altri scontri ancora più duri, il Congresso accelera sull'impeachment e ora Mitch McConnell sembra favorevole

Massimo JausbyMassimo Jaus
Time: 5 mins read

L’America è in allarme. La paura di nuovi e più violenti scontri non solo a Washington, cresce con l’avvicinarsi del giorno in cui Joe Biden sarà investito della presidenza. Allarmi lanciati dall’Fbi, dalla Homeland Security. Minacciati e promessi dagli irriducibili difensori di Trump che definiscono “patriots” questi terroristi americani.

L’Fbi sta monitorando notizie di varie minacce rivolte a Biden in vista della cerimonia di giuramento. Altre notizie indicano che nel mirino ci sarebbero anche la vicepresidente eletta Kamala Harris e la speaker della Camera Nancy Pelosi. Minacce non tanto campate in aria se Steve D’Antuono, Assistant director dell’Fbi e Michael Sherwin, Acting US Attorney per il District of Columbia, hanno tenuto una conferenza stampa chiedendo agli americani aiuto per segnalare eventuali preparativi per atti di violenza armata per i prossimi giorni. D’Antuono ha detto che gli uffici dell’Fbi hanno ricevuto più di 100 mila fotografie, filmati, informazioni su quanti hanno preso parte alle violenze del 6 gennaio e che gli agenti stanno esaminando un fotogramma alla volta. Finora sono state individuate 160 persone, quasi tutte arrestate. Michael Sherwin ha puntualizzato che chi ha preso parte all’assalto al Campidoglio rischia fino a 20 anni di prigione. Che è stata messa una taglia di 50 mila dollari per la cattura di chi ha gettato  gli ordigni esplosivi vicino le sedi del partito democratico e repubblicano. Minacce non tanto campate in aria se il capo dello Stato Maggiore Congiunto, il generale Mark Milley ha mandato un messaggio per ricordare ai militari di rispettare il giuramento di fedeltà alla Costituzione.

La Guardia Nazionale è stata mobilitata, 15 mila militari verranno dislocati in tutto il Paese. Il tam tam dei trumpiani invita alla lotta, questa volta armata, chiamando a raccolta milizie e suprematisti. Avvertimenti? Minacce? Difficile l’interpretazione, ma gli americani temono il peggio. Oramai i confronti, i litigi per strada, negli aeroporti, nei negozi tra i seguaci e gli avversari di Trump sono all’ordine del giorno. Dopo che sono state avviate le inchieste su alcuni agenti del Congresso e sui militari che, benché chiamati sette volte dalla polizia e dal responsabile della sicurezza del Campidoglio, non sono intervenuti, è evidente come il paese sia fratturato. Come i nemici della Costituzione siano infiltrati anche nell’apparato della sicurezza dello Stato.

L’FBI ha richiesto l’aiuto del web per identificare i dimostranti che si sono introdotti nel Campidoglio e i loro mandanti.

Il Washington Post pubblica che l’Fbi avvertì il giorno prima i vertici della sicurezza del Congresso, della “guerra violenta” che sarebbe stata scatenata mentre veniva certificata la vittoria di Biden. Avvertimenti ignorati. Per incapacità? Volontariamente? L’inchiesta lo dirà per ora sono stati tutti licenziati in tronco. Sono state avviate le indagini su una decina di agenti per il loro ruolo nell’assalto. Due sono già stati sospesi. Secondo il New York Times tra i dimostranti ci potrebbero essere stati anche agenti stranieri per radicalizzare i rivoltosi. Poi avrebbero partecipato alle violenze anche agenti di polizia di diverse città americane, vigili del fuoco, paramedici. Il sindaco di New York, Bill de Blasio ha detto che se l’Fbi riconoscerà qualsiasi dipendente pubblico di New York che ha preso parte alla rivolta, sarà licenziato.

Joe Biden ha detto che non teme di prendere parte alla cerimonia del giuramento all’aperto, nonostante l’Fbi abbia suggerito di spostare la cerimonia all’interno del Congresso per motivi di sicurezza.

In questo clima di incertezza la politica continua a fare il suo corso. I democratici non vogliono fare sconti a Trump, lo vogliono inchiodare alle sue responsabilità, alle conseguenze delle sue bugie. E non mollano la presa. I repubblicani puntano i piedi e cercano appigli per rinviare il dibattito al “dopo Trump” quando il presidente avrà già lasciato la Casa Bianca. Rinviarlo, forse. Eliminarlo, impossibile perché i numeri li condannano.

Alla Camera si dibatte sull’impeachment nei confronti del presidente accusato di “incitamento all’insurrezione” per le violenze al Campidoglio esplose dopo il suo incendiario discorso davanti la Casa Bianca. Il voto è per domani. La procedura vuole che dopo il rinvio a giudizio da parte della Camera dei Rappresentanti il Senato tenga le udienze.

Donald Trump and Mitch McConnell. Photo by The White House (Flickr).

Il capo della maggioranza al Senato, Mitch McConnell, da un lato, con una scusa procedurale, si rifiuta, per ora, di convocare i senatori che fino al 20 gennaio sono in vacanza. Ma anche, secondo alcune fonti che lo avrebbero rivelato al New York Times, avrebbe rivelato ai suoi stretti collaboratori e altri senatori di essere ben contento che Trump sia impeached per la seconda volta, perché questo aiuterebbe il Gop a sbarazzarsi di lui per le elezioni del 2024. Il vicepresidente Mike Pence non si è pronunciato. Dopo che la Camera dei Rappresentanti approverà l’impeachment avrà 24 ore di tempo per decidere se avviare la procedura per il 25mo emendamento della Costituzione che toglie i poteri al presidente.

Pence non parla, non si fa vedere, né lui né i suoi portavoce. Molti repubblicani preferirebbero una mozione di censura. Nessuno della leadership repubblicana, che a parole ha condannato le violenze, se la sente di contrastare apertamente il presidente. Mancano 8 giorni alla fine del mandato di Trump e il pensiero diffuso è quello di far finire la sua presidenza e poi dopo il 20 gennaio, quando i democratici avranno la maggioranza sia alla Camera che al Senato, il problema non sarà più loro. 

Il Washington Post scrive che per bandire Donald Trump dai pubblici uffici non è necessario l’impeachment, basterebbe applicare la terza sezione del 14/mo Emendamento della Costituzione. Ad affermarlo sono due autorevoli costituzionalisti, Bruce Ackerman professore alla scuola di Legge dell’Università di Yale e Samuel R. Rosen, dell’Indiana University. I due cattedratici affermano che la terza sezione del 14/mo emendamento prevede tra l’altro che nessuna persona che abbia prestato giuramento come funzionario esecutivo possa ricoprire alcuna carica civile o militare se si accerta che è stata coinvolta “in insurrezione o ribellione” contro la Costituzione. Secondo loro basterebbe solo un voto di maggioranza semplice di entrambe le camere, anziché i due terzi previsti in Senato per la condanna nel processo di impeachment.

Questa mattina Trump è riapparso in pubblico e lo ha fatto con una visita a Alamo, in Texas. L’intenzione era quella di dare un altro messaggio ai suoi irriducibili seguaci visitando una parte del “muro” che in Texas è riuscito a costruire.  Ha parlato alla stampa, dopo che Twitter e Facebook gli hanno tolto la parola. E lo ha fatto alla sua maniera accusando gli “altri” per la rivolta del 6 gennaio. Ha puntato il dito sui democratici. “L’impeachment è il prosieguo della più grande caccia alle streghe della storia” aggiungendo che questa nuova incriminazione al Congresso  è ridicola “e sta provocando una rabbia incredibile eppure lo stanno facendo. E’ una cosa terribile quella che stanno facendo”. Poi ha avvertito i leader democratici di Camera e Senato: “Per Nancy Pelosi e Chuck Schumer proseguire su questa strada significa mettere in pericolo il paese”.

Trump ha poi difeso quanto da lui detto poco prima dell’assalto dei suoi sostenitori al Campidoglio. “La gente ha pensato che quello che ho detto fosse totalmente appropriato”. Il presidente poi ha accusato quanto detto da altri “politici di alto livello, rispetto ai terribili scontri quest’estate a Portland e Seattle e in altri posti”. “Questo – ha sostenuto Trump – è stato il vero problema, quello che loro hanno detto”.

Come al solito il presidente vive nella sua realtà e non si assume le sue responsabilità.

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Massimo Jaus

Massimo Jaus

Massimo Jaus, romano e tifoso giallorosso. Negli Stati Uniti dal 1972. Giornalista professionista dal 1974. Vicedirettore del quotidiano America Oggi dal 1989 al 2014. Direttore di Radio ICN dal 2008 al 2014. È stato corrispondente da New York del Mattino di Napoli e dell’agenzia Aga. Sposato, 4 figli. Studia antropologia della musica alla Adelphi University. Massimo Jaus. Originally from Rome and a Giallorossi fan. In the United State since 1972. A professional journalist since 1974. Deputy Editor of the daily paper America Oggi from 1989 to 2014. Has been New York correspondent for Naples' "il Mattino" and for Agenzia Aga. Married, 4 children. Studies Anthropology of Music at Adelphi University.

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