
Se non bastassero anni e anni di politica studiata e raccontata nei libri, a confermare l’autorevolezza delle parole di Nadia Urbinati c’è il suo lungo e prestigioso curriculum.
Accademica, politologa e giornalista, è titolare della cattedra di scienze politiche alla Columbia University di New York, ha pubblicato saggi sul liberalismo, sul filosofo John Stuart Mill, sull’individualismo e sui fondamenti della democrazia rappresentativa, oltre ad essere membro nel Comitato Scientifico dell’Associazione Reset. Ha collaborato con i maggiori quotidiani italiani come La Repubblica, Il Fatto Quotidiano, Il Sole 24 Ore, il Corriere della Sera. Ora anche con Domani.
Con lei abbiamo parlato di Italia e Stati Uniti, due paesi che, pur di entità e origini diverse, stanno tentando di uscire da una crisi.
Avrebbe mai immaginato di assistere a uno scenario come quello di ieri?
“Beh no, proprio no. È chiaro che è cambiata molto la politica degli Stati Uniti da quando io sono arrivata nel 1987. All’epoca c’era ancora “la politica” e i partiti tenevano una distanza rispetto all’opinione corrente. C’era un’idea di istituzione che non era compromessa, come la è oggi, da condizioni sociali difficili e negli Stati Uniti, ancor più che in Italia, c’era soprattutto una grande identificazione tra popolo e istituzioni, tra opinione comune della gente e istituzione. Questo mi ha sempre colpito positivamente, perché dava un segno di forza e di robustezza del sistema, quindi ciò che è avvenuto ieri è fuori da ogni previsione”.
Qualcuno sostiene che quello di Trump sia fascismo e che le persone che ieri a Washington hanno fatto irruzione fossero squadriste. Lei è d’accordo?
“Bisogna stare molto attenti a non usare il passato come modello da applicare o appiccicare al presente, quindi non sono d’accordo e credo non ci serva nemmeno. Il fascismo è un’altra cosa e non va scorporato dal suo contesto storico. Ci sono altri colleghi, e io stessa un po’ l’ho fatto, che fanno riferimento a un’analogia più con alcuni eventi dell’antica repubblica romana, dove si avevano colpi di mano, di uso della folla o della plebe come arma di attacco contro altri nemici o altri concorrenti. Tutte queste similarità ci sono e possono trovarsi però senza dare un nome, che sia quello degli antichi o quello fascista. È un fatto legato al nostro tempo, ai problemi della società di oggi che è cambiata rispetto al tempo del fascismo”.
Cosa pensa che succederà da qui al 20 gennaio?
“Posso sbagliare, ma credo che Trump da non politico e da uomo d’affari con un gran problema di portafoglio e di questioni giuridiche penali, come ad esempio la questione delle tasse, faccia di tutto per rendere la situazione incandescente, così da chiedere qualcosa in cambio. Lui non è un tiranno alla ricerca di un potere assoluto, non è uno che vuol rovesciare il sistema, ma che vuole far capire che può generare tanta confusione e tanto rischio. Il rischio funziona più di ogni altra cosa per poter ricevere in cambio qualcosa. Il fatto è che non ha fatto i conti con il sistema stesso, perché ci sono delle regole, delle leggi, un emendamento che definisce il suo un atto di sedizione, quindi finisce per andare incontro a un problema ancora maggiore. Noi però dobbiamo comprendere che il problema non sia Trump, quanto piuttosto il movimento che ha messo in piedi”.
Trump e il trumpismo dureranno anche senza la Casa Bianca? E quanto possono essere ancora influenti fuori dall’ufficio ovale?
“È proprio questo che ci deve interessare, perché Trump ha cambiato il partito repubblicano, creando un partito dentro al partito, e bisogna vedere fino a che punto i repubblicani siano convinti che questo “corpo” sia da espellere. L’altro problema serio è che l’America ha una realtà disgregata, con masse di popolazione sempre più insoddisfatti che hanno dei problemi seri socio economici e che non hanno punti di riferimento politici capaci di organizzare il loro dissenso. Quindi spetta al partito democratico, e per me il modello Georgia è molto importante, fare in modo che i trumpisti diventino un gruppetto irrisorio”.

Che idea si è fatta del comizio di Trump che ieri ha “dato il via” alla protesta a Washington?
“Lui ha cercato tutto questo. Non credo che sia molto coraggioso, cerca l’interesse ma non si espone in prima persona e infatti ha mandato avanti questo drappello di persone con discorsi incendiari. Dalla chiamata al governatore della Georgia per quei famosi voti, al continuo riferimento all’insoddisfazione popolare fino al tema del furto del voto. Trump è da molto che gonfia le vele di quel movimento che ieri è entrato a Capitol Hill. Ha portato i suoi “vichinghi” lì dentro, però lui non si è mosso. L’obiettivo era quello di mostrare quanto potere può avere, quanto fosse in grado di mobilitare la gente”.
Joe Biden non è certamente la personalità più carismatica che la presidenza degli USA abbia avuto, ma ha molto a cuore la cura della democrazia. Pensa sia ciò di cui l’America abbia bisogno?
“La democrazia è una cosa molto complicata. In questo momento gli Stati Uniti hanno dimostrato che sia possibile avere un presidente che sbeffeggia le procedure, le regole e le istituzioni e questo è sempre possibile in tutte le democrazie. Però a me pare che, dal punto di vista istituzionale, la democrazia americana abbia tenuto bene. È vero che il problema c’è, ma è sbagliato guardare soltanto l’aspetto politico e insistere sempre sull’aspetto istituzionale, perché ci sono problemi più seri. Se guardo l’America vedo una società che vive con un’ideologia egemonica, basata sul “sogno americano” che è quello che tiene tutti legati. Se la promessa contenuta in quel “sogno” non viene mantenuta, il problema diventa sociale ed economico. Nelle zone periferiche delle grandi metropoli c’è gente che vive come i topi, andando alla ricerca del cibo e di un lavoro per poche lire. Queste persone non vivono in maniera dignitosa ed è un problema. Una democrazia non può avere questa larga fascia di persone che sono cittadini di serie B”.
Negli USA si dice che il record di contagi sia colpa di Trump e della sua sottovalutazione della pandemia agli inzi etc. E in Italia?
“Abbiamo visto che ci sono stati governi che per scelta, o per opportunità, o per non rischiare di essere criticati, hanno preso la decisione di non far nulla. Questo è il caso di Bolsonaro in Brasile e del primo Johnson in Inghilterra. Hanno questa idea di non appesantire lo Stato e fare in modo che le cose si risolvessero da sole. Così non è successo ed è evidente che abbiano sbagliato, ma anche gli stati virtuosi, tra i quali metto anche l’Italia, si sono trovati nuovamente in autunno in una situazione complicata. Questo è dato dal fatto che per i cittadini non fosse più possibile sopportare mesi di chiusura, quindi sono state fatte scelte di mediazione e di compromesso. Adesso l’Italia si è assestata su queste colorazioni giallo- arancione-rosso e la situazione è cambiata, però non illudiamoci perché i morti ci sono e il contagio c’è. Nessun governo può fermarli del tutto, solo il vaccino può”.

Che giudizio dà dell’operato di Giuseppe Conte durante la pandemia?
“Per me è stato buono. Se dovessi dare da 1 a 10 direi che, in alcuni momenti nella pandemia, raggiunge il 9 e in alcuni momenti il sei. Di sicuro non è mai arrivato all’insufficienza. Ha avuto voti bassi quando ha cercato di togliersi le castagne dal fuoco e lasciare il comando alle regioni, anche se con il titolo V della nostra Costituzione il rapporto regione-stato è complicato e litigioso, quindi è un problema non solo di Conte. Lui è stato bravo, considerando che non fosse un politico di professione e che si è trovato nel momento della necessità. Io ho fiducia in questo Presidente”.

Matteo Renzi continua a minacciare di ritirare le ministre. Ma avrà davvero il coraggio di far seguire i fatti alle parole?
“Renzi somiglia un po’ a Trump da questo punto di vista, perché vuole mostrare di essere capace di generare un rischio forte per poi contrattare. È un potere di veto quello che vuole avere, perché ha un piccolo movimento non ancora testato alle urne che però è grande abbastanza da far cascare il governo. È evidente che giochi al rialzo, vuole fare un rimpasto e cambiare ministri, ma il suo problema è che, contrariamente a ciò che dice, non ha oggetti veri sui quali dissentire con il Conte. Insomma, io penso che sia una ragione tutta personale e di potere e che il suo fine sia quello di diventare Presidente del Consiglio. Siccome poi nessuno vuole andare alle elezioni, fare pressioni continue potrebbe essere una strategia per arrivare a Palazzo Chigi”.
Secondo lei sarebbe un problema far cadere il governo in questo momento, dato l’inizio della campagna di vaccinazione?
“Se fosse una situazione normale sarebbe giusto farlo cadere, ma ora che bene viene al nostro Paese? A febbraio dobbiamo presentare il Recoveri Plan con tutte le sue diramazioni e il calcolo dei costi e poi fare in maniera monitorata la vaccinazione. Ma siamo seri? questa gente non ha nessun interesse per il bene pubblico, questa è la triste realtà”.
Gli americani due mesi fa sono andati alle urne, perché in Italia i membri della maggioranza sostengono che da noi il voto sia fuori discussione a causa delle difficoltà dovute alla pandemia?
“Negli Stati Uniti la situazione è diversa, loro non devono avere un Recovery Plan e poi gli Stati della Federazione sono autonomi nella gestione della pandemia e della vaccinazione. Se da noi arrivasse a breve la fine naturale della legislatura sarebbe giusto andare a votare, ma qui si vuol far cascare il governo e anticipare la chiamata alle urne. Io sarei per elezioni anticipate, ma questo non è il momento”.

Il PD ha qualcosa da imparare dalle ultime vittorie democratiche in USA?
“Senza dubbio, ma so già che non imparerà, perché è un partito ormai arrivato al capolinea. Non ha più nulla da dire e non ha collante interno. Dai democratici in America si impara una cosa fondamentale e la Georgia ne è un esempio, perché lì è riuscito a fare in tutte le contee un lavoro straordinario. Se il PD non comprende che deve davvero tornare a fare attività sul territorio allora non riuscirà a riemergere. Inoltre, in questi mesi non ha prodotto uno straccio di una proposta che abbia a che fare con il Recovery Plan. Il PD è l’unico partito dentro la maggioranza, ma si comporta esattamente come un non-partito”.
Con la legge elettorale attualmente in vigore non riusciamo ad avere stabilità. In un paese come l’Italia, dove la stabilità sarebbe fortemente necessaria, sarebbe utile tornare ad un sistema maggioritario?
“Il nostro paese è stato rovinato dall’idea di molti politologi che cambiare legge elettorale possa risolvere i problemi italiani. Noi è dal ‘92 che cambiamo legge elettorale continuamente e i problemi sono sempre peggiorati, quindi non credo che la legge elettorale sia la medicina risolutiva. In ogni caso, io ritengo che l’Italia sia un Paese plurale, e questo pluralismo non può essere sacrificato con un maggioritario secco come accade in Inghilterra. Da noi la soluzione migliore rimane il proporzionale, almeno alla Camera”: