Da inizio pandemia ad oggi, i cittadini cinesi residenti in Italia che hanno avuto bisogno di ricorrere a cure ospedaliere a causa del Covid19 sono stati in proporzione circa 20 volte in meno dei cittadini italiani. È un dato impressionante ma che tutto sommato conferma quanto da tempo ci si chiedeva: come mai i cinesi in Italia si contagiano così poco?
Questa è stata la domanda da cui è partita anche la nostra inchiesta.
A conferma del rapporto strettamente numerico, abbiamo ottenuto in esclusiva dall’Istituto Superiore di Sanità i numeri relativi all’incidenza del SARS-CoV-2 tra le principali etnie straniere presenti in Italia, in termini di soggetti positivi, ricoverati e deceduti.
Nel corso dell’indagine abbiamo raccolto diverse testimonianze, come quella di B.D. un autista soccorritore dell’Ospedale Niguarda di Milano che a novembre ci raccontava: “Da marzo, cinesi ricoverati zero. Hanno una mania estrema nel portare le mascherine”. Oggi B.D. è uno dei primi vaccinati in Italia contro il Covid19.
Una prima significativa conferma di questa suggestione è stata raggiunta quando l’Azienda Ospedaliero – Universitaria di Parma il 27 novembre 2020 ci ha fornito uno schema riassuntivo dell’impatto della pandemia sulla cittadina emiliana, mettendo a confronto 4 tra le più popolose etnie straniere presenti sul territorio: rumena, cinese, marocchina, albanese.

Ecco una prima conferma ufficiale del fatto che i cinesi fossero risparmiati dal virus: zero ricoveri presso l’intera comunità di Parma. I dati forniti permettevano quindi di osservare l’incidenza dei positivi (sintomatici e non), dei ricoveri e dei decessi sulle 4 popolazioni straniere e anche in questo caso le differenze erano particolarmente marcate. Da marzo a novembre 2020 nessun cittadino cinese residente a Parma è stato ricoverato per Covid19 e solo 4 persone (2 a marzo e 2 a novembre) sono risultate positive su 1.694 cittadini censiti. Tra i circa 10mila rumeni invece ci sono stati 80 casi positivi, 29 ricoveri e 4 decessi.
In proporzione agli abitanti residenti (come si può verificare dalla tabella 1), ancora più colpiti sono stati i cittadini albanesi con 152 positivi, 49 ricoveri e 6 decessi e i marocchini con 116 positivi, 28 ricoveri e 4 decessi.
A questo punto, al fine di ottenere un quadro più completo del territorio nazionale, la richiesta dei dati ufficiali relativi alla pandemia è stata indirizzata ai principali attori istituzionali: Ministero della Salute, direzioni sanitarie dei principali ospedali Covid in Italia, Istat e Istituto Superiore della Sanità. Quest’ultimo ci ha recentemente fornito in esclusiva i dati aggregati relativi al Covid19 in Italia per le 4 etnie già prese in considerazione.

Anche in questo caso è emerso un dato che suscita un forte interesse. Esaminando le 4 etnie (da un punto di vista meramente numerico) e incrociando i dati con quelli pubblicati dalla fondazione Gimbe (link Pandemia Coronavirus | GIMBE | Italia), salta all’occhio come i cittadini cinesi e quelli rumeni in Italia siano stati ricoverati circa 20 volte in meno rispetto agli italiani e almeno 3 volte in meno rispetto alle altre 2 etnie.
Le percentuali dei ricoveri tra le popolazioni straniere residenti in Italia sono rispettivamente dello 0,1% per i cinesi ed i rumeni e dello 0,32 per i marocchini e gli albanesi.
La percentuale dei ricoveri tra la popolazione italiana, che rappresenta evidentemente un campione statistico in parte diverso, supera invece il 2%.
Non è secondario aggiungere che i numeri relativi alla popolazione straniera residente in Italia, rispetto alle diverse etnie, risalgono al 2019. È ragionevole quindi immaginare che quando la pandemia ha determinato una violenta contrazione delle opportunità di lavoro nel nostro paese, centinaia di migliaia di lavoratori stranieri, perlopiù occasionali o stagionali (rumeni e albanesi), abbiano abbandonato temporaneamente il nostro territorio. Cosa diversa per i cittadini cinesi; il tipo di attività storicamente svolta da quest’ultimi – commercio e ristorazione – la distanza e i costi per raggiungere il paese di origine hanno fortemente limitato il rientro in patria, in attesa di tempi migliori. È del tutto evidente quindi che una variazione significativa dei cittadini stranieri residenti in Italia nel 2020 inciderebbe profondamente sui rapporti percentuali.
I dati aggiornati sugli stranieri residenti in Italia, che potrebbero confermare il quadro appena descritto, non sono stati ancora elaborati dall’Istat che ci ha risposto spiegando che l’attuale situazione di emergenza ne procrastinerà ulteriormente l’analisi e la pubblicazione.
Lasciamo a chi legge la possibilità di inoltrarsi in ulteriori calcoli proporzionali o statistici.
Un’autorevole opinione in merito all’interpretazione statistica dei dati possiamo fornirla attraverso la testimonianza del Dott. Antonino Bella (IIS), esperto di biostatistica e modelli matematici: “Arrivare a trarre delle conclusioni diventa pericoloso. In genere i migranti presenti in altre nazioni sono persone in giovane età lavorativa. Poiché i decessi causati dal Covid19 sono relativi prevalentemente agli ultra ottantenni, o comunque a persone che hanno più di 70 anni, è chiaro che le caratteristiche demografiche di queste popolazioni di migranti sono relative ad una fascia che viene colpita meno. Questa è una prima spiegazione di queste differenze. È molto rischioso fare dei confronti. Bisogna fare un’analisi standardizzata per aver indicatori che possono essere confrontati. A livello internazionale ad esempio, siamo una delle popolazioni più anziane del mondo, abbiamo più cardiopatici e diabetici ottantenni rispetto ad altre nazioni”.
Rispetto alle statistiche sui decessi per SARS-CoV-2 nei diversi paesi, Bella ha precisato: “Per un confronto internazionale bisogna capire come ogni paese cataloga il caso. C’è una definizione precisa di decesso associato al Covid19. Se l’Italia adotta una definizione e un altro paese ne adotta una differente, stiamo confrontando dei campioni non omogenei. Di queste considerazioni ce ne sono infinite”.
In merito alle differenze tra le varie etnie Bella ha poi aggiunto: “Il virus uccide in modo più o meno uguale tutti i soggetti, non fa una selezione di etnie. Le spiegazioni di queste differenze possono essere diverse. Sono popolazioni selezionate, bisognerebbe capire quali sono i campioni. L’ISS inoltre non sa distinguere se gli stranieri in Italia sono residenti in modo stabile oppure se sono migranti di passaggio. Le residenze ad esempio possono essere fittizie”.
In conclusione, abbiamo domandato se l’ipotesi da noi evidenziata fosse fondata, Bella non lo ha escluso ma ha specificato: “solo l’ISS sarebbe in grado di fare dei confronti”.

La nostra inchiesta, partita mesi fa alla ricerca di risposte che sembravano non arrivare, è giunta ad un punto di svolta ad inizio dicembre quando abbiamo incontrato Gioia Wuang, proprietaria di un negozio a Roma. Abbiamo scoperto che era rientrata da poche ore dalla Cina dove si era sottoposta, con grande anticipo rispetto ai tempi attuali, ad una vaccinazione, comprensiva di richiamo, che l’avrebbe resa immune al Covid19.
L’intervista alla signora Wuang (link “Migliaia in Cina per vaccino e ora tornati in Italia” (adnkronos.com) è stata la prima testimonianza video in Italia su questo tema e, oltre ad essere stata ripresa da decine di testate e programmi televisivi nazionali, è stata rilanciata anche dai media cinesi. “A novembre mi sono vaccinata contro il Covid19 in un ospedale in Cina – ha affermato Wuang di fronte alla nostra telecamera – È stata una mia idea, non mi ha contattata nessuno. Ho pensato che dopo aver fatto questo vaccino sarei stata più tranquilla. Ho fatto due punture e ho pagato 60 euro. Un mio amico, dopo aver fatto il vaccino, è andato in ospedale e ha fatto il test per vedere se aveva gli anticorpi contro il Covid19 e ce li aveva. Il valore era 2,1. Nello Zhejiang, la mia regione, non c’è più nessun contagiato. Zero”.
Durante il racconto, un elemento in particolare ci ha ulteriormente incuriosito. Gioia Wuang affermava che la campagna vaccinale in Cina, non obbligatoria, era iniziata già a luglio e che molti cinesi residenti in Europa erano tornati temporaneamente in patria solo per vaccinarsi.
Dopo qualche settimana, Paolo Xia, un ristoratore cinese di Padova rientrato dalla Cina dopo essersi vaccinato, ai microfoni del TG3 ha candidamente affermato che il vaccino cinese veniva somministrato almeno da giugno (sic!).
Quest’ultima informazione non poteva che generare ulteriori domande: da quanto tempo la Cina era in possesso di un vaccino anti Covid? La sua campagna vaccinale è iniziata ancora prima? Se così fosse, potrebbe essere collegabile alla rarità di casi fra i cinesi nel nostro paese?
Secondo Gioia Wuang il “mistero dell’immunità cinese” risiede invece nella capacità e nel rigore con cui i suoi connazionali, anche in Italia, hanno rispettato le norme ed i consigli sanitari, utilizzando sempre la mascherina, igienizzandosi frequentemente le mani e rimanendo a casa.
A conferma di questo atteggiamento prudente, a fine febbraio, in largo anticipo rispetto alle ordinanze che imposero lo stop alle attività commerciali, i negozianti ed i ristoratori cinesi di Milano chiusero le proprie attività autonomamente “fino a data da destinarsi”. Una scelta che suscitò non poche domande e perplessità tra chi si chiedeva perché la comunità cinese avesse deciso simultaneamente di intraprendere un’azione così drastica.
Andiamo avanti.
A distanza di poche ore dalla nostra intervista e in seguito ad un articolo de Il Mattino, è partita un’inchiesta della Guardia di Finanza riguardo la possibile presenza di un vaccino importato clandestinamente dalla Cina e nella disponibilità della comunità cinese di Napoli, e non solo.
Al momento sono state sequestrate diverse scatole del presunto vaccino cinese ma anche in questo caso nessuno sembra essersi posto delle domande: il medicinale sequestrato è stato analizzato in un laboratorio specializzato? Si tratta davvero di un vaccino efficace seppur clandestino?
Prima che i riflettori si accendessero su Napoli, dove su circa 5.200 cinesi censiti solo in 5 hanno contratto il virus, era scoppiato il caso di Prato. Nella città toscana infatti risiede una delle più grandi comunità cinesi in Italia: tra i circa 26mila cinesi che vivono a Prato, solo in 100 sono stati contagiati dal virus.
Ciò che sembrerebbe lasciare pochi dubbi è il report annuale del Centre for Economics and Business Research (Cebr) (link China Daily Lead Story – Nation Set to be largest economy in 2028 – CEBR) secondo cui la Cina diventerà la prima economia al mondo, superando gli Stati Uniti nel 2028 con 5 anni d’anticipo rispetto alle precedenti stime. Il sorpasso è dovuto proprio all’abile gestione della pandemia da Covid19 da parte della Repubblica Popolare Cinese e alle sue politiche di contrasto all’emergenza. Secondo gli studi degli analisti del Cebr, il Pil della Cina sembra destinato a una crescita media del 5,7% all’anno dal 2021 al 2025, prima di rallentare a un +4,5% all’anno dal 2026 al 2030. Gli Stati Uniti, invece, dovrebbero garantirsi un forte rimbalzo post-pandemia nel 2021, ma la loro crescita economica media rallenterebbe all’1,9% all’anno tra il 2022 e il 2024. Un valore che successivamente dovrebbe scendere all’1,6% negli anni a seguire.
La nostra inchiesta ha portato finora molti fatti ma non altrettante certezze.
È una storia che potrebbe non finire qui.