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Finalmente il Congresso dice sì all’invio di miliardi di dollari per le famiglie americane

Raggiunto l'accordo per lo stimolo economico anti covid, dal 26 dicembre partono gli assegni settimanali; ma intanto Trump discuteva se imporre la legge marziale

Massimo JausbyMassimo Jaus
Finalmente il Congresso dice sì all’invio di miliardi di dollari per le famiglie americane

Wikipedia/Focusonmore.com

Time: 6 mins read

Una crisi risolta, un’altra che influenza la prima crisi ancora da risolvere, e anche questa con i tempi brevissimi per la mediazione.

Quest’anno il coronavirus qui negli Stati Uniti non ha cambiato solo il modo di affrontare una crisi medico-sanitaria. Con 300 mila morti e quasi 18 milioni di americani colpiti dal virus il covid-19 ha distrutto famiglie, lavoro, scuola. Ha trasformato il modo di vivere di 300 milioni di americani lasciando tutti nell’incertezza del domani. Ma almeno l’oggi, per milioni di americani, verrà in qualche modo superato.

Nella serata di domenica è stato raggiunto l’accordo per i 908 miliardi di dollari dello stimolo economico, il “Coronavirus Relief”, e nella serata di lunedì è stato approvato dal Congresso. Dal 26 dicembre gli americani riceveranno un assegno da 600 dollari a fondo perduto per le famiglie che hanno un reddito inferiore a 75 mila dollari l’anno. L’assegno verrà ridotto proporzionalmente per le famiglie che hanno un reddito non superiore ai 99 mila dollari l’anno. I 600 dollari sono per ogni membro della famiglia: una famiglia composta da 4 persone il cui imponibile è inferiore a 75 mila dollari riceverà un bonus di $2.400.  Gli americani che hanno perso il lavoro, circa 12 milioni di persone (ma questi sono solo quelli che avevano un lavoro dichiarato, mentre quelli in nero sarebbero una ventina di milioni in più), riceveranno un assegno da 300 dollari la settimana a partire dal 27 dicembre per 11 settimane fino al 14 di marzo.

La proposta originale prevedeva che l’assegno di disoccupazione venisse concesso per 16 settimane, il compromesso è stato raggiunto riducendolo a 11. Nel disegno di legge anche il prolungamento dei termini per il finanziamento a Stati e città già approvati nel “Cares Act” che finora non ne hanno fatto richiesta.  Inoltre è stata riaffermata a tempo indeterminato la moratoria sugli sfratti e per questo sono stati inclusi 25 miliardi di dollari. Il finanziamento maggiore, 325 miliardi di dollari andrà a società e imprese colpite dalla crisi in modo da poter riavviare il ciclo produttivo e occupazionale.  275 miliardi per gli assegni di disoccupazione, 45 per i trasporti, 82 per le scuole, 20 per produzione e distribuzione dei vaccini, 13 per i food stamp, i buoni alimentari per i più poveri.

Il Congresso degli Stati Uniti a Washington (Foto VNY / D.M.)

Un accordo sofferto perché inizialmente i democratici volevano un piano da oltre 2 mila miliardi di dollari, i repubblicani ne volevano uno da 500 miliardi e i negoziati si erano arenati dopo che la Casa Bianca aveva ritirato dalla trattativa il segretario al Tesoro, Steve Mnuchin. C’è voluta una iniziativa congiunta tra democratici e repubblicani, promossa dal senatore democratico Joseph Manchin e i repubblicani Mitt Romney e  Susan Collins, per riaprire il discorso. I tre senatori hanno proposto il piano da 908 miliardi di dollari che è stato immediatamente sostenuto dal presidente eletto Joe Biden. E così il negoziato è ripartito e quando venerdì sembrava che tutte le differenze fossero state appianate il senatore repubblicano Patrick Toomey della Pennsylvania, all’ultimo minuto ha voluto includere nel disegno di legge la limitazione dei poteri alla Federal Reserve per la concessione discrezionale di prestiti diretti della Banca Centrale. Una tattica applicata sin dalla crisi degli Anni Ottanta per aiutare imprese e aziende in difficoltà di capitali liquidi per mantenere l’attività e l’occupazione superando la crisi con un intervento quasi immediato. Una pratica che nei mesi scorsi aveva mandato su tutte le furie la Casa Bianca che in questi interventi si sentiva esclusa dalla decisione. Così, all’ultimo minuto il senatore Toomey, fedelissimo di Trump, ha proposto che questa facoltà di intervento diretto venisse tolta alla Banca Centrale. Un’azione dettata per limitare la ripresa economica durante il mandato del presidente eletto Joe Biden. Il compromeso alla fine si è trovato: sarà il Congresso e non la Casa Bianca ad autorizzare la Fed per la concessione di questi prestiti alle aziende e imprese americane. In cambio i repubblicani hanno ottenuto il “3 Martini Lunch” come ironicamente chiama il Washington Post la deduzione totale delle spese per i pranzi di lavoro che, sin dagli Anni Ottanta, era stata ridotta al 50%. Proposta avanzata da un altro irriducibile sostenitore di Trump, il senatore Tim Scott. In questo modo ora la deduzione dall’imponibile per le spese dei pranzi di lavoro per i manager delle aziende americane sarà totale. Una proposta avanzata nei mesi scorsi dalla Casa Bianca che l’aveva presentata come uno dei rimedi per rilanciare l’economia nei ristoranti colpiti dalla crisi, ma fino a ieri respinta dal Congresso.

Risolto il primo difficile impegno, resta al Congresso l’“Omnibus Appropriations Bill” che prevede un piano di spesa federale per il 2021 da più di un miliardo di miliardi di dollari di cui i finanziamenti per il “Corona Relief” sono parte. Nel disegno di legge la copertura finanziaria di tutte le agenzie federali, inclusa la Difesa e anche il finanziamento per la costruzione del Muro lungo il confine con il Messico. In queste ore le trattative vanno avanti ma l’approvazione viene data per scontata. Joe Biden ha detto di essere molto ottimista per il nuovo metodo di collaborazione bipartisan al Congresso.

Trump as “The Great Dictator” (Illustration by Antonella Martino)

La Casa Bianca è in fermento. Nel fine settimana le riunioni hanno avuto sviluppi impensabili in una democrazia come questa degli Stati Uniti, con alcuni dei più stretti collaboratori di Trump che hanno confrontato i falchi del presidente che volevano che il presidente imponesse la legge marziale negli Stati Uniti. Su tutti Michael Flynn e Sydney Powell, l’avvocato che ancora lotta per mettere sotto sequestro tutte le macchine elettorali degli Stati Uniti nella disperata ricerca di una prova sui brogli elettorali. E l’avvocatessa  si è rivolta nuovamente alla Corte Suprema federale per cercare di invalidare il risultato elettorale del Michigan. Secondo quanto scrive il Washington Post – che non cita le fonti, ma afferma di aver avuto la testimonianza di chi ha partecipato alla riunione – la riunione è stata così animata che Mark Meadows, il capo di gabinetto di Trump , ha dovuta sospenderla due volte.

Il presidente Donald Trump e l’Attorney General William Barr (Wikimedia/Photo by: Shane T. McCoy/U.S. Marshals)

Gli alleati del presidente, uno dopo l’altro si defilano, anche quelli più legati a Trump. Dopo il Segretario agli Stato Mike Pompeo che ha accusato direttamente la Russia, nonostante i tentativi di minimizzazione del presidente, di essere colpevole dell’attacco cibernetico all’America, ieri un nuovo pesante affondo è stato lanciato dal ministro della Giustizia William Barr che mercoledi lascerà la sua carica di Attorney General. Barr ha detto che non c’è nessuna ragione per nominare un procuratore speciale per investigare il figlio di Joe Biden, Hunter, né tantomeno, aprire una indagine federale sui non provati brogli elettorali specialmente dopo che gli agenti federali hanno già svolto le indagini non rilevando nulla di così importante da poter cambiare il risultato elettorale specialmente dopo che tutti gli Stati hanno certificato la validità delle elezioni e i Grandi Elettori hanno votato per eleggere Joe Biden nuovo presidente degli Stati Uniti.

Con i suoi soliti tweet Trump ha continuato a minimizzare la gravità dell’attacco cibernetico agli Stati Uniti ipotizzando che a sferrarlo potrebbe essere stata la Cina.

“Russia, Russia, Russia è il canto più diffuso quando accade qualsiasi cosa perché” i media “per motivi per lo più finanziari, sono ciechi e muti dal discutere la possibilità che forse sia stata la Cina (e potrebbe essere)”, ha twittato il presidente.

Il New York Times scrive che gli hacker hanno usato indirizzi Internet americani che hanno loro permesso di agire senza dare l’allarme. L’attacco – afferma l’influente quotidiano di New York – ha evidenziato come il punto debole delle reti di computer del governo rimangono i sistemi amministrativi, in particolare quelli che hanno contratti con le le società private.

Intanto Business Insider, il giornale economico ben inserito nell’apparato politico e delle lobby di Washington, scrive che il genero del presidente, Jared Cushner, avrebbe costituito una serie di società a scatola cinese per riciclare i fondi elettorali del presidente Trump che ammonterebbero a 616 milioni di dollari e che con parte dei soldi sarebbero stati anche retribuiti i familiari del presidente. Il Campaign Legal Center, gruppo di controllo bipartisan delle spese elettorali, ha presentato una denuncia alle autorità federali perché a quanti volontariamente contribuivano alla campagna elettorale non veniva detto che parte del loro contributo sarebbe andato ai dirigenti del fondo, che appunto, sono i familiari di Trump.

Infine nel primo pomeriggio, il Presidente eletto Joe Biden, come aveva fatto giorni fa l’attuale vicepresidente Mike Pence,  ha ricevuto in diretta tv il vaccino (vedi video sopra) dichiarando: “Faccio questo per dimostrare che la gente dovrebbe prepararsi, quando sarà disponibile, a ricevere e il vaccino”. Insomma niente paura, è sicuro.

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Massimo Jaus

Massimo Jaus

Massimo Jaus, romano e tifoso giallorosso. Negli Stati Uniti dal 1972. Giornalista professionista dal 1974. Vicedirettore del quotidiano America Oggi dal 1989 al 2014. Direttore di Radio ICN dal 2008 al 2014. È stato corrispondente da New York del Mattino di Napoli e dell’agenzia Aga. Massimo Jaus. Originally from Rome and a Giallorossi fan. In the United State since 1972. A professional journalist since 1974. Deputy Editor of the daily paper America Oggi from 1989 to 2014. Has been New York correspondent for Naples' "il Mattino" and for Agenzia Aga.

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