Gli americani attendono con crescente impazienza lo stimolo economico ma a Washington i parlamentari tentennano, indecisi sul modo di affrontare tre diverse situazioni che si sono create nelle ultime 24 ore. Tutto questo mentre il Paese è sotto attacco da parte degli hacker russi che sono riusciti a penetrare nei siti più delicati della difesa americana.

A Washington in queste ore non si discute molto sull’ammontare degli assegni di disoccupazione o sui fondi che dovranno essere dati alle piccole e medie imprese o sul prolungamento della moratoria per gli sfratti. Già ci si è accordati sul tetto di spesa che sarà da 908 miliardi di dollari. Quello che sta bloccando l’intesa per il “Coronavirus Aid” è la guerra delle lobby. E’ una battaglia dei gruppi di interesse che a colpi di milioni di dollari sostengono le campagne elettorali dei politici. Il nodo più difficile da sciogliere per il via libera allo stimolo è quello della deresponsabilizzazione delle aziende in caso che i dipendenti dovessero contrarre il coronavirus al posto di lavoro. Un punto fermo dei repubblicani e delle lobby delle piccole e medie aziende (Smes) contrastato dalla lobby degli avvocati, l’American Association of Justice (AAJ) che invece sostiene i democratici e che questa clausola non vuole che sia inclusa nello stimolo.

Nella battaglia, poi si è inserito anche il presidente Donald Trump che ha rilanciato sull’ammontare della somma a fondo perduto che ogni americano dovrebbe ricevere. Democratici e repubblicani si sono accordati su un assegno di disoccupazione di 300 dollari settimanali, più un assegno di 600 dollari di aiuti. Trump ha proposto che oltre ai 300 dollari venga aggiunto un bonus di 2 mila dollari. Un proposta condivisa dai repubblicani proTrump e respinta dai repubblicani “fiscal conservative”, quelli che vogliono ridurre all’osso la spesa pubblica e le tasse. Un ulteriore complicazione è venuta da parte del senatore repubblicano Pat Toomey che nell’accordo vuole includere la riduzione dei finanziamenti che la Federal Reserve può concedere discrezionalmente per quelle aziende che hanno bisogno immediatamente di liquidità. Una mossa fatta per ostacolare la ripresa economica con cui la prossima amministrazione dovrà confrontarsi. Ed ecco così che la situazione si è complicata. Ad aggravarla ulteriormente poi nelle ultime ore lo stanziamento dei fondi per far fronte alle spese federali. Mille e 300 miliardi di dollari per i quali è richiesto al Senato il voto unanime e i senatori filoTrump stanno mettendo in difficoltà il leader della maggioranza repubblicana Mitch McConnell. Se l’accordo non sarà raggiunto entro questa sera c’è la possibilità che le agenzie federali debbano chiudere i battenti fintanto che non saranno reperiti i fondi.
E proprio la ripresa dell’economia oltre alla Guerra al Covid-19 sono le due priorità che il presidente eletto Biden dovrà affrontare subito dopo il 20 gennaio. Per la lotta al Covid 19 la massiccia campagna per la vaccinazione continua il suo affondo. Questa mattina il vicepresidente Mike Pence con la moglie si sono vaccinati in diretta tv al Walter Reed Hospital. “E’ un miracolo medico – ha detto il vicepresidente – questo è l’inizio della fine del Covid 19”. Subito dopo è stato il turno della speaker della Camera Nancy Pelosi e del leader dei repubblicani in Senato Mitch McConnell. “Mi auguro che tutti gli americani seguano il mio consiglio e si faranno somministrare questo vaccino sicuro e efficace”, ha detto McConnell. Al presidente eletto invece il vaccino sarà somministrato la prossima settimana. Ed ecco così che la situazione si è complicata. Ad aggravarla ulteriormente poi nelle ultime ore lo stanziamento dei fondi per far fronte alle spese federali.
Tutto questo mentre l’America è sotto attacco. Le bombe non sono quelle che esplodono, ma quelle che usando i computer sono in grado di bloccare il Paese.
L’Energy Department e la National Nuclear Security Administration, l’ente federale che conserva i depositi di armi atomiche, hanno le prove che gli hacker hanno violato i loro network nell’ambito di una più vasta operazione di spionaggio che ha colpito almeno una mezza dozzina di agenzie federali. Violati anche i laboratori nazionali di Los Alamos e Sandia in New Mexico. Secondo il Washington Post, gli hacker russi, APT29 e Cozy Bear, che “fanno parte del servizio di intelligence russo, sono lo stesso gruppo che violò il Dipartimento di Stato e i server di posta elettronica della Casa Bianca durante l’amministrazione Obama” pubblicando migliaia di email di suoi esponenti proprio durante l’infuocata campagna presidenziale. Secondo la CISA (Cyber Security Government Agency) l’ente federale della Homeland Security che controlla lo spionaggio cibernetico, questa penetrazione nei sistemi della Difesa, del ministero del Tesoro, del Commercio e persino dell’Fbi oltre al Dipartimento dell’Energia “rappresenta un grave rischio” per il governo, per e infrastrutture e per il settore privato. L’attacco secondo la CISA è stato condotto utilizzando “tattiche, tecniche e procedure che non sono ancora state scoperte”. Tutti concordano che dietro i massicci attacchi informatici ci sia il governo russo, che ha attuato una campagna di spionaggio che va avanti “da mesi”, probabilmente la più sofisticata e forse diffusa degli ultimi cinque anni. La CISA sta ancora cercando di capire la natura e l’estensione dell’intrusione e sta studiandole contromisure necessarie, ma dalle prime valutazioni sembra che l’intrusione sia stata enorme e persistente.
Il New York Times si domanda a cosa siano serviti i miliardi di dollari che il governo federale ha speso negli ultimi anni per creare quei filtri di sicurezza in grado di bloccare questi attacchi. L’influente quotidiano ha messo in evidenza come gli attacchi alle strutture vitali del Paese siano stati lanciati mentre le agenzie di controllo e sicurezza stavano monitorando il possibile intervento degli hacker russi sulle elezioni, abbassando la guardia sulla protezione delle altre agenzie federali. Tutti i media evidenziano il prolungato silenzio del presidente, che non perde occasione per mandare i suoi tweet ai suoi avversari politici e che in questa pericolosa situazione con gli hacker russi non si è pronunciato andando poi nel pomeriggio a giocare a golf.

Nella sua lunga lista dei perdoni giudiziari che sta compilando, secondo indiscrezioni, ci sarebbe anche il nome di Edward Snowden, l’uomo che ha rivelato al mondo i dettagli dei segretissimi programmi di sorveglianza di massa del governo americano e che ora è in esilio volontario in Russia. Esperto informatico lavorava alla Cia, diventato poi consulente della National Security Agency (Nsa), la superagenzia per la sicurezza nazionale. Con la collaborazione di Glenn Greenwald, giornalista del ‘Guardian’ che ha pubblicato una serie di denunce sulla base delle sue rivelazioni (che sono valse il Pulitzer a lui e al suo giornale), Snowden ha rivelato informazioni di intelligence segretissime, tra cui il programma di intercettazione telefonica tra Stati Uniti e Unione Europea e numerosi programmi di sorveglianza di Internet.
Se la lista che Trump ha in mano per i perdoni giudiziari è lunga, è altrettanto lunga quella di Biden per le nomine alle ambasciate americane nel mondo. Secondo Hollywood Reporter il CEO della Disney, Bob Iger, che ha donato 250 mila dollari alla campagna elettorale di Biden, vuole andare a Londra alla corte di San Giacomo. Jeffrey Katzenberg, ex dirigente di Dreamwork, che ha donato alla campagna elettorale di Biden più di 600 mila dollari è alla ricerca di una ambasciata. Così come Nicole Avant, moglie di Ted Sarandos, il CEO di Netflix ex ambasciatrice alle Bahamas con Obama. C’è poi Matt Walden, produttore della Disney e avvocato delle stelle di Hollywood oltre che essere molto amico del Second Gentleman Doug Emhoff, marito di Kamala Harris e anche lui avvocato di Hollywood che è alla ricerca di una rappresentanza estera per il governo degli Stati Uniti.
Intanto Joe e Jill Biden hanno partecipato ieri sera alla trasmissione Late Show with Stephen Colbert, in cui il presidente eletto si è detto convinto che l’influenza di Trump su i repubblicani che li terrorizza e li blocca in ogni politica di mediazione finirà quando lui uscirà dalla Casa Bianca.
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