Classe 1964, Tony Gentile ha cominciato questa professione a Palermo nel 1989, la città dove è nato.
Il suo nome è conosciuto in tutto il mondo tra i photographers , ma per chi non lo conosce per nome, sicuramente avrà visto una delle sue immagini, alcune delle quali hanno infatti segnato momenti epocali. Attraverso sue foto, Tony ha avuto la possibilità di dare una impronta giornalistica importante – in alcuni casi, fondamentale – a molte vicende di cronaca mondiale. Lo intervisto per telefono in occasione di una sentenza di un tribunale tedesco che in qualche modo riporta sempre alla sua foto più famosa: quella in bianco e nero che immortala insieme ad un convegno Falcone e Borsellino poco tempo prima di essere barbaramente uccisi. E’ stato infatti appena respinto il ricorso della sorella di Falcone contro una pizzeria a Francoforte sul Meno, in Germania, che ha scelto il nome “Falcone e Borsellino”. Sui muri del locale hanno appeso la sua celebre foto che ritrae i giudici e accanto è stata messa l’immagine di don Vito Corleone del celebre film “Il Padrino”. Una violazione della memoria dei due magistrati antimafia denunciata dalla sorella del giudice Giovanni Falcone, la professoressa Maria Falcone. Andiamo pero’ per gradi.
Conosco Tony Gentile da diversi anni. Ci siamo incontrati la prima volta in Sicilia, in occasione di una sua mostra. Abbiamo nel tempo continuato sempre con stima, più o meno a distanza pur abitando vicini, la nostra frequentazione che è stata per lo più telefonica, complice il comune amore per il mondo delle immagini. Ci conosciamo in ogni caso anche con le nostre rispettive famiglie. Una vita, quella di Tony, spesa nella Fotografia e per la Fotografia.
Tony, collaboravi in Sicilia agli esordi con un quotidiano locale e nello stesso tempo con l’agenzia fotogiornalistica Sintesi di Roma. Grazie a Sintesi hai in seguito pubblicato le tue fotografie nelle più importante testate giornalistiche italiane e straniere. Poi la svolta: nel 1992 sei diventato corrispondente dalla Sicilia dell’agenzia di stampa internazionale Reuters, per la quale dal 2003 al 2019 hai lavorato come staff-photographer con base a Roma. Una esperienza con viaggi internazionali che ti ha portato ad avere quali considerazioni sul lavoro del Fotografo?
“Non è facile parlare del proprio lavoro. Io ho avuto alcune fortune dalla vita, per prima cosa l’opportunità di svolgere una professione che coincideva perfettamente con la mia grande passione, la Fotografia. Poi l’opportunità di farlo in una città incredibile come Palermo in cui negli anni 90, quando io ho cominciato, si è combattuta una terribile guerra tra la mafia e lo stato a suon di bombe e arresti eccellenti; un pezzo di storia del nostro paese che si è svolta davanti agli occhi e sulla pelle di noi Palermitani. Io quella guerra l’ho raccontata da giovanissimo photo reporter. In seguito mi è stata data la possibilità di lavorare per una grandissima agenzia di stampa internazionale, la Reuters, grazie alla quale ho raccontato eventi di attualità, costume e sport che talvolta sono entrati a far parte della nostra storia collettiva. Tanto sacrificio, fatica e sudore che però hanno portato buoni frutti e sempre nell’ottica di un fotogiornalismo che deve servire più al lettore che al fotografo stesso; una fotografia utile agli altri, alla gente che osserva e scopre un fatto, una storia attraverso gli occhi di un giornalista realmente presente e testimone visivo in prima persona; una fotografia che trova il suo fondamento nella costruzione della Memoria.
Il tuo nome è appena tornato alla cronaca per una delle tante vicende che – a fasi alterne, negli anni – hanno riguardato una tua particolare fotografia, probabilmente la tua più celebre: quella che immortala insieme i due giudici Falcone e Borsellino. Un ricorso della sorella del giudice Falcone è stato clamorosamente respinto in Germania. Che cosa hai da dire al riguardo? Anche tu sei in causa con quella particolare controparte, mi risulta. Anzi: penso che le cause in questi anni che ti hanno visto cercare di difendere il tuo diritto di proprietà della foto sono state molte. Una foto che al mondo è ritenuta da ambienti intellettuali e non solo fotografici di fatto un simbolo della lotta alla Mafia e che non verrebbe invece riconosciuta come tale da un tribunale tedesco.
“Distinguerei qui le due questioni, quella dell’utilizzo della mia foto e quella dei familiari che personalmente ritengo di una gravità inaudita. Credo che sia mortificante per i familiari di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino immaginare che il loro cognome sia stato usato per identificare una pizza su un menù di un ristorante. Lo è ancora di più se poi il marchio del locale è rappresentato da un’immagine che raffigura i fori di un’arma da fuoco e per rendere le cose ancora più gravi all’interno del locale si associano le figure di due grandi martiri con quella di un eroe negativo e frutto della finzione come il “padrino” rappresentato da Marlon Brando. Una cosa disgustosa a dir poco.
Sull’utilizzo improprio e abusivo della mia foto non ho mai fatto il callo e la cosa mi crea sempre tantissimi problemi, ma in questo caso la mia questione passa in secondo piano; la cosa che mi indigna di più è pensare che un magistrato possa dire di un collega come Falcone (che lui sa benissimo che fine abbia fatto) – e cito al riguardo la fonte ANSA: “il giudice ha operato principalmente in Italia e in Germania è noto solo a una cerchia ristretta di addetti ai lavori e non alla gente comune che frequenta la pizzeria”. Provo vergogna per lui”.
Quale è l’azione più clamorosa che hai perseguito per far valere i tuoi diritti di fotografo sul copyright di una tua immagine?
“Ho avuto tante controversie, non tutte finite in tribunale, ma quest’ultima è quella che mi indigna maggiormente. Poi mi indignano i politici che usano questa fotografia per scopi puramente propagandistici e per questo alcuni mesi fa li ho diffidati dall’uso della foto in questione, ma sappiamo tutti che è una battaglia tra Davide e Golia, e Davide non sempre vince”.
Cosa consiglieresti oggi ad un giovane che volesse intraprendere la tua carriera? Vale la pena di fare un mestiere così bistrattato?
“Istintivamente e con cognizione di causa mi verrebbe da rispondere No. Però poi penso che alla fine degli anni 80 avevo fatto io la stessa domanda ad un altro fotografo che faceva il lavoro che io avrei desiderato fare e anche lui, più di 30 anni fa, mi rispose No. Io invece ho voluto farlo e ho dedicato a questa professione tantissimo e alla fine ci sono riuscito. Tutto quello che la vita mi ha dato l’ho realizzato attraverso questo lavoro e grazie alla fotografia, pertanto se quel giovane è determinato e ha talento deve provarci, e rispondo assolutamente Sì. Perché alla fine è un mestiere bellissimo, nonostante tutto e tutti”.
La Fotografia per te è…
“Mi verrebbe da rispondere che la fotografia per me è … stata.
Oggi non faccio più il lavoro che ho fatto per 30 anni e non sono affatto rammaricato di questo.
Il mondo del fotogiornalismo è cambiato tanto e forse non fa più per me.
La fotografia però non morirà mai e soprattutto non muore mai dentro di noi. Puoi farla sempre senza limiti di età, senza limiti di tempo. Come diceva un grandissimo Maestro, la fotografia si fa con l’occhio, la mente ed il cuore, e questi tre elementi non vanno mai in pensione”.
Due domande che voglio farti da tanti anni, e non ti ho mai fatto; la prima: chi consideri il tuo Maestro?
“Non c’è un maestro unico che potrei identificare, sono tantissimi i fotografi a cui, volontariamente o involontariamente, mi sono ispirato. Tra questi però non posso non citarne due, Letizia Battaglia e Franco Zecchin. Con le loro foto sono cresciuto tantissimo dal punto di vista umano e poi anche fotografico; una coppia di fotografi diversi tra loro ma che ai miei occhi di studente liceale appassionato di fotografia apparivano una cosa sola. Hanno rappresentato per me uno stimolo continuo e potente verso la crescita civile contro la mafia e verso un mestiere che portasse in sé anche quella parte di impegno finalizzato alla sensibilizzazione delle coscienze”.
La seconda: qual è la tua sola fotografia che – se dovessi bruciarle tutte – salveresti?
“Sono fermamente convinto che uno dei valori fondamentali della fotografia sia la memoria e, nonostante io abbia con la mia foto di Falcone e Borsellino un rapporto molto conflittuale, ritengo che sicuramente salverei questa. Non è più una fotografia ma è un’icona, e quest’icona è simbolo di riscatto per tantissima gente, per le generazioni che hanno vissuto quei terribili momenti, per quelle che sono nate dopo e ritengo anche per molte di quelle che ancora devono nascere. Per questo considero questa fotografia sacra, intoccabile. La guerra contro la cultura mafiosa non è ancora vinta e fino alla fine questa immagine credo possa rappresentare ancora un vessillo, una piccola speranza di cambiamento e per questo va protetta, perché serva agli altri e non a me”.
Che cosa speri che le persone ricorderanno del Tony professionista e del Tony privato?
“Non ne ho idea, non mi sono mai posto il problema, e spero di non pormelo ancora per un po’ di tempo”.
I tuoi imminenti progetti?
“Negli ultimi tempi mi sto dedicando ad una fotografia più lenta e riflessiva rispetto a quella rapida che ho praticato per lavoro fino a pochissimo tempo fa, e spero di riuscire a produrne un progetto editoriale già nel 2021. Inoltre, essendo da sempre appassionato di immagini in movimento, sto lavorando a dei documentari su alcune storie che mi stanno molto a cuore e che un giorno spero possano essere visti anche da altri”.
I migliori auguri a Tony e alle sue fotografie che verranno; conoscendolo, so che continueranno a colpire l’immaginario ed i sentimenti di tutti noi. Esattamente come quella foto simbolo di Falcone e Borsellino a cui tutto il mondo continuerà a guardare: una immagine nata dall’istinto e dal talento di un giovane photoreporter di provincia che di strada da allora ne ha fatta tanta, e che ringraziamo per averci sempre regalato tanto cuore.
Qui il video sul libro di Tony Gentile La Guerra.
Tony Gentile – la guerra from Tony Gentile on Vimeo.