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Trump fuorioso e sempre più carico di rancore, “termina” il ministro della Difesa

Neanche il vaccino della Pfizer calma il presidente che non accetta la vittoria di Joe Biden, continua a resistere ma il Partito repubblicano guarda già avanti

Massimo JausbyMassimo Jaus
Mentre si contano ancora i voti, si spalanca la strada per la vittoria di Joe Biden

Donald Trump (Illustrazione di Antonella Martino)

Time: 5 mins read

Nel giorno in cui la casa farmaceutica Pfizer annuncia la scoperta di un probabile vaccino contro il coronavirus, Donald Trump nelle 48 ore dopo la sconfitta subita da Joe Biden, è sempre più nevrotico, confuso, vendicativo, carico di rancore e di minacce. Anzichè congratularsi con gli scienziati che hanno portato a termine questo colossale passo avanti contro il covid -19 che ha superato i 10 milioni di persone infettate negli Stati Uniti, il presidente, come un elefante ferito calpesta tutto e tutti. Non accetta la sconfitta e con un tweet licenzia il ministro della Difesa Mark Esper che nei mesi scorsi lo aveva criticato perché il presidente avrebbe voluto usare i soldati per azzittire le proteste che scuotevano il Paese. Poi Esper aveva già scritto una lettera di dimissioni che, secondo la Cnn avrebbe scritto in aperto contrasto con il presidente per il risultato elettorale. Poi Trump scatena i suoi avvocati con improbabili azioni giudiziarie nei tribunali degli Stati in cui ha perso cercando di annullare ciò che 74 milioni di americani hanno votato.

E’ una guerra quella che sta combattendo Donald Trump che si svolge su tre fronti. Il primo, quello che tutti vedono, contro la vittoria di Joe Biden cercando appigli legali che, per sua sfortuna, vengono demoliti una alla volta come è successo in Georgia e in Michigan. Ma lui continua e, come tutte le truppe in ritirata, fa saltare i ponti per rallentare l’avanzata del nemico.

Il secondo fronte è all’interno del partito Repubblicano, molto più delicato e difficile perché i repubblicani pensano già al futuro, mentre lui resta ancorato al passato.

Donald Trump (Illustration by Antonella Martino)

Il terzo è quello legale che è in corso a New York con l’Attorney General dello Stato e il District Attorney di Manhattan che, hanno sospeso la fase istruttoria sulle aziende di Trump e sulla sua situazione fiscale fintanto che resta alla Casa Bianca. Come l’immunità che gli deriva dalla carica decaderà la giustizia vorrebbe portargli il conto. Paradossalmente – come ipotizzato dal suo ex avvocato Michael Cohen – il giorno prima di lasciare la Casa Bianca Trump potrebbe dimettersi e dare per 24 ore la presidenza a Michael Pence, il quale nella veste di Presidente, potrebbe concedergli il perdono giudiziario. Ma questa è un’azione che eleminerebbe solo i reati federali e non quelli statali per i quali indagano i due procuratori di New York. 

Nel primo fronte, nel tentativo di rallentare l’avanzata degli uomini di Biden, Trump ha ordinato ad Emily Murphy, amministratrice della General Service Administration, di non firmare i documenti che ufficialmente avviano il passaggio dei poteri da un presidente all’altro. La General Service Administration, nota come GSA, è un’agenzia federale poco conosciuta. Si occupa di dare gli ordini a tutti i ministri e ministeri della vecchia amministrazione di fornire tutto il carteggio a quella che ha vinto le elezioni.  E non solo. La GSA finanzia questo processo in cui sono impegnate centinaia di persone che esamineranno il lavoro nei 24 ministeri dell’Amministrazione Trump. Dieci milioni di dollari a disposizione con cui vengono retribuiti i funzionari scelti da Biden che non essendo governativi, non percepiscono lo stipendio. Inoltre la GSA ha l’obbligo di trovare gli spazi negli uffici federali per avviare questo processo. Emily Murphy afferma che poiché il presidente non ha accettato il risultato elettorale e ha mandato gli avvocati a discutere le presunte irregolarità elettorali non firmerà fintanto che tutte le azioni legali saranno respinte.

Donald Trump con il leader della maggioranza repubblicana al Senato Mitch McConnell. (Photo by The White House /Flickr).

Il secondo fronte vede il partito Repubblicano in fibrillazione che vuole puntare sul futuro con Biden e non sul passato con Trump. Guardando i risultati di queste elezioni che hanno rinnovato tutta la Camera dei Rappresentanti e 35 seggi del Senato, le elezioni le hanno vinte loro, mantenendo la maggioranza al Senato e conquistando 7 seggi alla Camera. Sempre in minoranza, ma con 7 seggi in più. Al Senato la maggioranza però è seriamente minacciata dai ballottaggi che si terranno in Georgia il 5 gennaio. In questo Stato, infatti, si tornerà a votare per due seggi, entrambi per ora detenuti dai repubblicani, questo perché i due “incumbent”, i senatori David Perdue e Kelly Loeffler, stretti alleati di Trump, non hanno ottenuto più del 50 percento dei voti rispettivamente contro Jon Osoff e Raphael Warnock. In entrambi i casi alcuni concorrenti indipendenti hanno “disturbato” il risultato. Ora l’8 gennaio gli indipendenti non ci saranno più e ci sarà uno scontro diretto. Se i due repubblicani dovessero perdere il Senato della prossima legislature sarebbe composto da 50 Repubblicani e 50 Democratici. L’ago della bilancia diventerebbe Kamala Harris che come vicepresidente automaticamente è la presidente del Senato con diritto al voto solo in caso di parità.  E la battaglia al Senato, con i 70 milioni di voti ottenuti da Trump con le sue truppe che non si arrendono, diventa problematica per Mitch McConnell, il senatore del GOP capo della maggioranza repubblicana al Senato che oggi pomeriggio, in un’aula deserta, ha difeso il diritto del presidente di lanciare la sua offensiva legale per ricontare i voti in alcuni Stati.

Riconoscendo la vittoria di Biden il presidente lancerebbe la sua armata contro di loro, ventilando la possibilità di formare un nuovo partito o di ordinare ai suoi di non votare per quei politici che non sono in sintonia con le sue direttive. Ed ecco che nessuno dei repubblicani si è congratulato con Biden. Lo ha fatto solo l’ex presidente George W Bush, che con l’elettorato non ha pi`u nulla da spartire. Si sono congratulati con Biden invece molti leader internazionali, tra cui il primo ministro israeliano Ben Netanyahu, grande alleato di Trump.

Il terzo fronte è quello giudiziario. Nei mesi scorsi Michael Cohen, l’ex avvocato di Donald Trump, in prigione per evasione fiscale e per aver usato fondi elettorali per silenziare alcune donne con cui Trump aveva avuto storie di letto mentre era sposato, ha vuotato il sacco dopo che Trump lo ha silurato. Ha patteggiato la sua immunità e ha raccontato agli inquirenti tutte le magagne che per 10 anni lui ha compiuto per conto del suo cliente. E qui si aprono scenari impensabili per un ex inquilino della Casa Bianca e per i figli, tutti componenti dei consigli di amministrazione delle sue società.

Dato che la posta in gioco è altissima ecco che si rifiuta di accettare la sconfitta.

Joe Biden presidente USA (Illustrazione di Antonella Martino)

Mentre Trump pensa al modo in cui si può salvare,  Biden si congratula con la casa farmaceutica e come sua prima mossa da presidente eletto costituisce  la task force contro il covid 19 della quale faranno parte l’ex capo della Food and Drug Administration (Fda) David Kessler, l’ex “surgeon general” Vivek Murty e la professoressa di Yale Marcella Nunez-Smith. Tra gli altri componenti Rick Bright, l’esperto di vaccini che aveva denunciato le pressioni del governo Trump sull’ idrossiclorochina, e Luciana Borio, esperta brasiliana in biodifesa che ha lavorato nella Fda e nel National Security Council ai tempi di Obama. La lotta al coronavirus con questa scoperta, prende nuovo vigore.

Il virus in questi giorni è esploso con particolare aggressività colpendo 100 mila persone al giorno. Tra queste anche Ben Carson, segretario all’Edilizia, neurochirurgo che non crede nell’uso delle mascherine e che è andato al party organizzato dalla Casa Bianca per la vittoria di Trump. Il party non c’è stato e tra le numerose persone che erano nelle sale della Casa Bianca ci sono stati molti casi di coronavirus.

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Massimo Jaus

Massimo Jaus

Massimo Jaus, romano e tifoso giallorosso. Negli Stati Uniti dal 1972. Giornalista professionista dal 1974. Vicedirettore del quotidiano America Oggi dal 1989 al 2014. Direttore di Radio ICN dal 2008 al 2014. È stato corrispondente da New York del Mattino di Napoli e dell’agenzia Aga. Massimo Jaus. Originally from Rome and a Giallorossi fan. In the United State since 1972. A professional journalist since 1974. Deputy Editor of the daily paper America Oggi from 1989 to 2014. Has been New York correspondent for Naples' "il Mattino" and for Agenzia Aga.

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