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November 6, 2020
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Biden pronto a prendere lo scettro della presidenza ma Trump non lo molla

L’America ha votato per il cambiamento ma all’orizzonte spunta la tempesta di ricorsi voluti dal presidente sconfitto che potrebbero arrivare alla Corte Suprema

Massimo JausbyMassimo Jaus
Mentre si contano ancora i voti, si spalanca la strada per la vittoria di Joe Biden

Joe Biden, presidente USA (Illustrazione di Antonella Martino)

Time: 4 mins read

Joe Biden sta per tagliare il traguardo. La Casa Bianca è vicinissima. Con lui l’America volterà pagina. Biden Parlerà questa sera alla Nazione.  Il suo successo elettorale però è ancora privo dell’ufficialità della vittoria poiché in alcuni Stati, tra tutti Michigan e Wisconsin, i risultati non sono stati certificati dopo che gli avvocati di Trump hanno chiesto di ricontare i voti. In Georgia, invece il nuovo conteggio lo ha chiesto il governatore Brian Kemp che è repubblicano così come l’Attorney General, Christopher Carr, così come il Segretario di Stato, Brad Raffensperger, che supervisiona il funzionamento delle operazioni elettorali. Alti funzionari dello Stato dei quali Trump, nel suo farneticante discorso dalla Casa Bianca, ha cambiato partito. E in Georgia Biden sta straripando. Nelle prossime ore gli avvocati di Trump presenteranno la richiesta di ricontare i voti anche in Pennsylvania, Stato anche questo che Biden si sta aggiudicando per una manciata di voti.

Da vedere se Trump, come tradizione vuole, accetterà la sconfitta facendo il  “concession speech” e telefonare al presidente eletto per fargli gli auguri. Usanza avviata nel 1896 allorché William James Brian venne sconfitto da William McKinley, e finora sempre rispettata. Come ha scritto Neville Shepard sul Washington Post, “Il Concession Speech non è in alcun modo vincolante, al contrario, nasce dalla fede di un candidato nelle norme elettorali”. Cosa che oggi, invece, viene aspramente contestata. Tantomeno Trump ha dato l’ordine di preparare l’agenda dei colloqui per la transizione.

Il presidente Donald Trump (Illustrazione di Antonella Martino)

Gli Stati Uniti hanno avuto in passato elezioni contestate come quelle del 2000 tra Al Gore e George W Bush in cui il presidente repubblicano si aggiudicò lo Stato per 537 voti. Ma in quel caso il minuscolo scarto di voti che separava i due contendenti era messo in discussione non solo per l’esiguo numero di voti, ma anche per il modo in cui le schede elettorali erano state perforate dalla macchina meccanica allora usata per esprimere il voto. E si passò quindi all’esame delle schede una ad una per vedere se fossero state perforate del tutto. Nessuno dei due contendenti accusò l’altro di frode. Bush si rivolse alla Corte Suprema che bloccò il riconteggio dei voti. Decisione che passò con 5 voti favorevoli e 4 contrari. Il giudice Antonin Scalia scrisse nella decisione della maggioranza che la riconta dei voti creava un irreparabile danno alla legittimità delle elezioni americane. Gore dopo la decisione mandò una email alla sua campagna elettorale in cui ordinava ai suoi collaboratori di non denigrare la Corte Suprema. Erano altri tempi. Da vedere ora se esisterà la stessa onestà politica dopo che con la nomina del giudice Amy Comey Barrett la corte è composta da sei magistrati conservatori e tre liberali.

Se vincerà Biden, come tutto lascia credere, si aprirà anche un problema “tecnico” per l’investitura del nuovo presidente. Mancano 74 giorni al Presidential Inauguration del 20 gennaio 2021. In questo periodo cadono appuntamenti cruciali, primo tra tutti l’8 dicembre, con il “Safe Harbor” ultimo giorno in cui è permesso il conteggio delle schede e gli Stati certificano il risultato elettorale per determinare chi saranno i Grandi Elettori che il 14 dicembre dovranno formalmente esprimere il voto che proclamerà  il presidente. Ora le procedure per ricontare i voti specialmente quando si accusa di frode l’avversario politico, vengono esaminate oltre che dai controllori elettorali dello Stato anche dalla magistratura e quindi inevitabilmente i tempi si allungheranno. Naturalmente più ricorsi vengono presentati, più esiste la possibilità che uno Stato, o più Stati, non certifichino il risultato entro l’8 dicembre. Sin dalla contesa Bush-Gore del 2000, esiste una sentenza della Corte suprema secondo la quale gli Stati possono decidere loro i grandi elettori, senza rispettare necessariamente l’esito dell’urna. Ed il punto è che i parlamenti degli Stati più contesi, Arizona, Georgia, Michigan e Wisconsin sono repubblicani. La Pennsylvania invece è democratica.

Si corre il rischio quindi  che l’8 dicembre non ci sia un accordo.  A questo punto la decisione passera’ alla Camera dei Rappresentanti che dovrà votare il presidente. Ma si tratta di un terreno inesplorato, in cui un presidente sconfitto, rancoroso e litigioso dara’ la mano libera ai suoi avvocati. In tanta confusione c’e’ anche la possibilità che la decisione passi alla Corte Suprema.

In queste elezioni hanno votato quasi 240 milioni di americani, un record. Biden ha ottenuto quattro milioni di voti in più di Trump: 74 milioni Biden, 70 Trump. Sette Stati considerati roccaforti repubblicane (Georgia, Nevada, Pennsylvania, Arizona, Michigan, New Hampshire e Wisconsin) hanno votato per Biden. I repubblicani hanno conquistato 6 seggi alla Camera, ma restano in minoranza. La Camera dei Rappresentanti, se i conteggi finali lo confermeranno, sarà composta da 226 democratici e 209 repubblicani. Nancy Pelosi rimarrà la speaker ma la sua maggioranza è la più risicata che il partito Democratico abbia  mai avuto.

Al Senato, invece, i democratici hanno conquistato 2 seggi, uno in Arizona e uno in Colorado. In North Carolina il conteggio dei voti per il Senato non è stato ancora confermato, ma il repubblicano Tom Thillis è in vantaggio sul democratico Cal Cunningham,  in Alaska il repubblicano Dan Sullivan e’ in vantaggio sul democratico Al Gross e in Georgia il repubblicano David Perdue e’ in vantaggio sul democratico Jon Osoff. Se vinceranno i repubblicani rimarranno in maggioranza con 51 voti, i democratici con 47. Con loro anche due indipendenti che hanno sempre votato con i democratici.

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Massimo Jaus

Massimo Jaus

Massimo Jaus, romano e tifoso giallorosso. Negli Stati Uniti dal 1972. Giornalista professionista dal 1974. Vicedirettore del quotidiano America Oggi dal 1989 al 2014. Direttore di Radio ICN dal 2008 al 2014. E’ stato corrispondente da New York del Mattino di Napoli e dell’agenzia Aga. Sposato, 4 figli. Studia antropologia della musica alla Adelphi University. Massimo Jaus. Now retired. Originally from Rome and a Giallorossi fan. In the United State since 1972. A professional journalist since 1974. Deputy Editor of the daily paper America Oggi from 1989 to 2014. Has been New York correspondent for Naples' "il Mattino" and for Agenzia Aga. Married, 4 children. Studies Anthropology of Music at Adelphi University.

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