Da nord a sud, gli USA occidentali comprendono lo stato di Washington, l’Oregon e la California. Il primo è uno dei principali produttori americani di legname, con le sue foreste di abeti, pini, larici e cedri. L’Oregon vanta una copertura forestale di un quarto del suo territorio. La California ha più di 100.000 Km2 di boschi.
I roghi, ormai da tre settimane, imperversano, devastano e tuttora minacciano questa vastissima fascia territoriale. Fino ad ora almeno 30 vittime, milioni di ettari di foreste rasi al suolo (una superficie equivalente a quella del Veneto), decine e decine di dispersi, migliaia di case distrutte, centinaia di migliaia di persone avvisate o costrette a spostarsi. Sotto cieli color arancione, le corsie delle autostrade sono intasate da auto, camion, camper e rimorchi carichi di bagagli, attrezzi, biciclette.
La minaccia arriva non solo dalle fiamme ma anche dai gravi danni alla salute provocati dal fumo. L’indice di salubrità dell’aria, compreso in una gamma di valori che va da zero (qualità ottimale dell’aria) a 500 (estremo pericolo), sabato scorso in Oregon ha sfondato la scala con il numero 512. Gli unici effetti positivi del fumo sono l’abbassamento della temperatura dell’aria e un relativo aumento dell’umidità del suolo. Ma sono aspetti che interessano chi spegne le fiamme e non certo le popolazioni intossicate.
È logico domandarsi il perché di questo gigantesco rogo (battezzato “Bobcat fire”) e perché ogni anno i record delle catastrofi minacciano di superare quelli precedenti. Fino ad ora per la California l’incendio più letale è stato nel 2017 il “Tubbs” (43 vittime), mentre il “Rush” del 2012 è stato il più esteso (1280 Km²).
Il primo interrogativo è se il cambiamento climatico sia collegabile a tutto questo. È accertato e risaputo che uno degli effetti del mutamento in atto e previsto del clima è l’aumento della temperatura media globale. Ma, a parte il fatto che un incremento medio dei valore mondiale non significa che sta salendo e salirà la temperatura in ogni luogo del pianeta, non è certo una serie di valori termici estivi, per quanto possano essere elevati (diciamo oltre i 40 °C), a provocare un incendio. Per il legno la soglia di innesco è ben oltre, dai 220 ai 300 °C.
È invece vero che ha rilevante importanza lo stato di secchezza della vegetazione. Quanto più a lungo il sottobosco ha risentito della mancanza di piogge, tanto più è esposto alla possibilità di costituire un territorio infiammabile. Il cambiamento del clima sta certamente rendendo più aride certe regioni del pianeta. La California, ad esempio, presenta di norma in estate un clima secco, dimostrando una certa parentela con quello mediterraneo. E, proprio al pari del Mediterraneo, il mutamento climatico rischia di rendere sempre più secca l’estate californiana.
Poi, stabilito il possibile stato a rischio del suolo, ci vuole una causa accidentale, una scintilla. E questa può essere naturale, per es. un temporale con i suoi fulmini, o antropica, per es. l’incoscienza di chi getta un mozzicone acceso dal finestrino della sua auto, oppure, peggio, chi intenzionalmente e ben al corrente dello stato della vegetazione, appicca il fuoco.
Intanto, nella sola California, 16.000 vigili del fuoco sono impegnati nel titanico, faticoso e rischioso lavoro per circoscrivere e, alla fine, spegnere le fiamme di Bobcat fire.
Le settimane di assordante silenzio della Casa Bianca sul disastro in atto sono state interrotte solo da messaggi di ostilità del Presidente Trump nei confronti dell’amministrazione della California (“Devi pulire i tuoi pavimenti, devi pulire le tue foreste. Forse dovremo solo fargliela pagare perché non ci ascoltano”). Il sindaco di Los Angeles Eric Garcetti ha detto: “Non incolpa la costa del Golfo per gli uragani, ma incolpa la California per non aver rastrellato?”. Miles Taylor, un ex funzionario del Dipartimento per la sicurezza interna, ha detto che “il Presidente ha tentato di tagliare i fondi federali per la California per combattere gli incendi, semplicemente perché è una roccaforte democratica”.
Finalmente Trump, dopo essersi deciso a ringraziare i vigili del fuoco e gli operatori sanitari addetti all’emergenza, sta per recarsi nel “Golden State” per presenziare, insieme ai funzionari locali e federali dei vigili del fuoco, a un briefing sulla situazione e sulle decisioni da prendere. Per il momento l’amministrazione di Washington si è impegnata a schierare 26.000 federali e 230 elicotteri per aiutare gli stati occidentali.