Il social Tik Tok nel mezzo di una battaglia tra superpotenze e i nuovi padroni dell’economia. Questo mentre in Italia accade di tutto. Come diceva un grande comico italiano: vengo e mi spiego. Proviamo a sviluppare queste due direttrici per capire cosa accade nella battaglia per conquistare il social cinese e quello che sta determinando anche nel BelPaese, oltre che nel mondo. E’ opportuno tornare a scrivere sull’argomento.
Il Presidente americano Donald Trump ad inizio di agosto ha emesso un ordine esecutivo con il divieto per Tik Tok e l’app We Chat. Fanno capo a società cinesi.
Tik Tok è di proprietà della società ByteDance, che gestisce l’app di aggregazione di notizie chiamata Toutiao, e WeChat è di proprietà di Tencent, una holding che controlla una varietà di servizi multimediali e di intrattenimento, tra cui il gioco online League of Legends.
Secondo il Presidente Trump: “minacciano la sicurezza nazionale, la politica estera e l’economia degli Stati Uniti”. L’ordine citava l’autorità legale International Emergency Economic Powers Act e del National Emergencies Act, e questo ha incoraggiato chi vuole acquisire Tik Tok prima della scadenza indicata da Trump del mese di settembre, con Microsoft, Oracle e Walmart che provano a comprare il social.
Il governo cinese ha risposto ed ha emesso nuove restrizioni alla vendita o all’esportazione di software di intelligenza artificiale.
La vendita di Tik Tok è quindi intrappolata tra due super potenze che combattono una guerra politica. Gli scenari sono aperti. Ma quello che rimane inquietante è quanto un social network o un’app possano coinvolgere due governi e impegnarli in una vera e propria guerra di nervi e di decreti.
Ma andiamo alle insidie di Tik Tok. Mi sono occupato, in diverse occasioni, dei diversi pericoli della rete e soprattutto dei social network. Scaricando l’app gli utenti possono creare brevi clip musicali e video di durata variabile tra i 15 e i 60 secondi ed eventualmente modificare la velocità di riproduzione, aggiungere filtri ed effetti particolari. Vietato ai minori di 13 anni, spesso però chi si connette è poco più che un bambino. Questo limite di età non viene infatti quasi mai preso in considerazione. I minori, che evidentemente non sono controllati dai genitori caricano i propri video senza tutele. Senza preoccuparsi di pensare a chi potrebbe visualizzarli. Gli account sono pubblici, possono quindi essere visti da chiunque, senza il bisogno, per chi li guarda, di doversi registrare al social. Tante le sfide, chiamate challenge, che gli adolescenti mettono sul social, correndo molti rischi.
Non si può non rimanere attoniti di fronte a certi episodi che la cronaca ci restituisce. Mi riferisco alla ragazzina americana che, nel mese di marzo di quest’anno, ha deciso di raccontare in musica il suo aborto, postandolo su Tik Tok. La giovane adolescente ha scelto un titolo per il suo video shock: ‘‘Abortion time, take 2’, questo ha lasciato pensare che fosse proprio il secondo aborto a cui si stava sottoponendo. Il caso ha fatto discutere, finendo al centro di un dibattito tra attivisti pro-vita e difensori dei diritti delle mamme, ed è rimbalzato sui media.
Nella prima scena la ragazza si prepara davanti allo specchio, si passa un fazzolettino sugli occhi come a voler mimare un pianto, mentre l’amica mostra il test di gravidanza positivo.
Infine, la videocamera entra nella sala d’attesa: c’è un’altra coppia, lei con il capo poggiato sulla spalla di lui. La teenager protagonista del video sente musica, balla e fa smorfie. Scorrono i sottotitoli: “Ci sono due stati d’animo” con cui si vive l’aborto, è il testo. Il video si conclude con la ragazza stesa sulla poltroncina per la visita e l’ecografia. Il tutto avviene con una colonna sonora in sottofondo come per tutti i video postati su Tik Tok.
Il primo impatto che si prova guardando il video genera rabbia e sconcerto per la superficialità con cui ci si affronta una scelta così delicata e personale in mondo visione.
I nostri giovani, sono rimasti orfani di senno e ragione, hanno tutto: opuscoli, preservativi, strumenti, informazioni, mezzi eppure li abbiamo lasciati soli con tutte queste certezze di fronte a una scelta come l’aborto. Questa clip mostra la facilità disarmante con cui un’adolescente si appresta a porre fine alla vita che porta in grembo, complice nel successo del messaggio “facile, veloce e indolore” anche la brevissima durata del video imposta dalla piattaforma social.
La ragazza canta e balla a ritmo di Bruno Mars nella fredda sala d’attesa di una clinica di Planned Parenthood e condivide sui social quello che, di solito, tutti, favorevoli e non all’aborto, concordano essere un momento delicato, sofferto, una scelta piena di dolore per una donna, a cui portare rispetto in ogni caso. Non di certo qualcosa che hai voglia di postare su Tik Tok, visto da milioni di utenti.
La responsabilità non è da attribuire soltanto a questa ragazza ma a noi adulti perché, molto spesso, non siamo in grado di vigilare abbastanza, di trasmettere quei valori e educare ai sentimenti che servono a dar importanza alla vita stessa.
Notizia recentissima, su Instagram e Tik Tok, un impiegato genovese di 30 anni aveva creato profili falsi con cui adescava ragazzine minorenni. Alle quali prometteva ricariche telefoniche gratis e soldi per acquistare videogiochi in cambio di foto e video hard. Adesso quest’uomo è finito nei guai, secondo quanto ricostruito dai carabinieri del comando provinciale, poiché avrebbe molestato, sui social, decine di ragazzine tra il centro e l’entroterra di Genova. Il molestatore deve ora rispondere di reati gravi: dall’adescamento di minore alla produzione di materiale pornografico.
Diversi sono gli episodi venuti alla luce, tra ottobre e novembre 2019, di uomini che hanno adescato giovanissimi, come ad esempio: un quarantaquattrenne fiorentino è finito nelle indagini della polizia postale di Firenze perché trovato a navigare ogni giorno su Tik Tok sotto false sembianze; un pedofilo modenese ha contattato sulla chat di Tik Tok un bambino e suo padre ha denunciato ai carabinieri l’escalation di messaggi arrivati sul cellulare del figlio.
Un’insoddisfazione continua, e la ricerca della felicità, porta i giovani a commettere degli errori perché pur di ottenere quello che vogliono sono disposti persino a spogliarsi davanti a sconosciuti, finendo nella rete della pedopornografia.
Mi piace ricordare il grande sociologo Zygmunt Bauman il quale sosteneva che “oggi non abbiamo paura di essere visti troppo, abbiamo paura della solitudine, il virus che mina e compromette il senso della vita è l’esclusione, l’abbandono. E su questo traggono vantaggio i social network”.
La nostra deve essere una battaglia contro l’isolamento e contro il senso dello sconforto, si tratta di una lotta subdola che rischiamo di perdere con le peggiori conseguenze per le nuove generazioni.