Questa sera alla Convention repubblicana sarà di scena il presidente, Donald Trump. Sarà lui a tracciare la visione politica del suo eventuale secondo mandato. Prima di lui una lunga lista di oratori: Ben Carson, il medico chirurgo che non crede nell’evoluzione della specie umana ma nel creazionismo, attuale ministro dello Sviluppo Urbano nel gabinetto del presidente. Poi Mitch McConnell, leader della maggioranza repubblicana al Senato, e Tom Cotton, il longilineo senatore leader della destra del partito che a giugno, con un suo editoriale al New York Times sui “legittimi motivi per mandare le truppe federali a presidiare le città americane”, ha forzato le dimissioni del direttore e del vice delle pagine degli editoriali del prestigioso giornale. Poi la figlia Ivanka, l’ex sindaco di New York Rudy Giuliani, un paio di evangelici e, per concludere, Dana White, il grande amico di Trump e presidente della UFC, la Ultimate Fighting Championship il brutale sport full contact (dove sono permessi tutti i colpi) che si disputa nei ring recintati come gabbie.
Sarà un discorso difficile per il presidente se vorrà rimanere nel perimetro della verità ed evitare il risibile discorso del vicepresidente Mike Pence fatto mercoledì sera da Fort McHenry. Un discorso che ha dipinto il Paese armonioso e produttivo grazie alle decisioni della Casa Bianca, e con una retorica anni Cinquanta quando l’America era impegnata nella guerra fredda, ha descritto Joe Biden come il leader della sinistra radicale e i democratici come socialisti all’assalto dei valori tradizionali.
Pence nel suo discorso ha chiaramente evidenziato la mancanza di sintonia con le difficili e turbolente tematiche che il Paese sta affrontando. Un po’ una Maria Antonietta del 21mo secolo. Della pandemia che ha causato 170 mila morti e quasi 6 milioni di persone infette, della mancanza di una linea guida nazionale da seguire per confrontare il covid 19 (ancora oggi non tutti gli Stati hanno imposto l’obbligatorietà della mascherina) ne ha parlato quasi come fosse un minuscolo incidente di percorso. Dei turbolenti fermenti razziali che stanno sconquassando il Paese li ha descritti come violenze di facinorosi che non rispettano la legge.
Neanche una parola sulla disoccupazione che vede milioni di americani in fila per ottenere un pasto dalle associazioni private che distribuiscono il cibo. Né tantomeno sugli altri milioni di americani che non lavorando non hanno i soldi per pagare l’affitto, il mutuo, le rate dell’auto e corrono il rischio di diventare homeless. Le paure di contagio, le tensioni per la disoccupazione, la rabbia per le violenze della polizia, tutti argomenti neanche sfiorati, continuando una narrativa fantasiosa impostata sui successi dell’economia e di Wall Street, come se la gente comune potesse sopravvivere di brioche e Dow Jones.

“La scelta di queste elezioni è se l’America rimane America” o “se vogliamo vivere in un Paese che si trasforma in qualcosa di completamente diverso”: ha detto Mike Pence. “La violenza si deve fermare, noi siamo per le proteste pacifiche ma saccheggi e violenze non lo sono e i responsabili devono essere perseguiti”. “Non toglieremo mai i fondi alla polizia, né ora né mai”, ha promesso. “Il popolo americano sa che non dobbiamo scegliere tra sostenere le forze dell’ordine ed essere al fianco dei vicini afroamericani per migliorare la qualità della vita nelle nostre città e paesi”, ha insistito Pence, “dal primo giorno della nostra amministrazione abbiamo fatto entrambe le cose e continueremo a farle per i prossimi quattro anni alla Casa Bianca”, ha aggiunto.
Pence ha parlato da Fort McHenry, la fortezza in un isolotto nella baia di Baltimora da dove gli americani difesero nel 1814 il porto nella guerra contro gli inglesi, ispirando Francis Scott Key a scrivere ‘The Star-Spangled Banner’, diventata poi l’inno nazionale americano.
Al suo fianco c’era Trump, arrivato da Washington per essere vicino a lui e salito al termine sul palco per l’esecuzione dell’inno. “Gli americani vedono il presidente Trump in molti modi diversi, ma non c’è dubbio su come lui veda l’America: la vede per quello che è”, ha detto Pence, la vede come “la nazione che ha fatto più bene a questo mondo di qualsiasi altra, che merita molta più gratitudine che rimproveri: e se volete un presidente che resti in silenzio quando la nostra eredità è umiliata o insultata, allora Trump non è il vostro uomo”.
“Per gli ultimi quattro anni”, ha detto Pence, “ho visto questo presidente subire attacchi incessanti e alzarsi ogni giorno e combattere per mantenere le promesse fatte al popolo americano”. E poi le bacchettate a Joe Biden, definito “il cavallo di Troia della sinistra radicale”, e alla visione esposta dal candidato dem alla convention rivale: “Ha evocato una stagione di tenebre, ma dove lui vede tenebre noi vediamo la grandezza americana”.
Parla di legge e ordine senza dire una parola su Kenosha, su Kyle Rittenhouse, il vigilante che ha ucciso due dimostranti, mostrato su tutti i canali tv in prima fila ai comizi di Trump. Un disdegno così sentito che anche lo sport ieri si è fermato per protesta. Hanno cominciato i Milwaukee Bucks che per primi hanno detto di non scendere in campo nella loro partita, seguiti a ruota da altre squadre di baseball, football e tennis. Non era mai successo prima. In poche ore si è diffuso il movimento lanciato dai giocatori del Milwaukee, dopo aver costretto l’NBA a rinviare altri due incontri in programma sempre mercoledì, Houston-Oklahoma City e Los Angeles Lakers-Portland. Tutti giocatori che hanno scelto il boicottaggio. Si torna a giocare oggi.
Ecco che in questo clima arroventato questa sera il presidente racconterà al Paese come lui vede e vedrà nei prossimi quattro anni l’America. Al suo discorso farà seguito la replica del partito democratico affidata a Kamala Harris. Per concludere, infine, il Board del Wisconsin Lutheran College, una piccolo università privata a pochi chilometri di distanza da Kenosha, ha rescisso l’invito fatto al vicepresidente per pronunciare sabato prossimo il discorso di inizio anno accademico.