Pensieri, tentativi di riflessione nei giorni del Covid-19. Finito il primo momento di un illusorio e consolatorio “Andrà tutto bene”. No, non andrà “tutto bene” proprio per niente; passata l’epidemia con i suoi morti, il suo carico di dolore e disastri, auguriamoci che non accada quello che qualcuno auspica: che tutto non torni come prima. Sarebbe un fallimento nel disastro: la certificazione che non si è fatto tesoro di nulla…
Può confortare chi crede nel rito della preghiera l’immagine di un pontefice carico di anni, che solo, mentre diluvia, prega in una piazza San Pietro spettrale, invoca il suo Signore non solo di non abbandonare l’umanità nel mezzo della tempesta, ma al pari degli Apostoli con il Nazareno, urla: “Svegliati!”. Senza alcuna vocazione alla blasfemia, senza voler mancare di rispetto al credente: Dio ha bisogno di essere “svegliato”?
Ma non siamo esperti di teologia. Per quanto non si disdegni il “sogno” di un’utopia, si è anche pragmatici: l’hic et nunc è quello che, tutto sommato, conta e vale. Senza precipitare nel pessimismo, la situazione chiede, impone, realismo: capacità di visione e analisi insieme. Quando c’è l’errore, riconoscerlo, analizzarlo, porvi rimedio.
Quello che accade è sotto gli occhi di tutti; non lo vede solo un cieco, anzi: solo chi decide di non vedere, come il brasiliano Jair Balsonaro. Gli altri, tutti gli altri, alla fine, ne hanno dovuto prendere atto. Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che più di sempre dimostra di essere la persona sbagliata nel posto sbagliato. Nel posto sbagliato, a far le cose sbagliate anche uno sbruffone Boris Johnson, il Regno Unito pagherà caro averlo scelto come premier. Non migliore la situazione della Spagna di Pedro Sanchez, colto completamente impreparato; e la Francia: non si deve dimenticare che il presidente Emanuel Macron irresponsabilmente non ha rimandato il primo turno di una tornata elettorale: se non ha avuto un esito disastroso in termini di contagio, lo si deve solo all’altissimo numero di astenuti.
Per restare in Europa, ci sono poi i comportamenti di irresponsabile egoismo di un’Angela Merkel, preda anche lei di atavica, storica, arroganza tedesca. Ci sono tanti buoni motivi per avercela con la Germania, la signora Merkel ne ha aggiunto un altro. Completa il quadro una Russia, quella di Vladimir Putin, che di tutta evidenza nasconde i dati reali dell’epidemia; la Cina di Xi, di cui è bene diffidare: ha mentito prima, niente fa pensare che non continui a farlo; di “repubbliche” islamiche come l’Iran o l’Arabia Saudita, il cui potere si fonda sull’inganno e la menzogna, non mette conto neppure di parlare.
Questo il fosco quadro del mondo in cui si vive.
Un leader: questo serve. Un leader in grado di rilanciare il concetto, l’idea, la prospettiva di un multilateralismo che ci faccia uscire dalla grave crisi in cui si è precipitati. L’interrogativo a cui occorre trovare risposta, ridotto all’osso è: quali prospettive, quale agenda. Se lo tsunami Covid-19 mostra con chiarezza qualcosa è la dimensione globale della crisi. Non sono più sufficienti i classici circuiti politico-diplomatici cui si è finora fatto ricorso fino a oggi. A onta di quello che predicano irresponsabili apostoli di un miope sovranismo senza respiro, più che mai è necessario far ricorso al multilateralismo, rilanciarlo.
A ben vedere le premesse di questa necessità e urgenza c’erano già prima del Covid-19: le ondate migratorie dei mesi passati hanno travolto ogni regola data; quell’emergenza ha dimostrato quanto fossero bolse, superate, inadeguate. Quegli oltre 60 milioni di rifugiati, di migranti, motivati da ragioni non solo economiche, sempre più spesso richiedenti asilo, avrebbero dovuto essere un campanello d’allarme, un “segnale” da raccogliere. Già allora si era in presenza di una crisi mondiale, destinata a durare a lungo. La risposta non poteva e doveva essere altro che una governance mondiale: le risposte singole fatalmente sono condannate al fallimento.
Di immigrati oggi non si parla più. Un’altra emergenza calamita l’attenzione di tutti. La risposta non cambia.

Per quel che riguarda gli Stati Uniti, la scommessa è nelle mani dell’elettore: sbaglia chi pensa che Trump o Joe Biden siano equivalenti. Tra due candidati uno peggiore dell’altro c’è sempre.
Per quel che riguarda l’Europa finora si fa esattamente quello che dovrebbe essere evitato: non c’è una politica comune, e si consuma un deprimente sfilacciamento del multilateralismo. Aumentano squilibri, divergenze; di fatto si lavora per lo smantellamento dell’Europa e dell’Eurozona. Tutto ciò è gradito sia da Trump, che da Putin e Xi. Tre buone ragioni, dunque, per mutar di rotta. Urge ridare slancio al progetto degli Stati Uniti d’Europa, fondato sull’intreccio tra responsabilità e solidarietà. Quella solidarietà che di fronte alla tragedia del Covid-19 sembra essersi smarrita.
Un poeta francese, un maquis che combatté i nazisti con il soprannome di “Capitano Alexandre”, da quella sua esperienza partigiana ha ricavato brevi e fulminanti riflessioni: “Le feuillets d’Hypnos”. Al 142 canto scrive “Le temps des monts enragés / et de l’amitié fantastique”. Il pessimismo della ragione mostra il tempo dei monti furenti. L’ottimismo della volontà le possibili “amicizie fantastiche”.