Gina Di Meo, giornalista dell’Ansa di base a New York, già collaboratrice de La Voce, si trova dal primo gennaio 2020 a Baghdad. E’ arrivata alla vigilia dell’uccisione, da parte degli americani per ordine del presidente Trump, del top generale iraniano Qasem Soliemani. Gina, campana di Avellino, laurea alla Orientale di Napoli, da 15 anni vive a New York, ma è stata più volte nei paesi “bollenti” del Medio Oriente. Nel 2010, in Afghanistan, mentre era “embedded” (al seguito) sempre con gli americani, rischiò grosso. I talebani presero di mira il convoglio dei mezzi corazzati e si è salvata mentre la sua colonna era sotto il fuoco nemico.
Abbiamo raggiunto Gina a Baghdad, dove ora si trova alla Union III, la base militare sede del Combined Joint Task Force-Operation Inherent Resolve e Joint Operations Command-Iraq, la coalizione internazionale anti-Isis e il comando delle operazioni militari irachene (per lo più americani ma ci sono anche soldati italiani) che sta proprio di fronte all’ambasciata USA, attaccata pochi giorni prima dai dimostranti pro Iran. Le abbiamo fatto delle domande.

Gina perché sei lì proprio ora?
“Sono in Iraq perché gli americani mi hanno proposto un embed con la possibilità di fare diverse attività tra Erbil, Baghdad e potenzialmente la Siria, e anche con gli italiani perché appunto fanno parte della coalizione e sono considerati tra il top per l’addestramento. Purtroppo sono capitata nel periodo peggiore. Ci sono minacce continue quindi è tutto sospeso. Ho passato qualche giorno ad Erbil, una sorta di isola felice rispetto a Baghdad e il 1 gennaio sono riusciti a mettermi su un elicottero e a farmi arrivare nella capitale”.
Cosa hai visto finora?
“Venerdì scorso, sempre sotto scorta sono riuscita a vedere il compound dell’Ambasciata Usa che si trova di fronte alla base. Poi nella notte il raid e quindi siamo come in uno stato di lockdown e giriamo tutti con giubbotto antiproiettile ed elmetto all’interno della base. Pensa non si può usare neanche la palestra e si cammina in due”.
Cosa pensano gli iracheni dell’attacco ordinato dal presidente Donald Trump? A che livello è la tensione?
“Non so cosa pensano gli iracheni del raid perché non riesco a parlare con loro ma mi è capitato di ascoltare parte di una conversazione in cui uno degli interpreti si chiedeva perché il raid proprio in Iraq, perché non eliminare Soleimani in Siria o in Iran o da qualche altra parte?”
E i militari nella base? Come stanno vivendo la guerra ormai alle porte? (Sopra il video del portavoce della coalizione militare, il Colonnello Myles Caggins)
“I militari non dicono molto ma si avverte che sono in agitazione. Hanno incrementato la sicurezza e le misure protettive, come mi ha detto il colonnello Myles Caggins, portavoce della coalizione militare. Che mi ha anche detto che sono preoccupati per la possibilità di attacchi con razzi e aerei. Tra i soldati semplici impossibile persino l’approccio, la maggior parte di loro è infastidita anche dalle foto. Non vuole correre il rischio di diventare un volto riconoscibile e diventare quindi un possibile target. Ho tentato anche di avvicinare un paio di soldati italiani ma anche loro non vogliono saperne di rilasciare dichiarazioni alla stampa. Union III non è nuova a minacce vista anche la sua posizione strategica. E’ distante una quindicina di minuti dall’aeroporto dove è avvenuto l’attacco americano ma è in pratica anche un cuscinetto dell’ambasciata americana. E’ di per se’ una base poco accessibile dall’esterno e anche se autorizzati bisogna essere sottoposti a diversi livelli di controllo. Difficile uscire anche se in via eccezionale, dopo il ritiro dei manifestanti che hanno assalito il compound sede della diplomazia americana, sotto scorta siamo riusciti ad avvicinarci alla struttura per avere un’idea dei danni subiti. Ora ci fanno capire che potrebbe essere imminente un’escalation degli eventi”.
Ma tu cosa prevedi?
“L’Iraq è come una pentola a pressione potrebbe esplodere da un momento all’altro. Potrebbe anche prospettarsi l’ipotesi che votino contro la presenza della coalizione qui e quindi li mandino a casa. Non sono sicura che questo possa accadere perché ci sono troppi interessi in ballo anche da parte irachena”.

Cosa farai nei prossimi giorni? Cercherai di capire di più andando fuori? Ci sono altri giornalisti con te alla base?
“Potrei uscire dalla base ma a mio rischio e pericolo e dovrei ingaggiare un fixer ma é una spesa che non posso accollarmi. Tuttavia se esco é a mio rischio e pericolo mi dicono. Pare inoltre che la maggior parte dei giornalisti che si trova qui vive in una sorta di area protetta. Al momento sono l’unica ad essere embedded con gli americani”.
Ma la base in cui ti trovi è sicura? Ti senti in pericolo? Hai paura?
“In base si vive pensando che possa succedere qualcosa da un momento all’altro. E’ super protetta, ma se sganciano una bomba dall’alto c’é poco da fare. Fanno danni… Per quanto mi riguarda, non ho paura altrimenti non sarei qui, non faccio l’eroina ma credo che sia parte del mio lavoro. Se scelgo di andare in certe zone non posso pensare ai rischi che corro”.