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L’idea di patria: perché è importante che l’Italia celebri il 4 novembre

Il significato di una data che agli italiani non deve ricordare soltanto l’esito vittorioso della Prima guerra mondiale ma l’idea attuale e moderna della “patria”

Angelo PerronebyAngelo Perrone
L’idea di patria: perché è importante che l’Italia celebri il 4 novembre

Il Presidente Sergio Mattarella in occasione della deposizione di una corona d’alloro sulla Tomba del Milite Ignoto nella ricorrenza del Giorno dell’Unità Nazionale e Giornata delle Forze Armate (Foto Quirinale.it)

Time: 3 mins read

Non solo Caporetto, ma anche il Piave e Vittorio Veneto. Sono gli eventi che per noi italiani hanno contrassegnato sanguinosamente il primo ventennio del ‘900, mentre tutto l’assetto politico e geografico subiva un tremendo scossone. Per sconfiggere le armate austroungariche che occupavano il nord est del paese, caddero allora migliaia di soldati italiani. Fu la “grande guerra” come sempre è stata chiamata. Ammesso che grande – nel senso elogiativo del termine – possa essere definita una qualsiasi guerra, e grande – quanto a dimensioni – la si possa ritenere a confronto della tragedia immane provocata successivamente dal nazifascismo. Ma forse nessuno allora lo riteneva possibile.

Si concludeva in un periodo dell’anno come questo, giorni che segnavano l’inizio dell’inverno, con le piogge, il freddo, le prime nevicate sulle vette, il 4 novembre del 1918. Ma non erano propriamente tempi simili. Allora, per tutti quei giovani andati a combattere, il sapore delle castagne ricordava la casa lontana, era solo il profumo degli affetti familiari distanti e delle proprie cose, un profumo amaro, nulla a che vedere con le trincee e le vette, dove la maggioranza dei combattenti non era mai stata prima. E Halloween non esisteva affatto, cos’era mai all’inizio del secolo scorso?

Con la sconfitta degli austriaci potevamo dire di aver vendicato Caporetto, il ritiro disonorevole delle truppe di fronte al nemico, eppure nella storiografia più comune e forse più banale, e persino nella percezione di molti, la disfatta è ricordata con più forza degli eventi successivi, la resistenza su quel fiume, l’avanzata successiva, che pure ebbero effetti non meno dirompenti sugli austriaci, il cui esercito collassò di colpo e dovette ritirarsi frettolosamente oltre le montagne, come ricordava il bollettino della vittoria.

Un segnale forse della vergogna provata come popolo, mai elaborata e superata. Una ferita non emarginata, e rimasta a sanguinare. Una conferma dei pregiudizi contro sé stessi, un popolo incapace di unire le forze, di sapersi coalizzare per un obiettivo. Oppure qualcosa di molto diverso, un’altra riflessione, cioè lo stupore di fronte all’ipotesi inversa. L’incredulità di saper ritrovare le ragione del vivere comune, scoprire la comune appartenenza ad un popolo.

Il Presidente Sergio Mattarella in occasione della deposizione di una corona d’alloro sulla Tomba del Milite Ignoto nella ricorrenza del Giorno dell’Unità Nazionale e Giornata delle Forze Armate (Foto Quirinale.it)

Per lungo tempo, finché sono stati vivi, la memoria di quei fatti è rimasta affidata ai nostri nonni, a quanti combatterono quella guerra e riuscirono a tornare alle loro case. Cerimonie pubbliche, discorsi degli ex o dei familiari, labari tirati fuori dalle teche, preghiere nelle chiese. Da parte di un numero sempre inferiore di persone, mano a mano che per ragioni di età diminuiva il numero dei superstiti.

Una trascuratezza durata anni e legata ai molti equivoci che hanno accompagnato l’idea di patria e i suoi simboli, a partire dal tricolore. Non tutti privi di fondamento, se si pensa allo stravolgimento operato dal fascismo, alla strumentalizzazione di nozioni importanti, inseparabili rispetto all’idea di democrazia liberale. Ma per un tempo troppo lungo è sembrato che l’idea di patria non stesse a cuore all’opinione pubblica antifascista e dunque democratica, e che il vessillo fosse non il simbolo di una comunità nella sua lunga storia, ma solo l’espressione di quanti in realtà l’avevano combattuta.

Oggi almeno queste parole sono tornate ad avere un senso più autentico, in armonia con la stessa etimologia della parola patria, che altro non significa se non la terra dei propri padri. Il ricordo e la cura delle proprie radici. E tuttavia sembra ancora mancare un tratto lungo del percorso, per comprendere tutte le implicazioni dell’essere parte di una comunità più grande. Quello stare insieme per un progetto comune, l’idea di una società solidale che, pur nella diversità delle proposte, si riconosce negli stessi valori di eguaglianza e libertà. E che sa muoversi efficacemente nella politica di ogni giorno. Senza falsità, strumentalizzazioni, interessi personali. Speriamo che, anche per questo, non serva troppo tempo.

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Angelo Perrone

Angelo Perrone

Angelo Perrone è giurista e scrittore. È stato pubblico ministero e giudice. Si interessa di diritto penale, politiche per la giustizia, tematiche di democrazia liberale: diritti, libertà, diseguaglianze, forme di rappresentanza e partecipazione.Svolge studi e ricerche. Cura percorsi di formazione professionale. È autore di pubblicazioni, monografie, articoli. Scrive di attualità, temi sociali, argomenti culturali. Ha fondato e dirige “Pagine letterarie”, rivista on line di cultura, arte, fotografia. a.perrone@tin.it

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