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June 30, 2019
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Il blitz di Trump con Kim al confine coreano e il casino del “Reality Diplomacy Show”

Storica visita del presidente USA al confine tra le coree: Trump entra con Kim Jong Un dentro il territorio del nemico, ma la sostanza prevarrà sullo show?

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Time: 3 mins read

Tra autocrati si pigliano, si potrebbe dire. L’incontro “blitz”, a sorpresa tra Donald Trump e Kim Jong Un – sarebbe stato preparato solo dopo un tweet avvenuto circa 24 ore prima in cui il presidente USA “spontaneamente” proponeva l’incontro –  al confine tra le due coree, con il primo presidente americano che passa simbolicamente la linea di confine, è sicuramente storico. Almeno per i programmi tv e le foto che vedremo. Ma su quanto fattuale progresso e sblocco delle trattative sul disarmo nucleare della Nord Corea provocherà é ancora troppo presto per dirlo. I due leader, dopo la stretta di mano e una mini passeggiata, sono poi stati a quattrocchi (con gli interpreti) per 53 minuti in un piccolo edificio chiamato “Freedom House”, dove di solito delegazioni militari tra le due coree si incontrano per parlare.

Il tweet di Trump con cui solo sabato il presidente USA avrebbe chiesto al dittatore della Nord Korea Kim Jong Un l’incontro

Quando Trump e Kim sono usciti, continuavano a sorridere ed avere un atteggiamento positivo: hanno  detto che i negoziati sul disarmo nucleare riprenderanno. Infatti si erano interrotti da febbraio, dopo un precedente incontro burrascoso tra i due in cui Trump non aveva accettato la proposta di Kim di togliere alcune sanzioni prima di vedere seri progressi di disarmo. Trump ha invitato Kim alla Casa Bianca, e sarebbe un avvenimento sensazionale.

Il mondo da poche ore é molto più sicuro grazie a Trump? Penso che sia questo che a un lettore di questo mondo interessa sapere di più: ma questo presidente degli USA, così al centro di tante polemiche e accuse, ritenuto da una larghissima parte della stampa (anche da chi scrive) un pericolo per la democrazia americana, alla fine potrebbe diventare colui che veramente assicura la pace e potrebbe meritare un Nobel per aver evitato una guerra che avrebbe causato in pochi giorni milioni di morti? Già potrebbe essere Trump l’eroe della pace?

Nel fermo immagine, il momento in cui Donald Trump è ad un passo dal varcare il confine con la Nord Korea dove lo attende Kim Yong Un

Restiamo più che scettici, preoccupati sulle possibilità della “Reality Diplomacy Show” di Trump, costruita a immagine e somiglianza dei suoi programmi tv che lo avevano reso popolare una quindicina di anni fa ad una larga fetta di pubblico americano, che fino a quel momento sapeva qualcosa di lui solo come quel costruttore di New York playboy e mezzo fallito. Trump, in questi viaggi all’estero che di solito detesta (si trovava in Giappone per il G20 dove ha annunciato grandi progressi col negoziato commerciale con la Cina), ha ormai capito che possono fare da valvola di sfogo a dei problemi domestici sempre più complicati. Al Congresso il dibattito se e come andare avanti con la domanda di “impeachment” da parte di alcuni democratici non si è ancora spento e gli ultimi poll continuano a dare ai repubblicani preoccupazioni che alla fine i democratici possano scegliere un candidato/a in grado di soffiare a Trump quella Casa Bianca che lui, sempre via twitter, ha cominciato ad amare così tanto annunciando, col tono scherzoso di chi cerca di capire quale sarebbe la reazione, che lui forse si ricandiderebbe per la terza volta nel 2024 se il suo popolo lo vorrà (eventualità che sarebbe incostituzionale…).

Allora per rispondere alla domanda di un lettore giustamente preoccupato per la pace nel mondo, sul fatto se avere lo “show man” Trump vicino a quei bottoni che possono mandarci tutti all’aldilà nel giro di pochi minuti possa risultare un vantaggio o uno svantaggio, ricordiamo prima cosa Trump costruisse e gestisse, oltre a grattacieli e alberghi, e con che business andasse spesso, troppo spesso, in bancarotta: i casini. Già, non quelli dove ci stanno le prostitute, (ovvero ci stanno pure ma non sono allo “scoperto”) ma dove dentro ci trovi le slot-machine e le roulette. Quei grandi Hotel-Casino che quando ci capiti e punti tutti sul rosso, hai il 50% delle possibilità che ti va bene e vinci (poco), o che perdi (tutto). Se poi vuoi tentare di vincere molto, allora punti su un numero e hai una possibilità su 37 di vincere molto ma 37 su 1 di perdere tutto.

Ecco, per cercare di capire quante sarebbero le probabilità che  la “Reality Diplomacy Show” alla Trump potrebbe portarci tutti alla pace o alla totale distruzione con la guerra (non si punta solo sul tavolo della Corea, ma anche in quello dell’Iran in questi giorni) si deve pensare a quei casini da lui costruiti e gestiti ad Atlantic City. Certo ci potrebbe andar bene, e saltiamo di gioia per la pace che finalmente scoppia con la Corea ancora governata da un dittatore sanguinario che oltre ad affamare un popolo e torturare e uccidere i dissidenti, ha assassinato avvelenandolo pure un fratello che era sospettato di essere una spia degli americani. Ma se la roulette si fermasse sul nero invece che sul rosso? E se poi Trump decidesse ad un certo punto di puntare su un numero per sbloccare la trattativa? Eccolo allora che Trump – non aiutato più dal papà come gli capitava una volta – potrebbe portarci tutti alla bancarotta mondiale! Purtroppo questa volta i suoi problemi sarebbero anche i nostri e non si risolverebbero con gli avvocati che ti bussano alla porta, ma con le testate nucleari nei missili che volano tra i cieli dell’Asia al Medio Oriente, dall’Europa fino alle coste USA.

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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