Potete leggere la prima parte della visita di Matteo Salvini a Washington qui.
“Abbiamo parlato di valori, di Iran, di Cina, di diritti umani, di Unione Europea che sta cambiando”. Altro incontro “costruttivo” per Matteo Salvini a Washington, che, dopo la stretta di mano con il segretario di Stato Mike Pompeo di questa mattina, ha avuto un colloquio alla Casa Bianca con il suo omologo, il vicepresidente Mike Pence. Un incontro tra vice, dunque, che adombra, però, l’indiscutibile ruolo di primo piano che, forte anche delle recenti elezioni europee, Salvini si è indiscutibilmente ritagliato nell’esecutivo italiano. Non è un caso che il titolare del Viminale, nel corso di entrambi i punti stampa al termine delle bilaterali, abbia toccato tutti i temi, programmatici e non – dalla politica estera a quella fiscale, oltre a quella interna di sua più stretta competenza –, con la sicurezza di chi è investito di un ampio e solido consenso in patria.
Dal canto suo, il vicepremier ha negato, a margine della prima conferenza stampa presso la residenza dell’ambasciatore Varricchio, che questo viaggio a Washington e i prossimi in agenda (si parla di Brasile e Israele) costituiscano una sorta di “investitura per un possibile nuovo futuro”: “Io faccio il vicepresidente del Consiglio, incontro il vicepresidente degli Stati Uniti, e faccio con orgoglio e spero con estrema efficacia il ministro dell’Interno”. Non c’è dubbio, tuttavia, che in questo viaggio al di là dell’Atlantico Salvini si sia posto come interlocutore principale dell’amministrazione Trump, dettando dunque una linea precisa che, su certi temi – come su Cina, Venezuela e Iran – in certa misura si divarica, o potrebbe divaricarsi, con quella dell’alleato pentastellato e altri ministri del Governo. Salvini non ha affatto negato di aver individuato questo “pantheon” di alleanze per il “suo” Belpaese: “Tra Italia, Stati Uniti, Israele, Brasile, Polonia, Ungheria c’è una comunanza di visione del mondo”, ha detto. Una visione che non ha nascosto di voler rinsaldare, forte, anche qui, dell’investitura popolare.
Da Washington, quindi, Salvini manda un messaggio chiaro a Bruxelles: “Ho ribadito non il diritto, ma il dovere del Governo italiano di tagliare le tasse alle famiglie su modello americano, per poter competere ad armi pari e allontanare alcune lusinghe economiche che arrivano da Pechino e dintorni”. Con Pence, ha affermato, “siamo d’accordo sul 99% della visione del mondo e di quello che verrà”. Pence, ha spiegato ancora Salvini, “si è augurato, e questo mi fa piacere, di lavorare e collaborare a lungo con il Governo italiano, e l’auspicio è reciproco”.

Salvini ha definito un “obiettivo comune” quello di coltivare buone relazioni con la Russia, a cui lui ha sempre guardato con ammirazione, ma da Washington ha sottolineato che, nella scala delle priorità, “il pericolo della prepotenza cinese e del nucleare iraniano vengono prima di tutto il resto”. “È un particolare che non mette in discussione la visione d’insieme”, ha specificato il Ministro a proposito della sua “amicizia” con Mosca, che, ha aggiunto nel ricordare la sua contrarietà alle sanzioni, deve a sua volta fare dei passi avanti sulla crisi ucraina.
Quindi, è giunto un affondo agli alleati europei. L’Italia – ha detto infatti il titolare del Viminale – “è il Paese più attendibile, coerente e credibile come sponda di dialogo per gli Stati Uniti in Europa, visto che altri, a Berlino e a Parigi, hanno dimostrato altre idee e altre volontà”. E a detta di entrambi, ha aggiunto Salvini, “non siamo mai stati così vicini”. “Per me c’è l’Italia First”, ha osservato, per loro “l’America First, e la coincidenza di interessi è evidente”.
Nessuna preoccupazione per le conseguenze dei dazi di Trump sulle imprese italiane. “Abbiamo parlato di uno sviluppo soddisfacente per entrambi per il business, quindi abbiamo parlato di un’UE che ha fatto poco e male in passato – penso all’Africa –. Conto che le aziende italiane possano essere al riparo da eventuali dazi o problemi”. E di nuovo una stoccata ai vicini europei: “Se altre aziende di altri Paesi europei non avranno la stessa fortuna non è un mio problema”. Ma l’ottimismo del Ministro, ha confessato poco dopo lui stesso, non si basa ancora su una rassicurazione dall’alleato americano: perché quello di fare in modo che i dazi non colpiscano negativamente le aziende italiane, per ora, non è una promessa di Pence ma solo “un mio obiettivo”.
La stretta di mano con Trump, però, non c’è stata: “Non era in programma”, si è giustificato il Vicepremier, ricordando di essere stato ricevuto da una “delegazione di altissimo livello”. Il bilancio, dunque, è ottimo: “Se il Vicepresidente della più grande democrazia del mondo si augura di lavorare con me e con il mio Governo ancora per tanti anni, penso che sia di riconoscimento al fatto che la soddisfazione è reciproca”. Una luna di miele, per Salvini, iniziata dalla primissima ora: “Mi sono permesso di ricordare che la notte della elezione di Trump io e il mio movimento eravamo forse gli unici in Italia che tifavamo per l’attuale Presidente”.

La battaglia con l’Europa resta costantemente sullo sfondo di questa visita. Ed è anche in questa chiave che Salvini è volato a Washington: per trovare, insomma, una sponda dall’altro lato dell’Oceano. E il messaggio, diretto agli investitori e a Bruxelles, è che “l’Italia ha un Governo stabile che ha come priorità quella di abbassare le tasse”. E “se ce lo permettono nel rispetto dei vincoli siamo felici, se no le tasse le abbassiamo comunque”. Anche in deficit, se fosse necessario? “Noi abbasseremo le tasse, con le buone… o con le buone. Non facciamo una manovra economica per tirare a campare”. “Si rassegnino”, ha detto ancora, “l’Italia non si rassegna allo zero virgola”. Salvini ha incontrato anche il presidente di Americans for Tax Reform, Grover Norquist e “alcuni rappresentanti che hanno portato al centro del dibattito americano l’ipotesi di flat tax e di riforma fiscale: è quello su cui stiamo lavorando giorno e notte”.

Di immigrazione, Salvini e Pence hanno “parlato marginalmente per fortuna, perché è un problema ormai di ridotte dimensioni. Anche se”, ha detto il Ministro, “c’è questa nave della ONG Sea Watch che mi hanno detto ha presentato un ricorso di 40 pagine al Tar del Lazio. Per una ONG di volontari che passa il tempo a salvare vite riuscire a mettere giù un ricorso di 40 pagine dagli avvocati al Tar del Lazio… ognuno impegna il tempo come ritiene”, ha ironizzato il titolare del Viminale, riferendo che “i nostri avvocati stanno già leggendo queste 40 pagine”. “Non è una Sea Watch qualunque che mette in discussione i decreti approvati dal Governo italiano”, ha avvertito. Salvini ha anche puntualizzato che, nonostante le varie offerte di disponibilità ad accogliere ricevute da altri Paesi europei, non ha intenzione di offrire un porto di sbarco. “Stavolta la cambio: fateli arrivare da voi che ne accogliamo qualcuno noi”. “Il Paese responsabile di quello che sta accadendo è l’Olanda. Se l’Olanda vuole aprire un porto olandese, noi cinque o sei persone le accogliamo”. E sulla battaglia sul regolamento di Dublino in Europa – battaglia in cui, in passato, la Lega ha latitato – Salvini non è ottimista: “I numeri non ci sono, non interessa a nessuno se non ai Paesi dell’area del Mediterraneo”. Ecco perché, ha spiegato, l’obiettivo è piuttosto quello di controllare gli ingressi. Dall’America, invece, il Vicepremier vorrebbe mutuare l’idea di una “immigrazione qualificata, di cui abbiamo parlato con l’amministrazione Trump, basata sul merito, sui titoli, sulle necessità del Paese ospitante: questo è un modello che da domani approfondisco al Viminale”.
Quanto alla stima effettuata dal presidente dell’Istat, secondo cui per rimpatriare tutti gli irregolari – cavallo di battaglia della campagna elettorale di Salvini – ci vorranno 100 anni, il Ministro ha osservato: “Intanto abbiamo ridotto dell’87 % ad oggi l’arrivo di nuovi irregolari, e per la prima volta dopo anni abbiamo più espulsi che arrivi”. Un risultato che, a onor del vero, affonda le sue radici nell’accordo con la Libia varato dal Governo precedente, ministro dell’Interno Marco Minniti, e che, in ogni caso, non attesta un aumento dei rimpatri, ma solo un calo degli arrivi. “Su questo l’UE può essere efficace”, ha affermato Salvini, “perché gli accordi commerciali con Paesi terzi, penso alla Nigeria, al Pakistan, alla Costa D’Avorio, al Bangladesh, se conterranno delle clausole di riammissione, ci permetteranno di accelerare su questi rimpatri”. E contraddicendo quanto aveva più volte promesso in campagna elettorale, il Ministro ha ammesso: “Un Paese da solo, ho visto in questi mesi, fa fatica a ridiscutere questi accordi”.
Il punto stampa di Salvini ha attirato la curiosità di turisti e passanti, e ha visto addirittura l'”intromissione” di due giovani supporter italiani, Maurizio e Andrea De Bono, a Washington da diversi anni dove studiano Economia e Finanza. I due fratelli hanno acclamato il ministro dell’Interno e sventolato un cartello con scritto “Salvini forever” (che per la cronaca, a differenza di altri in Italia meno entusiasti di Salvini, naturalmente non è stato sequestrato). I due ragazzi affermano di apprezzare il Vicepremier perché è “l’uomo giusto che può rappresentare gli italiani, il loro pensiero, in Europa, e che, come fa il presidente Trump, vuole abbassare le tasse e mettere gli italiani prima”. Alla domanda se toneranno in Italia, hanno risposto che, per ora, non ne vedono la possibilità: “L’educazione non è buona quanto in Italia”, ammettono, ma le opportunità di lavoro si trovano molto più facilmente. Certo: “Se Salvini fa qualcosa, magari…”.