L’attentato brutale che in Sri Lanka ha preso di mira turisti e fedeli cattolici, riuniti per celebrare la Pasqua, e che ha ucciso quasi 300 persone, costituirà inevitabilmente una cesura nella rappresentazione di un Paese che, per le sue bellezze naturali, è stato spesso descritto come il Paradiso in Terra e che, grazie a questo patrimonio, nel 2018 ha attratto più di 2 milioni di turisti. In effetti, prima che sei kamikaze si facessero esplodere simultaneamente in tre diverse città, erano in pochi ad essere pienamente consapevoli del fatto che quel “paradiso” ha in realtà alle spalle una storia turbolenta e sanguinosa, caratterizzata da tre decenni di guerra civile, la cui conclusione, circa dieci anni fa, non ha cancellato tutti i problemi di convivenza e non ha rinsaldato le faglie aperte nel complicatissimo equilibro etnico e religioso che caratterizza il territorio.
Se ancora non sono del tutto chiare le responsabilità dell’ecatombe che si è abbattuta su gruppi di fedeli cristiani e vacanzieri durante la festività pasquale, sarà forse di qualche utilità mettere insieme ciò che si conosce della storia recente e delle caratteristiche demografiche del Paese. Si sa, innanzitutto, che lo Sri Lanka, 22 milioni di abitanti, è per il 70% buddhista. I cattolici sono il gruppo religioso meno numeroso, circa il 6% della popolazione, superato dai musulmani (10%) e dagli indu (12%). Si sa, inoltre, che una lunga storia di privazione del diritto di voto nella minoranza Tamil, per mano dei buddhisti cingalesi, portò a una tragica guerra civile, nella quale le Tigri Tamil – gruppo armato ribelle e laico – utilizzò anche l’arma degli attentati suicidi come strategia di insurrezione. La risposta dell’esercito fu, a sua volta, brutale. La guerra si concluse nel 2009, con la vittoria dell’esercito sulle Tigri Tamil e, secondo la stima delle Nazioni Unite, almeno 40mila civili rimasti uccisi nel conflitto.
Si sa anche che le ferite della guerra non si sono del tutto rimarginate, e molte delle questioni che l’avevano scatenata sono rimaste irrisolte. Restano i pregiudizi tra gruppi etnici, il trauma per decenni di violenza, e alcune famiglie Tamil sono ancora oggi alla ricerca di persone scomparse durante la guerra, o impegnate nel tentativo di riavere la propria terra, rimasta nelle mani dei militari. Si sa, poi, che i decenni successivi al conflitto sono stati per lo più pacifici, ma anche caratterizzati dalla nuova ascesa del nazionalismo buddhista: nel 2013, un attacco a una moschea di tale matrice ferì 12 persone, e occasionalmente alcune messe cristiane sono state interrotte da monaci buddhisti. Non solo: lo scorso anno, la National Christian Evangelical Alliance dello Sri Lanka denunciò 86 casi di discriminazioni, minacce e violenze comprovate nei confronti dei cristiani.
Bisogna sottolineare che la minoranza cristiana non è stata l’unico target, negli anni, di discriminazioni e violenze. Anche la minoranza musulmana subisce persecuzioni: si pensi, ad esempio, al già citato attacco alla moschea del 2013. E secondo alcuni esperti, le notizie riguardanti la presunta radicalizzazione di alcuni gruppi musulmani nel Paese sarebbero state utilizzate per giustificare frequenti attacchi a quel gruppo religioso da parte della maggioranza.
7. There have been rumours of Muslims in the country being radicalized and groups being funded by KSA/gulf states since at least the early 90s (including the group that is being linked to this attack). And it has been used as an excuse to preemptively attack Muslim communities
— Amarnath Amarasingam (@AmarAmarasingam) April 21, 2019
Anche la situazione politica del Paese è tutt’altro che tranquilla. Lo scorso anno, un tentativo di rovesciare il Primo Ministro ha aperto una protratta crisi costituzionale, che ha rischiato di tradursi in nuove ondate di violenza. Per un breve periodo, lo Sri Lanka ha infatti avuto due Premier dichiarati contemporaneamente. Lo scorso ottobre, il presidente Maithripala Sirisena ha licenziato il Primo Ministro, Ranil Wickremesinghe. Al suo posto, ha nominato l’ex Presidente e uomo forte Mahinda Rajapaksa. E quando è divenuto chiaro che Rajapaksa non aveva abbastanza voti in Parlamento per ricoprire la carica agognata, Sirisena ha sciolto l’assemblea. Una crisi politica che ha paralizzato il Paese per oltre due mesi, con scontri nelle strade e all’interno dello stesso Parlamento. Alla fine, Rajapaska ha fatto marcia indietro e Wickremesinghe è rimasto in carica.
La situazione, insomma, è complessa, sotto diversi punti di vista. Resta da capire chi e perché può aver realizzato un attacco tanto brutale nei confronti di fedeli cristiani e turisti stranieri. Nel momento in cui scriviamo, ancora nessuna organizzazione terroristica ha rivendicato l’azione. Un’azione che, peraltro, è stata chiaramente coordinata, e che fa pensare alla presenza di un’organizzazione dietro le quinte. Qualcuno fa notare sia improbabile che i copevoli siano estremisti buddhisti: sarebbe nuova, infatti, la decisione di attaccare chiese e di prendere di mira turisti stranieri. In cima alla lista dei sospettati, dall’inizio, gruppi jihadisti di cui, tuttavia, non si spiegherebbe il prolungato e inusuale silenzio e la mancata rivendicazione. Dal canto suo, il Governo del Paese ha ammesso di essersi fatto trovare impreparato, nonostante, secondo il portavoce dell’esecutivo Rajitha Senaratne, fossero pervenuti alcuni inquietanti avvertimenti nei giorni precedenti agli attacchi. Uno di questi farebbe riferimento a Nations Thawahid Jaman (NTJ), un poco noto gruppo islamico locale che in precedenza aveva preso di mira delle statue buddhiste. Per ora, la polizia ha fermato ventiquattro persone; eppure, il sospetto è che dietro a quanto accaduto vi sia una rete terroristica internazionale: per Senaratne, nessun gruppo locale avrebbe potuto portare a termine un simile attacco da solo. Una delle ipotesi è che quanto accaduto sia riconducibile a gruppi come ISIS e Al Qaeda: secondo alcuni esperti interpellati dalla Reuters, le esplosioni avrebbero infatti caratteristiche riconducibili agli attentati portati avanti da tali organizzazioni in Medio Oriente e in Asia sudorientale. Tutto da confermare, certo: eppure, lo abbiamo visto in tante altre parti del mondo, un Paese caratterizzato da divisioni, repressione delle minoranze, ingiustizie sociali e instabilità politica è il terreno più fertile perché il fondamentalismo di matrice jihadista possa attecchire.