Ogni suicidio è un mistero. Pertanto, anche quello di Rocco Greco, piccolo imprenditore di Gela, Sicilia, lo è. Che sia un mistero nelle sue scaturigini, però, non implica che non se ne possa tentare una rappresentazione emotiva, persino intellettiva, volendo.
Camus, letterato e pensatore che paradigmaticamente visse, e sperimentò, la vita come “possibile assurdo” dell’uomo di fronte al mondo, ci consegna questa immagine:
“Un mondo che possa essere spiegato, sia pure con cattive ragioni, è un mondo familiare; ma, viceversa, in un mondo spogliato subitamente di illusioni e di luci, l’uomo si sente un estraneo, e tale esilio è senza rimedio…”.
Rocco Greco aveva denunciato i suoi estortori, che lo avevano aggredito con metodo mafioso, come recita la Legge. Aveva anzi convinto altri imprenditori a fare altrettanto. Processo, condanne definitive. Lui, vittima, gli altri, carnefici. Pareva tutto chiaro. Rocco Greco, “un simbolo”. E invece no.
Questo sarebbe stato “un mondo familiare”; spiegato secondo ragione. La ragione del civismo antimafia, per cui, la cittadinanza dovrebbe essere militanza: a telefonata, denuncia; a minaccia, arresto in flagranza.
Tuttavia, già così, questa era una “cattiva ragione”: giacché la riduzione di un uomo, della sua vita, a mero arnese probatorio nella burocratica disponibilità di un ufficio, che nulla realmente sa, nulla realmente vuole sapere, delle paure, delle necessità di quell’uomo, si svela una ragione ambigua, sfuggente: di solido, rimane l’impressione sgradevole, sgradevolissima, che quell’uomo debba fare il lavoro che altri non vogliono o non sanno fare.
Ragione cattiva, che rischia di diventare pessima, se si considera il presupposto, per così, dire, ideologico-interpretativo che la sorregge: l’aggredito e l’aggressore “si conoscono”. Se si conoscono, “hanno avuto rapporti”. Questi rapporti sono contaminanti, e la denuncia non vale alla purificazione.
Certo che “si conoscono”. Anche chi stupra e chi è stuprato “si conoscono”; come “si conoscono” l’usuraio e l’usurato.
Solo che qui c’è la baracca. C’è l’Antimafia, come Supremo Apparato: la nostra NKVD, che deve ricrearsi una giustificazione perenne. E così, da un mondo retto da sia pur “cattive ragioni”, entriamo in un mondo senza alcuna ragione. Entriamo in un mondo assurdo.
“Si conoscono”. Anche con Greco questo “sospetto sistemico” ha fatto capolino.
Il giudizio, nei suoi vari gradi fino alla Corte di Cassazione, ha escluso che ci fossero “rapporti” diversi da quelli fra vittima e carnefice.
Ma il sospetto, essendo un sospetto, è autonomo da ogni accertamento, anche giurisdizionale. Il sospetto non teme confronti. Perchè, semplicemente, il sospetto non si confronta.
Chi, poco fa, magari con una punta di fastidio, di fronte alla citazione del gioiellino staliniano (Commissariato del Popolo per gli Affari Interni), può aver pensato ad un’iperbole, si ricomponga immediatamente: perché qui si discute proprio di Ministero degli Interni; di Prefetture, di cd Interdittive Antimafia. Di assurdo codificato, e reso istituzione attiva e onnipotente. Da Aosta a Lampedusa (sebbene, il logo “terra di mafia”, indubbiamente, agevoli).
Coloro che Greco aveva accusato conoscono il mondo e le sue mode. Allora, sciorinano in dibattimento che Greco, è vero, pagava “il pizzo”: ma ci stava, gli piaceva.
Moda, questa di considerare il lercio bottegaio, l’impuro commensale del profitto, meno di un animale, che non è una moda: in un tessuto storico-sociale in cui “denaro sterco del demonio” è quasi una carta di identità plurisecolare.
Avuto il sospetto, è tutto pronto per tale rinovellata versione della Bolla d’Infamia, oggi prevista e disciplinata dalla Legge 159/201, il cd Codice Antimafia.
Non vi dirò nulla di forme e contenuti. Ci mancherebbe. Ci sono gli esperti, di cattedra e di toga, per queste cose.
Basti solo sapere che per esserne colpito, ci vuole così poco, che “La legge”, e la giurisprudenza che vi si trastulla, si fanno un vanto di affermare che l’Interdittiva del Prefetto comincia dove finisce l’assoluzione del Giudice.
Un piccolo imprenditore così “interdetto” subisce una riduzione della proprie capacità giuridiche, che coincide con la sua totale fuoriuscita dal circuito civile. Ma chi non ha diritti, non è più un uomo.
L’hanno voluta, o che è lo stesso, ne hanno consentito la mostruosa concezione, Berlusconi; Renzi; FI; il PD. Che sono stati e sempre più saranno ripagati per questa loro corrività e sottomissione culturale, politica ed istituzionale. E, ovviamente, l’hanno voluta Lega e M5S: le odierne, temporanee, fanterie, di questo Apparato onnipotente, e a tutti sovraordinato. Al Prefetto, “le carte” arrivano dalla DDA competente per territorio.
Rocco Greco aveva perso il frutto di un’intera vita spesa a lavorare. E i suoi 50 dipendenti, il loro. Il Tar Sicilia, e anche quello del Lazio, hanno confermato la decisione prefettizia. E, comunque, quando pure le “sospensive” vengono pronunciate, il danno è fatto. Clienti, creditori, fornitori, evaporano in poche settimane. Questo congegno è stato studiato proprio per liquidare. E per essere effettivamente senza rimedio. E’ ingiusto, e sopraffattore, in sè.
Il figlio ha riferito quelle che paiono essere state le ultime parole del padre: “Ormai, il problema sono io. Se vado via, i miei figli sono a posto“.
Possiamo perciò pensare che Rocco Greco si sia sentito in un “mondo spogliato subitamente di illusioni e di luci”.
In un mondo in cui un carnefice è ammesso a sghignazzare la sua patente vendetta sulla vittima. In cui la parola ignobile e parassitaria è resa resistente alle smentite della giurisdizione, e fatta attraccare, arrogante e piena di sè, sulle accoglienti e interessate sponde della liquidazione amministrativa. Ecco, in un mondo così, potrebbe accadere che “l’uomo si sente un estraneo”, e avverta che “tale esilio è senza rimedio”.
Ed estranei e, per ora, senza rimedio ci sentiamo pure noi.
Rocco Greco. 57 anni, piccolo imprenditore di Gela, Sicilia. Riposi in pace.