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I minori immigrati nei centri di detenzione sono 5 volte di più del 2017

La decisione di Trump di separare i minori immigrati dai genitori sta avendo strascichi pesanti: il loro numero cresce a dismisura

C.Alessandro MauceribyC.Alessandro Mauceri
I minori immigrati nei centri di detenzione sono 5 volte di più del 2017

Protesta contro la politica migratoria di Trump in Minnesota, 30 giugno 2018 (Fibonacci Blue / Flickr.com).

Time: 6 mins read

Mentre i giornali internazionali non hanno parole se non per l’uragano Florence (ancora prima dell’arrivo dell’uragano è stato registrato l’arresto della fornitura di energia elettrica e acqua a 400mila abitazioni!) pare che nessuno nel continente americano abbia molta voglia di parlare dei bambini separati dai genitori provenienti dai paesi dell’America centrale e meridionale che avevano cercato di entrare negli USA.

Qualche tempo fa aveva destato scalpore la decisione di Trump di separarli forzatamente dalle famiglie. Una scelta bocciata severamente dalla Corte Costituzionale, ma che aveva lasciato strascichi pesanti: dei circa 2.400 minori da rimandare alle proprie  famiglie, circa 400 erano rimasti senza genitori.

Il vero problema, però, è emerso solo quando ci si è accorto che il numero di questi minori sta crescendo in modo imprevisto e incontrollabile. Nonostante i rilasci per ordine del tribunale, il numero di minorenni immigrati trattenuti in centri di detenzione federale statunitensi dalla scorsa estate è quintuplicato, raggiungendo il livello più alto mai registrato: oggi sarebbero almeno 12.800 i minori in custodia. Un numero spaventoso di adolescenti, spesso ammassati in tendopoli non idonee e secondo molti in palese violazione dei loro diritti. Ma non basta: il loro numero potrebbe aumentare ancora. “Il numero di bambini stranieri non accompagnati è un sintomo della più ampia questione di un sistema di immigrazione difettoso”, ha detto Evelyn Stauffer, addetto stampa del Dipartimento di salute e servizi umani.

Dal canto suo, il Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani (HHS) ha dichiarato: “I fattori demografici e altri fattori che influenzano il tempo di permanenza dei bambini in assistenza variano nel tempo, ma l’ORR agisce in modo coerente per garantire che gli sponsor vengano adeguatamente monitorati per la protezione dei bambini”. “Il numero di bambini stranieri non accompagnati trattenuti è un sintomo del problema più grande, vale a dire un sistema di immigrazione sbagliato, e HHS ha un sistema rigoroso per controllare gli sponsor per la preoccupazione per la sicurezza dei bambini”. “Poiché i bambini che entrano illegalmente nel paese sono ad alto rischio di sfruttamento da parte di trafficanti e contrabbandieri, l’Ufficio per il reinsediamento dei rifugiati (ORR) presso l’amministrazione HHS per bambini e famiglie mantiene alti standard per controllare gli “sponsor” dei bambini per la sicurezza e il benessere di il bambino”.

Cosa sono gli sponsor? Sono le persone cui potrebbero essere affidati questi minori: ovvero i genitori spesso catturati e rispediti oltre confine o parenti presenti sul territorio statunitense. Le leggi richiedono che i minori non accompagnati siano collocati presso sponsor che soddisfano determinati requisiti. Proprio questo potrebbe essere il motivo di un tale aumento dei minori stipati nelle tendopoli. Fino a pochi mesi fa, i bambini venivano rilasciati sotto la custodia di genitori o membri di una famiglia allargata al momento di entrare negli Stati Uniti. Ma per decisione del governo Trump, da giugno scorso, gli affidatari di questi minori devono farsi riconoscere rilasciando le proprie impronte digitali. Se non lo fanno, non possono ricongiungersi con i minori. I loro dati poi vengono trasmessi automaticamente alle autorità per l’immigrazione. Il problema è che molti di loro magari sono negli USA con un permesso scaduto o non dispongono di permessi di soggiorno adeguati o aggiornati. Questo spesso li rende riluttanti a rilasciare le impronte perché rischierebbero di essere identificati.

Tutto questo ostacola il ricongiungimento familiare di migliaia di minori, che, in questo modo, continuano a rimanere reclusi in quelle che ormai vengono chiamate “baby jail”, carceri per bambini. Della vicenda ha parlato anche l’associazione Save the Children che ha lanciato l’allarme sulle conseguenze che certe “scelte politiche” hanno sulla salute dei bambini: “Il danno e il trauma della detenzione a lungo termine sui bambini comprendono depressione, ansia e disturbo da stress post-traumatico”. Una denuncia condivisa anche da un’altra associazione, ProPublica Illinois, che ha ottenuto dichiarazioni decine e decine di bambini inviati nelle baby jail dell’Illinois. 

Separati  dalle famiglie, i bambini si angosciano per la mancanza dei loro genitori e spesso mostrano segni di violenza verso se stessi o altri. Uno di loro, un ragazzo di 12 anni di nome Erick – in custodia per quasi quattro mesi dopo che i funzionari dell’immigrazione lo avevano separato dal padre – è stato ricoverato in un ospedale psichiatrico per una settimana, dopo che gli è stato diagnosticato un disturbo dell’adattamento. Dalle analisi è emerso che gli erano stati somministrati farmaci per controllare la sua depressione, aggressività ed esplosioni emotive. Un altro ragazzi di soli 11 anni proveniente dal Guatemala continuava a gridare: “Voglio morire qui”. Al punto che i dipendenti del centro hanno segnalato per lui:  “Ha bisogno di vivere per vedere la sua famiglia”.

La qualità della vita nelle baby jail è terribile: con l’aumento degli arrivi le condizioni e l’accoglienza sono al limite. “Più ci si avvicina al 100%, meno si è capaci di gestire qualsiasi flusso di ingressi imprevisto”, ha dichiarato Mark Greenberg, che si è occupato di bambini migranti per il Dipartimento della salute e dei servizi umani durante la presidenza Obama. Anche Nancy Pelosi, che è a capo delle minoranze della Camera, ha recentemente definito la politica dell’amministrazione Trump nei confronti dei bambini migranti “disumana”.

Vengono stipati a centinaia in poco più di cento “centri di accoglienza” dislocati soprattutto nei pressi del confine sud-occidentale. Molte volte si tratta di vere e proprie tendopoli (ufficialmente solo  temporanee) come quella a Tornillo, in Texas, per ospitare fino a 3.800 bambini entro la fine dell’anno per la quale è previsto un ampliamento (ma che senso ha ampliarla se è temporanea?) che entro la fine dell’anno dovrebbe ospitare quasi 4mila minori. 

Il tutto con costi enormi per i contribuenti americani la rappresentante del Connecticut Rosa De Lauro, della sottocommissione Stanziamenti della Camera che finanzia il programma di accoglienza, ha riferito che queste strutture costano circa $ 750 a bambino al giorno, ovvero il triplo di un centro di accoglienza tradizionale e certamente molti di più che lasciare questi bambini insieme alle proprie famiglie.

Quella di stipare decine di migliaia si bambini nelle baby jail, con tutta probabilità, è uno strumento voluto a tutti i costi dall’amministrazione Trump per dare una risposta “politica” alla sentenza della Corte che aveva imposto il ricongiungimento familiare. E, al tempo stesso, un modo per contrastare l’immigrazione clandestina. Un fenomeno naturale da millenni ma che oggi sfruttato da moderni demagoghi sparsi su tutto i pianeta (negli USA come in Europa e in Italia) per distrarre l’attenzione della popolazione dai problemi reali. Ben sapendo che le conseguenze di queste “politiche” hanno effetti tremendi sulla parte più debole della popolazione: i bambini.

Secondo un rapporto dell’UNICEF dal titolo “UPROOTED IN CENTRAL AMERICA AND MEXICO Migrant and refugee children face a vicious cycle of hardship and danger” sarebbero più di 68.000 i bambini “detenuti” in Messico, il 91per cento di quelli espulsi negli ultimi due anni. 68.409 bambini “migranti” espulsi dagli USA e rispediti nei paesi dell’America Centrale. Con conseguenze che spesso segnano le loro vite per sempre: “Milioni di bambini nella regione sono vittime di povertà, indifferenza, violenza, migrazioni forzate e paura di essere espulsi”, ha dichiarato Marita Perceval, direttore regionale dell’Unicef per l’America Latina e i Caraibi. “In molti casi, i bambini che sono rimandati nei loro Paesi d’origine non hanno nessuna casa in cui tornare, e finiscono per essere sommersi dai debiti o sono presi di mira dalle gang criminali. Essere riportati a situazioni invivibili rende più probabile una nuova migrazione”. Un fenomeno fin troppo simile a quello che sta avvenendo in Europa e in Italia per essere casuale. In questi paesi sembrano importare poco le violenze cui sono sottoposti questi minori, la povertà e la mancanza di opportunità di un futuro. E a poco sono serviti finora gli appelli delle NU: sebbene l’UNICEF abbia invitato i governi “a lavorare insieme per attuare delle soluzioni che aiutino a ridurre le cause scatenanti delle migrazioni irregolari e forzate ed a tutelare il benessere dei bambini rifugiati e migranti durante il viaggio”, le parole sono rimaste inascoltate.

Lo dimostrano le decine di migliaia di minori schiaffati nelle baby jail in uno dei paesi più “sviluppati“ (sulla carta) del pianeta. Un posto dove si continuano a praticare ferite profonde all’ambiente, incuranti delle conseguenze che non si è capaci di fronteggiare e dove la vita dei bambini sembra valere davvero poco.

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C.Alessandro Mauceri

C.Alessandro Mauceri

Sono nato a Palermo, città al centro del Mediterraneo, e la cultura mediterranea è da sempre parte di me. Amo viaggiare, esplorare la natura e capire il punto di vista della gente e il loro modus vivendi (anche quando è diverso dal mio). Quello che vedo, mi piace raccontarlo con la macchina fotografica o con la penna. Per questo scrivo, da sempre: lo facevo da ragazzino (i miei primi “articoli” risalgono a quando ero ancora scolaro e dei giornalisti de L’Ora mi chiesero di raccontare qualcosa). Che si tratti di un libro, uno studio di settore o un articolo, raramente mi limito a riportare una notizia: preferisco scavare a fondo e cercare, supportato da numeri e fatti, quello che c’è dietro. Poi, raccontarlo.

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