È stato un viaggio particolare, quello di papa Francesco in Irlanda. Un viaggio a tratti carico di tensioni, accompagnato dallo spettro, terribile, della piaga della pedofilia che pesa sulla Chiesa Cattolica, e che pochi giorni fa è tornata a far notizia. E la diffusione di un dossier redatto, tra gli altri, dall’ex nunzio in Usa, l’arcivescovo Carlo Maria Viganò, ha fatto il resto. Secondo qualche retroscenista, si è trattato di un’operazione “ad orologeria”, una “manovra di palazzo” volta a far fallire la visita del Pontefice nel Paese cattolico.
Del resto, il clima di tensione è trapelato già dal duro discorso del premier irlandese, Leo Varadkar, che ha chiesto un impegno personale da parte del Papa contro la pedofilia dilagante nella Chiesa. “Le ferite sono ancora aperte – ha detto il premier – e c’è molto da fare per ottenere giustizia, verità e guarigione per le vittime e i sopravvissuti”. E ha proseguito: “Santo Padre, le chiedo di usare il suo ufficio e la sua influenza per assicurare che venga fatto il possibile qui in Irlanda e in tutto il mondo”.
Un appello raccolto dal Pontefice, che, in visita a Knock, ha ribadito il suo impegno per una “tolleranza zero”: “La Madonna – ha detto – guardi con misericordia tutti i membri sofferenti della famiglia del suo Figlio. Pregando davanti alla sua statua, le ho presentato, in particolare, tutti sopravvissuti, vittime di abusi da parte di membri della Chiesa in Irlanda. Nessuno di noi può esimersi dal commuoversi per le storie di minori che hanno patito abusi, che sono stati derubati dell’innocenza, o che sono stati allontanati dalle mamme e abbandonati allo sfregio di dolorosi ricordi”. “Imploro – ha proseguito Francesco – il perdono del Signore per questi peccati, per lo scandalo e il tradimento avvertiti da tanti nella famiglia di Dio. Chiedo alla nostra Madre Beata di intercedere per la guarigione di tutte le persone sopravvissuti agli abusi di qualsiasi tipo e di confermare ogni membro della famiglia cristiana nel risoluto proposito di non permettere mai più che queste situazioni accadano. E anche intercedere per tutti noi perché possiamo procedere sempre con giustizia per riparare per quanto da noi dipenda tanta violenza”.
Sabato sera, Francesco ha incontrato 8 vittime di abusi. Testimonianze che lo avrebbero scioccato, al punto da spingerlo a definire la moralità dei colpevoli con un termine forte: “caca”. Del resto, tanti membri della Chiesa irlandese, nel corso dei decenni, si sono macchiati del crimine della pedofilia: dal gennaio 1975, ci sono state 1.259 denunce di abusi contro 489 sacerdoti o religiosi in 26 diocesi. Quel che è peggio, poi, è che di questi accusati solo 36 sono stati portati di fronte ai tribunali penali. Dagli anni 2000, il clero locale si è imposto regole più ferree, ma la ferita resta, e ha forse contribuito in parte ad approfondire quello scollamento tra Chiesa e popolo che anche il Washington Post ha individuato nella società irlandese, sempre più secolarizzata.
Nel 2015, in effetti, proprio la cattolica Irlanda è stato il primo Paese ad approvare i matrimoni omosessuali con un referendum, e a maggio ha bocciato il divieto all’aborto. Una “secolarizzazione”, osserva ancora il Washington Post, affermatasi nel giro di una generazione, e testimoniata anche dal numero dei fedeli accorsi per vedere il Pontefice al santuario di Knock: 45mila i biglietti, numeri di tutto rispetto, che non reggono, però, il paragone con le 450mila persone che, nel 1979, vennero a sentire e vedere papa Giovanni Paolo II.
Per comprendere come la società irlandese si sia evoluta nel corso di poco meno di quarant’anni, si pensi che l’ultima volta che un Papa visitò il Paese l’omosessualità era un reato; oggi, invece, il primo ministro è dichiaratamente gay e i matrimoni omosessuali sono legali. Ma proprio sul tema dell’omosessualità è scoppiata l’ennesima bufera per le parole pronunciate dal Pontefice sul volo di ritorno a Roma da Dublino, dove aveva celebrato proprio la Festa della Famiglia, alla quale, per la prima volta, hanno partecipato anche coppie gay. “Una cosa – ha detto Francesco – è quando si manifesta da bambino che ci sono tante cose da fare con la psichiatria, per vedere come sono le cose. Un’altra cosa è quando si manifesta dopo 20 anni o cose del genere”. L’idea di ricorrere alla psichiatria ha mandato su tutte le furie le associazione LGBT. “Le parole di papa Bergoglio sono gravi soprattutto perché dette in un momento drammatico della Chiesa che dimostra come il clero ha spesso abusato e approfittato delle bambine e dei bambini”, ha dichiarato Imma Battaglia, leader del movimento LGBT in Italia. “Questa dichiarazione è lo specchio di una chiesa stordita, confusa dalla crisi che sta affrontando. Chiedere scusa non è sufficiente. È anacronistico e dimostrato dalla psichiatria internazionale che se un figlio è gay, è gay e basta, inutile affidarlo a una struttura che vuole indagare il suo comportamento”.
Per completezza di informazione, è giusto sottolineare come il senso generale delle parole di Francesco fosse di apertura e accoglienza: “Cosa direi a un papà che mi chiedesse cosa fare con il figlio o la figlia che si dichiara omosessuale? Prima di pregare, poi di non condannare, di dialogare, di capire e fare spazio al figlio e alla figlia perché si esprima”. E ancora: “Ogni ragazzo, e anche quelli omosessuali, hanno diritto a una famiglia. Il figlio gay ha diritto a una famiglia, prima di tutto la sua. Non cacciarlo mai via dalla famiglia”. Eppure, quel quantomeno avventato consiglio dà il polso di una situazione di cui proprio il caso irlandese è l’emblema: l’immagine, cioè, è quella di una Chiesa che ancora fatica a stare al passo con una società più moderna, più inclusiva in termini di diritti, che avverte sempre di più il peso delle contraddizioni e degli scandali in seno alla Sposa di Cristo, e che sempre meno si sente rappresentata da alcuni dei dettami dei Sacri Palazzi.