Negli ultimi giorni dello scorso luglio, il Premier ungherese, Victor Orban ha tenuto un discorso alla 29° Bálványos Summer Open University and Student Camp (Romania). Le sue parole non hanno avuto un’ampia risonanza sulla stampa europea. Ciò è un peccato, in quanto tale discorso rappresenta un lucido ed esplicito manifesto politico per l’Europa, proposto nella prospettiva e con l’obiettivo di mobilitare l’opinione pubblica in vista delle elezioni del parlamento europeo della prossima primavera. In particolare, le parole di Orban aiutano a comprendere come le posizioni critiche espresse dai paesi del gruppo di Visegrad (Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia) su migrazione e ruolo delle istituzioni europee, così come l’involuzione in senso illiberale dei sistemi politici interni (principalmente, ma non esclusivamente, in Ungheria e Polonia), non son solo reazioni contingenti delle giovani democrazie post-comuniste alle prese con alle fibrillazioni della crisi economica e dei rifugiati. Ciò che Orban ha proposto lo scorso luglio – rendendo ancora più esplicito e sistematico quanto del resto va ripetendo da anni – è un vero e proprio progetto politico, animato dalla visione del superamento della democrazia liberale e la sua sostituzione con ciò che il Premier ungherese definisce “democrazia cristiana”. (Qui e successivamente il corsivo sta ad indicare gli estratti del discorso di Orban)
Nel suo discorso, Orban sottolinea come la democrazia cristiana non implica un ritorno alla teocrazia – “la democrazia cristiana non concerne la difesa degli articoli di fede – in questo caso gli articoli della fede cristiana. Stati e governi non hanno competenza su questioni relative alla salvezza o dannazione”. Piuttosto, la democrazia cristiana riguarda la difesa della cultura e del modo di vivere derivato dal e basato sul credo cristiano. In particolare, quattro sono i cardini della politica di ispirazione cristiana: la dignità umana (si dovrebbe aggiungere: così come intesa dai valori cristiani), la famiglia, le comunità (intese da Orban come “comunità di fede”), e la nazione –“perché la cristianità non cerca la realizzazione dell’universalità tramite l’abolizione delle nazioni, ma attraverso la difesa delle nazioni”.
In definitiva, per come proposta da Orban, la democrazia cristiana è il progetto di un sistema politico al servizio della difesa della radice identitaria delle società europee – non solo delle società dei paesi dell’Europa centrale, ma dell’Europa nel suo insieme.
Solo un cieco potrebbe non vedere il successo del progetto populista e di estrema destra tratteggiato dal discorso di Orban. Queste forze stanno guadagnando sempre maggiore consenso nella maggioranza dei paesi europei. Giusto per fare un esempio, per quanto possa essere sconcertante e triste per molti osservatori, la realtà è che quanto più Salvini (il Ministro dell’Interno del governo italiano, leader della Lega, il partito populista e di estrema destra vero vincitore delle recenti elezioni italiana, che considera Orban uno dei suoi principali interlocutori) opera in chiave anti-immigranti – con atti che vanno in violazione al diritto internazionale e in sfregio a principi umanitari elementari – tanto più guadagna in consenso entro la pubblica opinione italiana. Ancora, vale la pena richiamare i risultati di un recente sondaggio che ha rilevato come la fiducia nella figura di Papa Francesco sia diminuita tra la popolazione italiana, in particolare tra i giovani, soprattutto a causa delle sue posizioni pro-immigrazione. D’altra parte, l’analisi Re.Cri.Re. dei contesti culturali di diversi paesi Europei ha evidenziato come circa 1/3 della popolazione implicata nell’indagine si caratterizzi per una visione che individua nell’identità e nel legame di appartenenza le uniche forme di difesa dallo straniero, vissuto esclusivamente come una minaccia/nemico.
Quanto ci si dovrebbe chiedere è che cosa rende tanto seducente una visione dell’Europa così apertamente in contrasto con l’ideale di unità e democrazia perseguiti per più di mezzo secolo.
Uno sguardo attento al discorso di Orban permette di individuare una serie di elementi utili per rispondere a simile interrogativo.
In primo luogo, Orban offre una diagnosi omnicomprensiva, che identifica un responsabile e una causa di tutti i problemi: l’elite europea che ha distrutto l’identità dell’Europa –“[L’elite europea ha fallito perché] in primo luogo ha rigettato le proprie radici, e invece di un’Europa basata sulle fondamenta cristiane, ha costruito un’Europa della “società aperta”.
In secondo luogo, un passato mitico è giustapposto al presente critico, così che emerga una visione del futuro come ritorno a ciò-che-fu-e-che-ora-non-è-più – “Nell’Europa cristiana il lavoro era onorato, l’uomo aveva dignità, uomini e donne erano uguali, la famiglia era la base della nazione, la nazione era la base dell’Europa, e gli stati garantivano sicurezza. Nella Europa della società aperta di oggi non ci sono più confini; gli europei possono essere facilmente rimpiazzati da migranti; la famiglia è stata trasformata in una forma opzionale e fluida di coabitazione; la nazione, l’identità nazionale e l’orgoglio nazionale sono visti come nozioni tanto negative quanto obsolete; e lo stato non è più in grado di garantire sicurezza”.
In terzo luogo, tale giustapposizione trova fondamento in una narrazione complessiva che riduce decenni di storia nella distinzione tra due mondi alternativi. Ognuno e ogni cosa trova il proprio posto in un ordine così definito, dove ciò che è giusto e buono e ciò che è sbagliato e cattivo sono nettamente distinti. “Se uno va indietro nel passato a circa un secolo di democrazia europea, può identificare uno scenario in cui le questioni di rilievo venivano decise dalla competizione tra due campi; da un lato, le comunità basate sulla tradizione cristiana – chiamiamole i partiti cristiano democratici; dall’altro, le organizzazioni di comunità che mettevano in discussione e rigettavano la tradizione – chiamiamole i partiti liberali di sinistra. L’Europa è progredita attraverso la competizione tra queste due forze.
In quarto luogo, viene offerta una soluzione semplice, un solo bottone da spingere per recuperare il giusto ordine delle cose: la difesa dai Mussulmani e dall’immigrazione (assimilati reciprocamente), in quanto considerati gli ostacoli all’avvento della democrazia cristiana. Coerentemente con ciò, le prossime elezioni europee viene presentata come la battaglia finale tra chi è a favore dell’immigrazione e perciò vuole la distruzione dell’identità europea e chi vuole salvarla contro l’invasione – “Il tempo è invero giunto perchè le elezioni europee possano porre al centro una grande importante, condivisa questione europea: la questione dell’immigrazione e il futuro che ad essa è relato”.
Insomma, ciò che appare evidente è la chiarezza e semplicità del messaggio. In poche pennellate a chi ascolta e legge è offerto uno scenario chiaro e distinto, facile da afferrare e da usare per interpretate quanto sta accadendo, così che si possano identificare gli amici e i nemici, e prendere posizione rispetto agli eventi.
Gli esperti, gli opinionisti e i ricercatori possono trovare simile narrativa semplicistica, piuttosto che semplice. Molti possono esprimere preoccupazioni circa la capacità di una simile visione di tradursi in strategie effettivamente in grado di affrontare la complessità delle dinamiche della globalizzazione. Allo stesso modo, può apparire paradossale un appello al futuro – “trenta anni fa pensavamo che l’Europa fosse il nostro futuro. Ora crediamo che noi siamo il futuro dell’Europa” – giocato in termini della restaurazione del passato. Soprattutto, può essere sorprendente il fatto che così tanta gente può accogliere con favore un progetto che, per esplicita ammissione dei suoi proponenti, delinea il superamento del sistema politico attuale nella direzione di ciò che Orban stesso definisce “democrazia illiberale” – Lasciatemi dichiarare in modo chiaro che la democrazia cristiana non è liberale. La democrazia liberale è liberale, mentre la democrazia cristiana per definizione, è non liberale: è, se volete, illiberale. E possiamo specificamente aggiungere che è tale in ragione di pochi rilevanti punti – diciamo tre grandi questioni. La democrazia liberale è a favore del multiculturalismo, mentre la democrazia cristiana dà priorità alla cultura cristiana; questo è un concetto illiberale. La democrazia liberale è a favore della immigrazione, mentre la democrazia cristiana è contro l’immigrazione. ; questo è ancora un concetto genuinamente illiberale. E la democrazia liberale dà valore a modelli familiari adattabili, mentre la democrazia cristiana poggia sui fondamenti del modello familiare cristiano; ancora una volta, questo è un concetto illiberale.
Dinanzi a una simile deriva, che è antropologica prima ancora che politica, la tentazione di molti intellettuali e politici liberali contemporanei – siano essi di sinistra o di destra – è di assumere una posizione difensiva, volta ad opporre i valori di civiltà della democrazia liberale (solidarietà, diritti umani, universalismo) alla illusoria panacea dell’identità proposta dal populismo e dall’estrema destra. Tuttavia, così facendo, ciò che si propone è, paradossalmente, la giustapposizione “noi/loro” e con essa la conseguente militarizzazione degli affetti che sono l’alimento del progetto populista.
D’altra parte, il fatto stesso che tanti e sempre più numerosi segmenti delle società europee siano sedotti dalla sirena identitaria, indipendentemente dalle derive disumanizzanti e illiberali ad essa associate, dovrebbe rendere evidente come l’indebolimento dei valori universalistici non può essere contrastato con un semplice appello al loro ritorno, non diversamente da come una persona malata non recupera la propria salute solo perché qualcuno la invita a farlo. Ciò che serve è superare l’approccio (illusione?) normativo-illuminista – l’idea secondo la quale visto che il progetto populista è infondato, sia sufficiente, per contrastarlo, aiutare le persone a comprendere tale evidente realtà – e accettare la sfida di comprendere in profondità quale fondamentale esigenza di strati ampi della società la narrazione identitaria è in grado di soddisfare con un’efficacia così straordinaria, rispetto al fallimento delle altre proposte politiche e istituzionali.
Solo in questo modo si possono porre le basi di un diverso progetto.