“Io credo veramente che ci siano troppe domande che aspettano ancora delle risposte. Questa povera Italia ha troppe verità che non arrivano, mezze verità, buchi neri… buchi neri che indeboliscono sempre di più la nostra democrazia”. Parlava così, in un’intervista alla Rai, Rita Borsellino a proposito degli eventi che portarono alla morte del fratello magistrato. Era il 2012: 6 anni più tardi, i giudici di Caltanissetta, nelle motivazioni della sentenza del processo Borsellino quater, avrebbero parlato di “uno dei più gravi depistaggi della storia della giustizia italiana”. E lei, Rita, sorella minore di Paolo, per onorare la memoria del fratello offesa da una verità costantemente ferita e nascosta, da quel maledetto 19 luglio 1992 dedicò tutta la sua vita alla lotta alla mafia.
“Testimone autorevole e autentica dell’antimafia e punto di riferimento per legalità e impegno per migliaia di giovani”: l’ha ricordata così il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, mentre la camera ardente, allestita a Palermo in un bene confiscato alla mafia e assegnato al Centro studi Paolo Borsellino, da lei fondato, continua ad accogliere migliaia di semplici cittadini accorsi a darle l’ultimo saluto. Rita non amava, però, ricordare il fratello come un eroe, e lo ripeteva spesso ai giovani, ai suoi giovani: “Lui come Giovanni Falcone e altri ancora sono state persone oneste che hanno compiuto fino il fondo il loro dovere, senza scendere a compromessi, tenendo sempre la schiena dritta e guardando in faccia anche la paura, con coraggio”, spiegava in un’intervista il 19 luglio scorso, nell’anniversario della strage. Per lei, il modo migliore per ricordarlo era quello di “fare memoria”: dedicarsi, cioè, a una memoria proattiva, che richiede un impegno quotidiano a far sì che non ci siano altri 23 maggio e 19 luglio 1992.
E poi c’è la Verità, che ancora, sulla morte di Borsellino e del fedele amico e collega Falcone, non c’è, ma per la quale non si deve smettere di lottare: “Non posso cedere alla debolezza ma devo avere la certezza di arrivare alla verità, altrimenti non crederei più nello Stato, in quella parte dello Stato che deve poter trovare giustizia e libertà”, diceva lei, che amava raccontare la verità più profonda del nostro Paese ai giovani, incontrandoli di scuola in scuola.

La ricordiamo, oggi, come lei voleva fosse celebrato l’amato fratello: non certo con un ricordo “cristallizzato nel tempo”, ma con una “memoria operante”, “facendo in modo”, diceva, “che la lezione di Paolo rimanga attuale e con lui il messaggio che ha voluto dare soprattutto ai giovani, di rifuggire dalla mafia e di aspirare al ‘fresco profumo di libertà senza il puzzo del compromesso’”.