È ufficiale: la Chiesa Cattolica considera illegittima la pena di morte, e non la giustifica neppure in casi residuali. Papa Francesco, dopo aver annunciato, nell’ottobre 2017, la sua intenzione di riformulare su questo punto il Catechismo, ha ufficialmente apposto la propria firma alla nuova versione, modificata con un Rescritto. “Per molto tempo il ricorso alla pena di morte da parte della legittima autorità, dopo un processo regolare, fu ritenuta una risposta adeguata alla gravità di alcuni delitti e un mezzo accettabile, anche se estremo, per la tutela del bene comune. Oggi è sempre più viva la consapevolezza che la dignità della persona non viene perduta neanche dopo aver commesso crimini gravissimi. Inoltre, si è diffusa una nuova comprensione del senso delle sanzioni penali da parte dello Stato. Infine, sono stati messi a punto sistemi di detenzione più efficaci, che garantiscono la doverosa difesa dei cittadini, ma, allo stesso tempo, non tolgono al reo in modo definitivo la possibilità di redimersi. Pertanto la Chiesa insegna, alla luce del Vangelo, che ‘la pena di morte è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona’, e si impegna con determinazione per la sua abolizione in tutto il mondo”, si legge nel nuovo paragrafo sull’argomento.
Parole, queste, che Bergoglio aveva già pronunciato in occasione di un incontro promosso dal Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, e che oggi sono ufficialmente verbo del Catechismo. Il testo va a sostituirsi a quello precedente, già emendato da papa Giovanni Paolo II nel 1995, che definiva “praticamente inesistenti” i margini in cui l’applicazione della pena di morte doveva ritenersi legittima, senza tuttavia escluderla del tutto.
Si attende ora di vedere le conseguenze, se ci saranno, del nuovo indirizzo della Chiesa Cattolica in questo senso. Perché è vero che diverse organizzazioni non governative hanno promosso, negli ultimi decenni, vigorose campagne anti-esecuzioni, ma l’anatema del Vaticano potrebbe verosimilmente esercitare più influenza sulle agende politiche dei conservatori cattolici.
Per ora, non pare che la scelta di papa Francesco sortirà effetti a breve termine, neanche tra i più fedeli seguaci della sua Chiesa. Proprio questo mese, in Nebraska è attesa l’esecuzione di Carey Dean Moore, accusato di omicidio: la sua sarà la prima esecuzione in quello Stato da 21 anni a questa parte. La reintroduzione della pena di morte è infatti stata industriosamente perseguita e ottenuta dal suo Governatore, il conservatore cattolico Pete Ricketts, che, quando il legislatore lo sfidò abrogando la pena capitale nonostante le sue resistenze, decise di investire i suoi risparmi per aiutare a finanziare un referendum finalizzato a reintrodurla. Una misura che la leadership cattolica locale, peraltro, disapprovava con veemenza.
Nessuno stupore, insomma, se neppure la decisione del Pontefice abbia fatto presa su Ricketts. “Anche se rispetto il punto di vista del Papa”, ha dichiarato, “l’applicazione della pena capitale resta la volontà del popolo e la legge dello stato del Nebraska”. E ha aggiunto: “È uno strumento importante per proteggere i nostri agenti e la pubblica sicurezza. Lo stato continuerà pertanto ad eseguire le sentenze decretate dal tribunale”.
Certo: le opposizioni si sono sentite rinvigorite dal nuovo corso dettato da Roma, e i Vescovi del Nebraska hanno immediatamente chiesto agli ufficiali di sospendere l’esecuzione di Moore. Ma, per ora, la modifica del Catechismo non sembra aver influenzato il cattolicissimo Governatore.
Il dibattito potrebbe però riemergere con vigore in occasione delle audizioni di conferma della nomina del cattolico Brett Kavanaugh, giudice federale che Donald Trump ha nominato per un seggio alla Corte Suprema. Se confermato, sarebbe il quinto fedele della Chiesa di Roma a sedere in quella istituzione, e, come già i suoi predecessori, potrebbe mostrarsi a maggior ragione sensibile alla questione.
Secondo il sondaggio condotto tra l’aprile e il maggio scorsi dal Pew Research Center, il supporto dell’opinione pubblica alla pena di morte negli USA è cresciuto dal 2016 – anno in cui aveva raggiunto il suo picco più basso (49%) -. Ad oggi, il 54% degli americani è infatti a favore della pena di morte, il 39% contrario. Il numero dei sostenitori, aumentato nell’ultimo periodo, è comunque decisamente più basso rispetto alla media degli anni Novanta e Duemila.
Il dibattito resta acceso, e non scomoda soltanto istanze e argomentazioni etiche. Secondo il Dealth Penalty Focus, organizzazione fondata nel 1988 con l’obiettivo di ottenere l’abolizione della pena capitale, l’intero sistema su cui questa si regge è un costosissimo fallimento che pesa sulle tasche dei contribuenti. Secondo i dati, la maggior parte dei condannati a morte risiede in California, i cui cittadini spendono 150 milioni di dollari ogni anno per finanziare un meccanismo che ha punito con la morte 13 persone nel 1978 e nessuno nell’ultimo decennio. L’ultima esecuzione in California è avvenuta il 12 gennaio 2006, e ha avuto come vittima un detenuto di 76 anni che ha vissuto come condannato a morte da 23. Secondo uno studio del 2011 del giudice Arthur L. Alarcon e della docente della Loyola Law School, Paula M. Mitchell, i contribuenti della California hanno speso più di 4 miliardi di dollari da quando la pena capitale è stata reintrodotta nel 1978. Le esecuzioni costerebbero annualmente 184 milioni di dollari in più rispetto a quanto si spenderebbe per tenere in vita una persona senza libertà condizionale. L’abolizione della pena di morte, secondo l’organizzazione, non solo eliminerebbe il rischio di uccidere persone innocenti, ma farebbe anche risparmiare ai contribuenti 150 milioni di dollari l’anno.