Domenica sera, mi trovavo a Moncalieri con i miei amici per festeggiare il mio 33esimo compleanno, godendomi l’attimo con nessun pensiero in testa. Qualche ora più tardi, l’atleta italiana Daisy Osakue sarebbe stata aggredita da un gruppo di individui a bordo di una Fiat Doblò a colpi di uova. Osakue ne è uscita con un distacco della cornea e una devastante umiliazione.
Questo è stato solo uno dei molti atti di violenza nei confronti di persone di colore – la maggior parte delle quali migranti o rifugiati – perpetrati in questo periodo in Italia.
Osakue è nata in Italia ed è di origine nigeriana. Professionista nel lancio del disco con il più alto record italiano negli under 23, l’attacco di cui è stata vittima è uno di quelli che mi è molto familiare. Vengo da un Paese dove le persone sono aggredite e uccise ogni giorno per il colore della loro pelle. Nia Wilson, una ragazza di diciotto anni originaria della Bay area, è stata uccisa il 22 luglio mentre aspettava un treno ad Oakland, California. L’ingiustificato omicidio ha devastato non solo la comunità locale, ma anche il Paese, che cerca di trovare risposte.
Per molti di noi – uomini e donne di colore – questo è il mondo in cui viviamo. Significa semplicemente non sapere mai se il momento in cui respiriamo sarà l’ultimo. Quando lavoravo presso la Open Society Foundations, una ex collega – donna di colore – una volta se ne uscì dicendo: “Non c’è niente di più degradante di realizzare che non conti nulla. Che la tua vita non ha valore, al punto che una persona può venire da te e aggredirti”.
Questo è il tipo di consapevolezza che Osakue ha provato dopo la sua aggressione. Sono certa che, come donna di colore, ci avesse già ragionato prima, ma nei momenti successivi a quell’attacco, che lei ha ritenuto motivato dal colore della sua pelle, le sarà apparso tutto con più chiarezza.

L’Italia, come gli USA, sta attraversando un periodo buio, in cui razzismo e sentimenti anti-migranti sono diventati strumenti politici che chi è al potere usa incautamente per promuovere la propria agenda. C’è un senso di paura per il “diverso”, che molti temono diventerà presto il modo di pensare più diffuso. E, come americana, so bene che il pensiero conduce all’azione.
I membri dell’attuale Governo hanno liquidato la recente aggressione citando altre motivazioni diverse dal razzismo, suscitando le proteste dei leader dell’opposizione, che temono un’escalation di eventi di questo tipo. Solo alcune ore fa, il presidente Donald Trump ha accolto il primo ministro italiano Giuseppe Conte in occasione della sua prima visita ufficiale alla Casa Bianca, per rafforzare le loro comune visione politica, che include la chiusura dei confini.
I miei amici americani mi sommergono di messaggi, chiedendomi se gli italiani sono davvero razzisti come i conservatori di estrema destra americani. Si chiedono se il nuovo Governo italiano stia prendendo appunti dal nostro, promuovendo una retorica intrisa di divisione.
Non posso parlare per gli italiani. Non posso parlare per Osakue. Posso solo parlare per me.

È molto difficile per me parlare di razza in Italia. Ad essere onesta, non sono certa di essere capita, o ascoltata. La realtà è che l’Italia è un bellissimo Paese, ricco di storia, paesaggi, cibo e vino incredibile – un autentico incubatore per vite ben vissute. Tuttavia, parlare di razza non è un’attività con la quale gli italiani si sentano a proprio agio.
Non ho molti amici con cui possa affrontare una conversazione sulla razza senza che si agitino o diventino nervosi. O si mettano sulla difensiva.
Nella mia esperienza, parlare di razza in Italia non è una piacevole conversazione da aperitivo, quindi spesso reprimo i miei sentimenti e aspetto di poterne discutere apertamente quanto tornerò a New York.
Due settimane fa, ho vissuto un’esperienza che mi ha scioccata. Uno sconosciuto sulla cinquantina mi ha presa per una prostituta e ha tentato di proporsi a me. Era giocoso, persino aggressivo.
Ero terrorizzata perché avevo letto di quegli orribili atti di violenza subiti da molte prostitute nigeriane e senegalesi in Italia. Sono stata netta nella mia risposta, chiarendo in inglese che non stavo “lavorando” e che ero una turista dagli Stati Uniti.
Poi mi sono messa a correre.
Più tardi, ho raccontato a qualche amico italiano dell’incidente. Uno di loro, nel più affettuoso dei modi, mi ha consigliato di non curarmi di cosa le persone pensino di me e di rispondere più duramente la prossima volta che qualcuno mi avesse scambiata per una prostituta.
Sfortunatamente, non ho avuto il coraggio di dire al mio amico che quella da lui proposta non poteva essere un’opzione per me. Molte donne e uomini, infatti, sono stati brutalmente aggrediti per essersi difesi in situazioni simili. I genitori nel mio Paese insegnano ai propri figli di colore a non rispondere aggressivamente, per paura che vengano aggrediti o uccisi per ritorsione.
Perciò, io e altre donne di colore in Italia siamo abituate a sopportare.
Sopportare le supposizioni sulle nostre caratteristiche, sul nostro lavoro, su come ci sostentiamo. Sopportare i discorsi d’odio. Sopportare le aggressioni fisiche. Sopportare la mancanza di comprensione.
Sopportare, in doloroso silenzio.
Osakue è una donna coraggiosa, che ha audacemente deciso di parlare dell’accaduto e di chiedere un cambiamento. È una donna italiana, discendete di africani, che crede che il suo Paese possa e debba fare meglio. È un’atleta e si sa subito rialzare quando qualcuno cerca di abbatterla.

Ma la domanda resta. Che cosa succederà ora, in Italia? Questi attacchi aumenteranno come temono alcuni politici? E in questo caso, chi sarà la prossima vittima?
Sarà una madre originaria del Cameroon sulla strada dell’ufficio a Bologna? Sarà la ragazzina meticcia di 10 anni di Napoli, che corre per strada con un gelato in mano in un perfetto pomeriggio domenicale? Sarà l’attrice italo-congolese all’uscita dal teatro dopo un incontro promozionale a Roma? O sarà una ragazza afroamericana, mentre si reca a fare un aperitivo con gli amici?
Come si può vivere una vita normale, quando una vita normale diventa pericolosa?
Non so rispondere, ma, come Osakue, so che affrontiamo coraggiosamente ogni giorno che ci capita in sorte, consapevoli che non tutti quelli che incontreremo saranno felici della nostra esistenza. Ci circondiamo dei nostri alleati e amici italiani che supportano la nostra crescita, che proteggono il nostro spazio e che si espongono per dirci che noi, in effetti, contiamo. Incoraggiamo la conversazione sulla razza tra sconosciuti. Affrontiamo ogni giorno pensando il meglio degli altri, ma essendo consapevoli che le cose possono cambiare in un battito di ciglia.
Ci rendiamo conto che, anche se l’Italia non è perfetta, è proprio dove ci troviamo ora e, soprattutto, ha la capacità di cambiare.
Traduzione di Giulia Pozzi
[Dopo qualche ora dalla stesura di questo articolo, pare che la Procura abbia escluso l’aggravante razziale dall’episodio che ha coinvolto l’atleta italiana. Ad ogni modo, l’escalation costante di fenomeni simili – che esiste innegabilmente – ha reso quasi automatico pensare che l’aggressione fosse motivata dal colore della pelle. E quando ciò accade, quando in un Paese è così facile poter contemplare con ragionevolezza una motivazione razzista dietro a un episodio di violenza, è già spia che qualcosa non vada – ndr].