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July 16, 2018
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Il giorno in cui Trump inginocchiò gli Stati Uniti davanti allo Zar Putin

Dopo due ore di faccia a faccia tra Donald Trump e Vladimir Putin a Helsinki, un'incredibile conferenza stampa rivela la capitolazione della Casa Bianca

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Time: 4 mins read

Il 16 luglio del 2018 sarà una data storica: il giorno che la Russia di Putin rivelò ufficialmente al mondo di aver conquistato il controllo della leadership della Casa Bianca. Non sappiamo ancora purtroppo se questa data segnalerà, nei libri di storia che i nostri nipoti leggeranno,  l’annuncio della disfatta dell’America o della riscossa…

In una incredibile –  nel vero senso letterale della parola –  conferenza stampa a Helsinki, tra il leader del Cremlino e il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, alle domande dei giornalisti americani se credesse più ai suoi servizi di intelligence o al presidente russo sulle prove che ci sarebbero sul coinvolgimento dei servizi di Mosca nell’interferire sulle elezioni americane, il presidente Donald Trump ha dato chiari segnali di fidarsi più del capo del Cremlino che delle agenzie per la sicurezza degli Stati Uniti.  Quindi sull’incriminazione di 12 spie russe, che almeno secondo le indagini del procuratore speciale Robert Mueller (ma validate già da una giuria popolare che ha ritenuto le accuse così serie e credibili da dover essere verificate in un processo), Trump ha confermato quello che aveva già anticipato sui suoi twitter. Si tratterebbe di una “macchinazione”, non c’è “collusion” e invece si deve dare più ascolto alle “idee molto interessanti” di Putin su queste indagini. “Non riesco a trovare alcuna ragione” ha detto Trump, che lo possa convincere che i russi fossero dietro al furto di dati del server del Partito democratico durante le elezioni del 2016.

Già, non riesce Trump a capire perché i russi volessero in un modo o nell’altro danneggiare Hillary Clinton e la campagna dei democratici, anche quando nella conferenza stampa, lo stesso Putin, alla specifica domanda se avesse sperato nella vittoria di Trump sulla sua avversaria Clinton, ha con franchezza ammesso, anzi con dimostrazione di potere assoluto ormai raggiunto: “Da, da… (Sì, sì)”.

Incredibile. Che il mondo stia meglio e possa tirare un sospiro di sollievo quando gli Stati Uniti e la Russia, i paesi che detengono oltre il 90% delle armi capaci di distruggere più volte il pianeta, cerchino di collaborare invece di confrontarsi, come invece avviene in Siria o Ucraina, é ovvio. Ma che questa intesa sia raggiunta non perché entrambi i paesi, dalle loro posizioni di forza, si sforzino di trovare punti di accordo e interesse comuni dove poter meglio collaborare e rafforzare la pace mondiale, ma perché il presidente degli Stati Uniti, invece di dar credito alle sue agenzie di intelligence, praticamente al mondo afferma che “Putin è stato molto potente”  nel negare le interferenze russe sulle elezioni Americane (non ha usato Trump la parola convincente, ma potente… Già, come si fa con i mafiosi? Sono potenti,  meglio “credergli” e “ubbidirgli” e dargli qualunque cosa pretendano?) Incredibile. Trump mostra di dar credito più a quello che sostiene la Russia che quello che gli dicono le istituzioni dell’intelligence e della giustizia americane, che dovrebbero essere lì per proteggere gli Stati Uniti dalle interferenze del paese rivale.

Che nel vertice di Helsinki, Trump e Putin provassero a concentrarsi più sui punti di accordo tra le potenze che gli interessi in contrasto, questo era prevedibile e anche auspicabile. Ma che si arrivasse ad una capitolazione su tutto da parte di Trump e a far del regime di Putin il “campione del mondo” delle relazioni internazionali, perché l’impressione che ne esce dal vertice di Helsinki è proprio questa, che il Cremlino possa ormai riuscire a far accettare al presidente degli Stati Uniti qualunque interesse russo, come per esempio quello di maltrattare gli alleati della NATO,  ecco tutto questo è qualcosa di straordinario. In diretta tv, come fosse la finale dei Mondiali, la Russia diventa “campione del mondo” grazie ad un portiere come Trump che invece di respingere i tiri del centravanti Putin, si scansa e li fa entrare tutti in rete.

Che dire: sembrava solo una idea da film hollywoodiano, quello del “manchurian candidate” alla Casa Bianca. Ma adesso bisogna veramente pensarci seriamente: ma perché Trump non riesce con Putin a essere minimamente ostile in qualcosa come invece dimostra di saper fare così bene quando si tratta di Angela Merkel o persino Theresa May?

Ad una domanda diretta a Putin, se fosse vero che lui detenesse dei segreti che comprometterebbero il Presidente Trump, il capo del Cremlino ha negato, affermando che lui non si interesserebbe di businessman che visitano Mosca quando non hanno ancora un incarico di governo. Poi ha ricordato, durante la conferenza stampa, di essere lui stesso un ex agente del KGB, e quindi di saper bene come vengano confezionati certi rapporti. Già, un momento veramente straordinario e, direi, raggelante. Vedere Putin prendersi gioco del mondo intero, facendo capire a tutti ormai come sia lui adesso “il commander in chief”.

Ricordiamoci questa data. 16 luglio 2018. Sarà il giorno che forse verrà ricordato come l’inizio della capitolazione della più formidabile democrazia del modo che si arrende ad un paese avversario guidato da un regime autoritario e dispotico. Già, non è più incredibile pensare da oggi che Putin abbia raggiunto il controllo della Casa Bianca.

Eppure ancora ci ostiniamo a sperare, per il futuro di tutto il mondo, che invece il 16 luglio sarà ricordato nella storia come il giorno in cui il “tradimento” di Trump, così ormai evidente, finalmente portò alla realizzazione e reazione del popolo americano. Una scossa che possa scuotere e far tremare il Congresso. Vedremo come andrà a finire, ma teniamoci forte. Viviamo tempi incredibili, mai così pericolosi per la libertà e la democrazia.

  

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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