Ed è subito Salvini show. Le prime settimane di vita del nuovo esecutivo italiano hanno visto nel ministro dell’Interno il “mattatore assoluto”, per usare un’azzeccatissima espressione di Enrico Mentana, della scena politica del Belpaese, tanto che la sensazione prevalente è che la controparte grillina del Governo abbia ceduto il palco all’alleato (in teoria) di minoranza. La spregiudicata chiusura dei porti e la polemica contro le Ong, la proposta (da brividi) di schedare i rom, la polemica con Roberto Saviano (sempre più popolare negli ambienti di destra), l’uscita sui vaccini: le parole di Salvini risuonano nel silenzio assoluto della scena politica nazionale. Opposizione praticamente non pervenuta, fatta eccezione per qualche sparuto tentativo di indignata censura, come il post sui vaccini del redivivo Matteo Renzi che, sulla propria pagina Facebook, ci tiene a sottolineare che “noi siamo #altracosa”. Una “cosa” che, per l’appunto, gli italiani hanno sonoramente bocciato alle urne.
E in effetti ciò che manca nel dibattito pubblico attuale non è tanto una riflessione sulle azioni di quel “mattatore assoluto” e dei suoi compagni, ma un’analisi, appunto, delle opposizioni. Interne ed esterne, italiane ed europee. Che sembrano impegnate in una scientifica operazione kamikaze ogni qual volta decidono di aprire bocca. E per diverse ragioni.
Partiamo dalle opposizioni interne: Renzi, Gentiloni, i variamente e parzialmente sopravvissuti e le voce dall’Oltretombra del massacro della sinistra degli ultimi anni. Fa sorridere (ma è un sorriso amaro) l’indignazione ostentata per le politiche xenofobe di Salvini da parte di esponenti e sostenitori di un Governo che, ministro l’ex PCI Marco Minniti, è autore del patto sulla gestione dei flussi migratori forse più aberrante degli ultimi decenni con la Libia, dove decine di migliaia di migranti sono stati respinti e rinchiusi in “campi-lager”, sottoposti a torture, venduti come schiavi. Nessuna inchiesta giornalistica, nessun appello delle organizzazioni umanitarie è servito a risvegliare la coscienza del Pd. Non solo: Minniti, insieme a Orlando, è anche l’autore del decreto che, nel tentativo di accelerare i tempi in materia di protezione internazionale, ha abolito il secondo grado di giudizio per i richiedenti asilo che hanno fatto ricorso contro un diniego.

Il Partito Democratico, insomma, nel disperato tentativo di fermare la tragica emorragia di voti che si profilava all’orizzonte, ha scelto deliberatamente – bando a inutili scrupoli di coscienza – di avallare la narrazione emergenziale e ipocondriaca sull’immigrazione proposta dalla destra, e, addirittura, di “anticiparne” le strategie politiche. La beffa, poi, è arrivata il 4 marzo: non solo gli italiani sembrano non essersi accorti che l’accordo con Tripoli ha funzionato benissimo (certo, sulla pelle di migliaia di persone) e che il flusso migratorio è sensibilmente calato dai mesi precedenti, ma, dovendo scegliere tra una destra vera e una destra scimmiottata dalla sinistra, hanno semplicemente optato per l’originale.
In Europa, poi, il “gioco al massacro” del campo cosiddetto “antipopulista” è ancora più sconcertante. Perché il presidente Emmanuel Macron, noto per le sue politiche di respingimento al confine di Ventimiglia e per il pasticcio di Bardonecchia, ha voluto ergersi a baluardo dei valori di solidarietà europea, condannando duramente la presa di posizione di Roma sulla nave Aquarius, definendo i populisti la “lebbra d’Europa”, urlando a gran voce come in Italia non esista una emergenza immigrazione, facendo notare che gli sbarchi sono calati dell’80% dall’anno precedente e proponendo, quindi, “centri chiusi con mezzi finanziati dall’Europa nei Paesi più sicuri e vicini di sbarco”. Per chi avesse qualche dubbio, il Paese sicuro più vicino di sbarco è quasi sempre l’Italia.
Il proverbio dice che non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire, e il capo dell’Eliseo non sembra, in questo, fare eccezione. Perché mentre Macron faceva la morale all’Italia, a ringraziarlo, oltralpe, c’era proprio Salvini. Macron è il triste e drammatico simbolo di una classe politica europea che ha perso, ormai da tempo, ogni contatto con la gente, i suoi problemi e le sue frustrazioni, una classe politica priva di carisma e di capacità di analisi di medio-lungo periodo, e, per di più, allergica all’autocritica. Perché certo: il populismo pone delle sfide enormi, soprattutto quando promuove un arretramento generale degli standard sui diritti umani e gioca sulla paura, alimentando discriminazioni e odio sociale. Ciò non vuol dire, però, che le questioni poste dai populisti siano inesistenti, e che quella paura non sia reale o si possa cancellare con un colpo di bacchetta magica. Semplicemente, i “populisti” in questione si sono accorti, prima di tutti gli altri, dell’esistenza di quei problemi, della crescente sfiducia delle persone in istituzioni che dovrebbero rappresentarle, e che invece, spesso, sono ostaggio degli interessi di pochi, delle ripercussioni che decenni di politiche austere hanno avuto sulle famiglie, del progressivo sfaldarsi del sogno europeo, che manca di visione comune e di solidarietà.
E se oggi questa “Europa” è così poco sentita, ed è tanto attaccata, bistrattata, fino al punto di diventare il capro espiatorio generale – perdonateci – non è colpa dei “populisti”. Loro ne sono, semmai, conseguenza, sintomo. Loro sono le mosche che si attaccano avidamente alla carcassa, ma il cadavere era già lì, abbandonato in mezzo a una strada da coloro che, per vocazione politica, avrebbero dovuto avere cura del progetto: dai tanti Macron, Merkel, Hollande, Renzi, Juncker, Gentiloni e chi più ne ha più ne metta.
Oggi, a livello europeo, manca una classe politica capace di offrire una visione alternativa, di ridare speranza all’Unione europea senza, tuttavia, negare il cancro che l’attanaglia, ma offrendo finalmente una cura. Una classe politica capace di conquistarsi la fiducia dei cittadini con credibilità e carisma, ridando vigore al sogno oggi infranto. Quando Macron, dall’alto del pulpito francese fatto di guerra in Libia, Ventimiglia, Bardonecchia, Calais e così via, blatera di lebbra e lebbrosi, e propone come soluzione di parcheggiare i migranti in Italia – in centri rigorosamente “chiusi” -, sta solo infliggendo il colpo finale a ciò che resta (forse troppo poco) di quel sogno. E arricchendo il portafoglio elettorale dei tanti Salvini, che quasi non possono credere di avere avversari così sprovveduti ad agevolare la loro inarrestabile ascesa.
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