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I palestinesi avranno mai i leader che si meritano?

I commenti antisemiti di Mahmud Abbas non giovano alla pur sacrosanta causa palestinese. Anzi, chiudono lo spiraglio del dialogo

Giulia PozzibyGiulia Pozzi
I palestinesi avranno mai i leader che si meritano?

Il leader palestinese Mahmoud Abbas.

Time: 4 mins read

Hanno fatto il giro del mondo le parole del presidente palestinese Mahmud Abbas, meglio noto come Abu Mazen, parole che hanno trasformato il suo discorso Perché affermare che i comportamenti sociali degli ebrei – tra cui «l’usura, le banche e cose del genere» – possano aver causato la Shoah è una frase destinata ad avere ripercussioni politiche e diplomatiche sul già di per sé altalenante processo negoziale mediorientale. Specialmente in un periodo in cui le tensioni tra israeliani e palestinesi sulla Striscia di Gaza si sono rinfocolate. Il prossimo venerdì sarà il quinto di protesta dei palestinesi per le celebrazioni della “Marcia del Ritorno”, e il timore è che le parole di Abu Mazen possano invogliare una risposta ancora più dura da parte di Israele.

Di certo, quanto affermato da Mahmud Abbas difficilmente rimarrà privo di conseguenze. Al punto che l’Ambasciatore israeliano all’ONU Danny Danon, sostenuto dalla rappresentante di Washington alle Nazioni Unite, ha chiesto al Consiglio di Sicurezza di condannare apertamente le parole del leader palestinese. Qualche ora dopo, è arrivata la censura della Rappresentate per gli Affari Esteri dell’Ue Federica Mogherini, che ha definito inaccettabili i commenti di Abu Mazen, retorica che, ha aggiunto opportunamente, “non farà che giocare a favore di coloro che non vogliono una soluzione a due Stati”. Quindi, l’alto funzionario delle Nazioni Unite per il processo di pace in Medio Oriente, il coordinatore speciale Nikolay Mladenov, ha dichiarato che il presidente Abbas ha scelto di utilizzare il suo discorso di apertura del Consiglio Nazionale Palestinese per ripetere alcuni dei più sprezzanti luoghi comuni anti-semiti, tra cui l’idea che il comportamento sociale degli ebrei sia stato causa dell’Olocausto”.”I leader hanno l’obbligo di contrastare l’antisemitismo sempre e ovunque, e di non perpetuare le teorie cospirazioniste che lo alimentano”, ha aggiunto Mladenov.

In effetti, nessuna giustificazione può essere invocata di fronte a frasi simili: non l’occupazione né il colonialismo palestinese: perché, facendolo, si finirebbe per sminuire la stessa causa di un popolo innegabilmente oppresso. Un popolo che, mai come ora, sembra pagare per l’inadeguatezza dei propri leader. In questo senso, ritornano alla memoria le parole del vecchio Abba Eban, ministro degli Esteri ai tempi di Golda Meir, che sosteneva che i palestinesi non perdono mai l’occasione di perdere un’occasione. In questo caso, la politica di Abbas manifestata dal suo discorso è ancora peggio che questo: più che immobile, è suicida. Perché ha finito per superare la retorica infuocata di Bibi Netanyahu. Che, nelle parole del suo avversario politico, potrà forse trovare una giustificazione alla sua politica dell’alta tensione.

Ulteriore aggravante nei confronti di Abu Mazen, il fatto che egli è nientemeno che il presidente dell’Autorità nazionale palestinese, di al-Fatah e dell’Olp, cioè del partito e dell’organizzazione che di fatto hanno scelto la strada della trattativa per la libertà del popolo palestinese. È insomma il leader deputato al dialogo con la comunità internazionale tutta. Comunità internazionale che – lo ricordiamo – in sede di Nazioni Unite – è stata caratterizzata da un innegabile attivismo sulla questione palestinese, macinando risoluzioni su risoluzioni che, secondo qualcuno, sarebbero state anche controproducenti. Di certo, questa iperproduzione non è stata apprezzata da Israele, che l’ha sempre considerata un segnale di parzialità dell’Onu sulla questione.

Ad ogni modo, questa vicenda illumina una delle due principali cause delle sfortune del popolo palestinese: una è certamente l’oppressione in cui vive da 51 anni, dalle conseguenze devastanti e difficilmente immaginabili per chi non l’abbia sperimentata sulla propria pelle. L’altra, però, è la mediocrità dei loro leader, che hanno innegabilmente inanellato una quantità non indifferente di errori. Uno dei primi fu compiuto dal Gran Mufti di Gerusalemme Amin al-Husseini ai tempi della Seconda Guerra Mondiale, fortemente nazionalista considerato precursore del terrorismo islamico, che non esitò a strizzare l’occhio alla Germania nazista e all’Italia fascista contro la formazione di uno stato ebraico in terra palestinese. L’ultimo della lista (ma solo in ordine di tempo) è proprio quello di Abu Mazen, che, anziché lavorare per il dialogo, con poche, devastanti parole si è infilato la divisa da guerra, riaprendo atroci ferite del passato. E la cosa peggiore è che queste parole tutto sembrano tranne che una gaffe: anzi, pare quasi che la leadership palestinese si sia tolta la maschera, e abbia rivelato il suo vero volto. Un volto che non aiuta di certo la causa dei palestinesi. Ed è qui che si apre la domanda: sarà il popolo palestinese capace di dissociarsi dall’aberrazione del loro capo, e lottare per una leadership migliore, degna di lui? 

Aggiornamento 4 Maggio

L’ambasciatrice USA all’ONU Nikki Haley ha rilasciato una nota in cui condanna fermamente le frasi del presidente Abu Mazen: “Le disgustose dichiarazioni anti-semite della leadership palestinese minano certamente le prospettive di pace per il Medio Oriente. Quando il Consiglio di sicurezza non riesce a raggiungere consenso nel denunciare tali azioni, questo mina ulteriormente la credibilità dell’ONU nell’affrontare tale fondamentale questione”. Le parole di Haley si riferiscono al fallimento, da parte del Consiglio di Sicurezza, del tentativo di realizzare una dichiarazione unitaria di condanna delle affermazioni di Abbas.

 

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Giulia Pozzi

Giulia Pozzi

Classe 1989, lombarda, dopo la laurea magistrale in Filologia Moderna all'Università Cattolica di Milano si è specializzata alla Scuola di Giornalismo Lelio Basso di Roma e ha conseguito un master in Comunicazione e Media nelle Relazioni Internazionali presso la Società Italiana per l'Organizzazione Internazionale (SIOI). Ha lavorato come giornalista a Roma occupandosi di politica e affari esteri. Per la Voce di New York, è stata corrispondente dalle Nazioni Unite a New York. Collabora anche con "7-Corriere della Sera", "L'Espresso", "Linkiesta.it". Considera la grande letteratura di ogni tempo il "rumore di fondo" di calviniana memoria, e la lente attraverso cui osservare la realtà.

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