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25 aprile, la Festa che dovrebbe unirci e invece ci divide più che mai

Il ricordo della Liberazione, quest'anno più che mai, è stato accompagnato da polemiche e segnato da divisioni politiche e sociali

Giulia PozzibyGiulia Pozzi
25 aprile, la Festa che dovrebbe unirci e invece ci divide più che mai

Tricolore.

Time: 6 mins read

Non c’è 25 aprile senza polemiche. Questa, si sa, è l’Italia. La festa della Liberazione, che celebra il coraggio degli uomini e delle donne che, 73 anni fa, furono pronti a sacrificare la propria vita per la libertà dal fascismo dei propri compatrioti, purtroppo non è ancora una ricorrenza che unisce. Nonostante le solenni celebrazioni che questa mattina sono andate in scena davanti all’Altare della Patria, in una Roma illuminata da un sole quasi estivo, con il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella solerte nel ricordare che “la Resistenza fu un movimento corale, ampio e variegato, a lungo rappresentato quasi esclusivamente come sinonimo di guerra partigiana, nelle regioni del Nord d’Italia o nelle grandi città. Le tante insurrezioni, da Napoli a Matera, da Nola a Capua, alle tante avvenute in Abruzzo, attestano la percezione da parte degli italiani della posta in gioco: da una parte i massacratori, gli aguzzini, i persecutori di ebrei; dall’altra la civiltà, la libertà, il rispetto dei diritti inviolabili di ogni persona”.

Ma le prime divisioni si sono verificate proprio al grande corteo romano organizzato da Anpi, a cui hanno aderito diverse associazioni antifasciste, partito da via Genocchi, proprio di fronte alla sede della Regione Lazio. Perché la partecipazione della delegazione palestinese del Lazio e di Roma non è andata giù alla comunità ebraica locale, che infatti ha disertato la manifestazione. Una manifestazione, che, paradossalmente, ricorda tra le altre cose la liberazione degli ebrei nostri compatrioti dall’eccidio nazifascista. “Ci dispiace molto che non siano qui – ha detto il rappresentante dei palestinesi di Roma, Bassam Saleh – ma troviamo incomprensibile la loro posizione. È un nostro diritto partecipare con la nostra bandiera. Siamo un popolo oppresso, stiamo lottando per la nostra liberazione. Non ci sentiamo estranei”. Delusione dal presidente dell’Anpi Roma, Fabrizio De Santis: “Abbiamo molto lavorato e lavoriamo continuamente per l’unità – ha spiegato – avevamo fatto un bel lavoro quest’anno e la decisione della comunità ebraica ci ha sorpreso, ma il senso del 25 aprile è che tutti i partecipanti al corteo accolgano con rispetto i simboli di tutte le formazioni partecipanti”. Ma l’episodio romano non è stato isolato.

A Todi, in Umbria, sono andati in scena due cortei separati, dopo il mancato riconoscimento del patrocinio del Comune alle celebrazioni organizzate dall’Anpi, soprattutto a seguito della raccolta di firme contro tutti i fascismi, considerata una provocazione per la presenza in maggioranza di un consigliere di Casapound. Ad Amelia, comune in provincia di Terni, l’amministrazione ha addirittura vietato “Bella Ciao”, e il sindaco, Laura Pernazza, era assente alle celebrazioni. Circostanza denunciata da “Vivere Amelia”, gruppo consiliare nato dalla lista Vivere Amelia candidata nelle elezioni comunali del 5 giugno 2016, sulla sua pagina Facebook.

Anche a Modena, il 25 aprile è stato celebrato da manifestazioni molteplici e parallele: la sinistra antisistema ha sfilato in largo Sant’Agostino, il centro sociale Guernica in piazza Mazzini e il corteo ufficiale con banda e sindaco in prima fila lungo via Emilia per concludere in piazza Grande. E durante la sfilata del corteo davanti a piazza Mazzini, i ragazzi del Guernica hanno urlato “vergogna”, inveendo contro l’Amministrazione e il PD in genere. Il corteo dopo l’omaggio dei caduti sotto la torre Ghirlandina, si è fermato in piazza Grande. Cortei divisi anche a Cologno, nel milanese, e in tante altre parti d’Italia.

Divisioni per certi versi annunciate, che costituiscono la cartina di tornasole della complessa situazione politica nazionale. Dove i partiti usciti vincitori dalle elezioni si mostrano piuttosto freddi di fronte ai valori dell’antifascismo, e in alcuni casi strizzano l’occhio proprio a chi, questo 25 aprile, lo ritiene un insulto. Il fronte della Lega, partito di Matteo Salvini, indiscusso protagonista di queste settimane, è tra i più esplicitamente scettici. Gli esempi si sprecano. Lucia Borgonzoni, senatrice dell’ex rossa Bologna, e Daniele Belotti, deputato bergamasco e voce del raduno di Pontinda, contestano un 25 aprile dove sventolano prevalentemente bandiere rosse. Quest’ultimo, poi, ha dichiarato che, anziché la Festa della Liberazione, avrebbe festeggiato San Marco. Proprio a Pontida, il sindaco, Luigi Carozzi, ha affermato apertamente di non nutrire alcun interesse per la ricorrenza: «A me non interessa. Il 25 Aprile riguarda solo una parte degli italiani. Ci sono ben altri problemi che mi toccano di più, a partire dal lavoro e dalla lotta alla disoccupazione». Lo stesso leader Matteo Salvini, nel consueto post su Facebook, svuota la giornata del suo significato storico, e la immola alle cause politiche “sovraniste”: “L’Italia anche oggi ha bisogno di essere LIBERATA da chi non la ama davvero, da chi non ne ama la bellezza, l’arte, lo spirito d’intraprendenza, l’estro nel lavoro, da chi non ama una Comunità da sempre protagonista nella storia per la sua cultura e forza vitale. Liberazione da chi avvilisce, impoverisce e TRADISCE, da chi ci svende all’Europa, da chi ci vuole servi. Riprendiamoci il nostro Paese, la nostra Libertà, il nostro Futuro.  I morti non hanno colore”. Poco prima, aveva pubblicato l’ennesimo articolo di aggiornamento sul caso di Pamela Mastropietro, commentando, a proposito dei nigeriani indagati per la sua morte: “Personcine per bene. Ecco da chi occorre liberare l’Italia oggi!”.

Neppure il fronte dei Cinque Stelle, gli altri “vincitori” del 4 marzo, si rivela compatto. Se Roberto Fico, in quanto presidente della Camera, era a fianco del Capo dello Stato nelle celebrazioni romane, insieme alla sindaca della Capitale Virginia Raggi, gli altri vertici del partito non si sono fatti vedere ad altre manifestazioni. E il messaggio che giunge dal campo pentastellato è che sì, va bene celebrare il 25 aprile, ma tenendolo lontano da “derive ideologiche”. Lo sottolinea Giulia Sarti, deputata M5S:«È una celebrazione storica a memoria di valori infiniti e di chi ha dato la vita per la nostra democrazia, ma un conto è tener fede quotidianamente a quei valori e trasmetterli alle nuove generazioni. Altro conto è utilizzare con ipocrisia le ideologie per dividere ancora di più il Paese». Per Angelo Tofalo, fascismo e anti-fascismo «sono concetti vecchi», nonostante «la storia non invecchi mai». Luigi Di Maio, invece, in un post sul Blog delle stelle, definisce i partigiani “faro di ogni nostra scelta politica”. Una nota che, per quanto è esplicita, potrebbe destare qualche stupore, visto che, lo scorso gennaio, quando Salvini aveva celebrato in una dichiarazione pubblica i “meriti” di Benito Mussolini, il leader pentastellato aveva preferito non entrare nella polemica. Del resto, sui valori dell’antifascismo non si può dire che il MoVimento si sia mai espresso univocamente. Due anni orsono, fece molto parlare la consigliera comunale M5s di Ragusa Gianna Sigona, che su Facebook ebbe avuto la brillante idea di postare una foto con alcuni busti di varie misure di Benito Mussolini, da lei realizzati, con il commento: «Noi eravamo fascisti, poi siamo rimasti fascisti e saremo sempre fascisti». Prima di lei, ci aveva pensato Desirè Manca, consigliera di Sassari, che nell’ottobre 2015 aveva postato una sua foto con il faccione di Mussolini. Dopo le polemiche, decise di cancellarla dalla sua bacheca, negando che quello scatto fosse un’apologia del Ventennio.

Del resto, si sa, i pentastellati non hanno mai apprezzato i cortei antifascisti, in quanto, hanno sempre spiegato, troppo “ideologici”. Certo: il rischio di ideologizzazioni e strumentalizzazioni politiche è sempre dietro l’angolo: inutile negarlo. Ma il rischio è che, a furia di ripudiare le “ideologie” in toto – anche quelle che concorsero ad abbattere la follia fascista – e di predicare il superamento dei partiti – partiti che, sotto il fascismo, furono messi al bando dalla dittatura di uno solo -, si finisca per buttare il bambino con l’acqua sporca e svuotare di senso la Liberazione. Di banalizzarla, trasformandola in una più generica festa della libertà in bianco e nero, astratta dal tempo e dallo spazio. E, nella furia di evitare le strumentalizzazion,i si concorre a strumentalizzarla, nell’ossessione di liquidare il “vecchio”, il “superato”. Che poi rischia di ripresentarsi, pur in altre forme, e coglierci drammaticamente impreparati: perché poi, forse, tanto “vecchio” non era.

 

 

 

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Giulia Pozzi

Giulia Pozzi

Classe 1989, lombarda, dopo la laurea magistrale in Filologia Moderna all'Università Cattolica di Milano si è specializzata alla Scuola di Giornalismo Lelio Basso di Roma e ha conseguito un master in Comunicazione e Media nelle Relazioni Internazionali presso la Società Italiana per l'Organizzazione Internazionale (SIOI). Ha lavorato come giornalista a Roma occupandosi di politica e affari esteri. Per la Voce di New York, è stata corrispondente dalle Nazioni Unite a New York. Collabora anche con "7-Corriere della Sera", "L'Espresso", "Linkiesta.it". Considera la grande letteratura di ogni tempo il "rumore di fondo" di calviniana memoria, e la lente attraverso cui osservare la realtà.

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