
Già senatore per il PDS prima e i DS poi, presidente della Commissione Esteri del Senato, presidente dell’Advisory Board dello Staff College dell’ONU e della Commissione Affari Civili dell’Assemblea Parlamentare della NATO, ma anche docente e storico dell’Università di Torino, tra i principali esperti italiani di storia degli Stati Uniti e del fascismo. Gian Giacomo Migone, che abbiamo incontrato presso il Palazzo di Vetro a New York, fu anche in prima linea in quel drappello di parlamentari che si opposero all’approvazione della legge 459 del 2001 che regola il voto degli italiani all’estero, meglio nota come legge Tremaglia, dal nome dell’allora ministro degli Italiani nel mondo che la promosse. Abbiamo quindi discusso con lui di questo argomento, ma anche conversato, con il nostro autorevole interlocutore, della situazione politica italiana e globale, e, in particolare, del tramonto della sinistra italiana di cui è stato – ed è tutt’ora – importante attivista.
Il pasticcio del voto estero

“Non fui l’unico a oppormi alla legge Tremaglia”, ci spiega, “ma parte di una ventina di deputati e senatori che votarono contro”. Uno schieramento piuttosto trasversale, dato che “Antonio Martino, che era stato ministro degli Esteri in quota Forza Italia, prese la mia stessa decisione”. Che qualcosa non funzionasse in quella legge – circostanza che oggi, soprattutto dopo l’ultima, tormentata tornata elettorale, è innegabile -, a Migone fu chiaro fin da subito, e per ragioni del tutto comprensibili. “La madre di quello che io ritengo essere stato un grosso errore fu la legge sulla cittadinanza, che mise l’Italia in una condizione unica, perché conferì il diritto di cittadinanza a chiunque avesse avuto un nonno, o una nonna, italiano”. Potenzialmente, dunque, milioni e milioni di persone in tutto il mondo. Da qui, con l’approvazione di quell’emendamento alla Costituzione, “ci siamo trovati in una condizione in cui gli italiani temporaneamente all’estero venivano svantaggiati, ma contemporaneamente restava una platea più ampia di persone che aveva acquisito il diritto di voto attraverso la legge sulla cittadinanza”. Circostanza che, naturalmente, portò con sé vari inconvenienti: “Il primo e il più evidente è che chi viene in Italia solo da turista o poco più si trova, attraverso questo meccanismo di rappresentanza, a pronunciarsi su questioni che riguardano strettamente la vita italiana”, spiega Migone. Non solo: quella legge introdusse anche “un elemento di divisione tra gli oriundi”: in quei Paesi, cioè, in cui gli italiani avevano espresso una rappresentanza locale, come in Canada, in Argentina e gli stessi Stati Uniti, “si è finiti per dividere il loro elettorato naturale, prima unito in quanti di origine italiana, e ora diviso da un voto politico che però riguardava il Paese di origine”.

A 17 anni dall’approvazione di quella legge, come si ripara a questo caos? Per Migone, “la soluzione più radicale – che però è la più difficile – sarebbe quella di fare un emendamento abrogativo di questa norma costituzionale. Più realisticamente, bisogna ripristinare una condizione minima di correttezza e segretezza di questo voto”, effettuando peraltro una migliore “selezione, all’interno di questo elettorato indefinito, di chi è veramente motivato e chi non lo è”. In sostanza, per l’ex senatore bisognerebbe abolire il voto per corrispondenza, “tra l’illegale, l’incostituzionale e, francamente, il ridicolo”. Si dovrebbe dunque predisporre, secondo le leggi italiane, dei seggi collocati presso le ambasciate e i consolati. “E non si inventerebbe nulla di nuovo, visto che lo fanno altri Paesi”. E per quanto riguarda la critica che spesso si oppone a tale soluzione, e che chiama in causa le grandi distanze che, soprattutto in alcuni continenti, i cittadini dovrebbero percorrere per andare a votare, Migone risponde: “Ogni soluzione ha i propri inconvenienti. In ogni caso, questa resta una soluzione di gran lunga preferibile a quella attualmente vigente”. Che dire, invece, di un sistema che sfrutti le nuove tecnologie digitali? “Non mi pronuncio su una materia che, anche per motivi generazionali, conosco poco”, risponde l’ex senatore. “Ma se ci fosse un modo sicuro per fare le cose in questo modo, potrebbe essere un ulteriore sistema. Anche se”, puntualizza, “francamente, con tutto quello che leggiamo sui giornali – Facebook, Cambridge Analytica e così via – ci potrebbero essere dei rischi”. Come che votino i russi per noi, scherziamo, suscitando il sorriso del nostro interlocutore. “Un po’ come è avvenuto per le elezioni americane”, conferma il professore. Che chiosa: “Io direi: facciamo come fanno gli altri, e solo a quel punto ci porremo il problema di ulteriori miglioramenti”.
Ad ogni modo, oggi la situazione in cui ci troviamo è piuttosto paradossale: a più di un mese dalle elezioni, sul sito del Viminale i dati relativi al voto estero sono ancora formalmente provvisori, ma gli eletti si trovano in Parlamento come se niente fosse. “Non è la prima volta che succede questo”, osserva Migone. “Ricordo dei casi particolari che riguardano il Belgio, in cui c’erano stati numerosi inconvenienti e montagne di schede non scrutinate abbandonate in questo misterioso luogo alla periferia di Roma (Castelnuovo di Porto – ndr)”. La documentazione, insomma, è “ampiamente sufficiente per dare un taglio al passato e per tornare a forme di voto più regolari”. Per non parlare, poi, dell’assurda vicenda di Free Flights to Italy, la cui “truffa” è stata svelata – anche da noi della Voce di New York – ben prima delle elezioni, ma il cui simbolo era comunque presente sulle schede elettorali, guadagnandosi, nonostante le tante denunce e con un continuo rimpallo di responsabilità da parte delle autorità competenti, circa 900 voti. “Vi invito a perseverare”, sorride Migone.
La sinistra, tra estinzione e riscatto
Dal voto estero alla situazione politica italiana, abbiamo chiesto all’ex senatore, professore e storico, nonché autorevole uomo di sinistra, una valutazione sullo sfascio delle socialdemocrazie un po’ ovunque, e sulla profonda crisi che, in casa nostra, sta attraversando il Pd, fotografata icasticamente dalle ultime elezioni. Migone, prima PDS e poi DS, ricorda di essere uscito “quando si costituì il Pd, perché quando si fa una cosa giusta in modo sbagliato, le conseguenze sono sempre negative”. Migone confessa di non essere rimasto stupito dal tracollo del partito di Matteo Renzi, bocciato severamente dagli italiani nonostante, in principio, avesse incarnato le istanze della “rottamazione”. “Me lo aspettavo per varie ragioni, e prima ancora che arrivasse Renzi”. L’ex senatore allarga il discorso all’ottica mondiale. “Viviamo un periodo di transizione stentata e pericolosa verso una multipolarità, dopo la caduta del muro di Berlino, che ha determinato un declino del potere, in termini relativi, degli USA e dell’ex URSS.

Questo processo ha coinciso con una graduale crescita dell’ineguaglianza in tutto il mondo occidentale”. Il tutto, anche a causa della globalizzazione. “Perché c’è un dato di fatto: chi detiene sulla carta dei poteri costituzionali vede erosi questi poteri da una minoranza che con un click può spostare centinaia e migliaia di miliardi da un posto all’altro, o un’industria da un luogo a un altro facendo del dumping sociale”. Da qui, “l’indebolimento generale della democrazia in tutto l’Occidente”. In più, si assiste a fenomeni oggettivi quali “una rivoluzione tecnologica”, e “delle migrazioni bibliche destinate a continuare”, determinate da una concentrazione del tutto disequilibrata della ricchezza, per cui l’80% degli averi è nelle mani del 20% della popolazione mondiale, e dalle tante guerre, crisi climatiche, governi autoritari in giro per il globo.

In questo contesto, “proprio quei Paesi che sono stati all’avanguardia nell’utilizzazione di questi fenomeni – gli USA e in maniera sussidiaria Londra – sono anche i Paesi che stanno producendo i primi antidoti ad essi”. Migone fa ad esempio riferimento alla candidatura, negli Stati Uniti, di Bernie Sanders, che stava per aggiudicarsi la nomination “essendo dichiaratamente controcorrente, e molto attivo nel denunciare le trasformazioni sociali di cui stiamo parlando”. E, secondo tutti i sondaggi, se fosse stato candidato al posto di Hillary Clinton, avrebbe vinto. Non a caso, da lui Trump sembra aver mutuato alcune idee: “anche perché”, spiega il nostro interlocutore, “quei giovani
che erano per Sanders, nel momento in cui hanno dovuto scegliere tra Clinton e Trump, o si sono astenuti, oppure si sono dispersi votando la terza candidatura”. Contemporanemante, i blue collars, “conditi da una retorica reazionaria, hanno trovato in Trump l’illusione di una risposta ai loro problemi”. In Inghilterra, secondo il professore, “siamo ancora più avanti. Perché quel Corbyn che veniva liquidato dalla grande stampa come qualcuno che avrebbe preso il 20% dei voti, se ci fosse un voto oggi sarebbe primo ministro”. Non solo: il leader laburista ha raccolto “la spinta di 250mila giovani che si sono iscritti a Labour Party, e che sono europeisti di sinistra”.
E l’Italia? Il nostro Paese, sostiene Migone, è certamente più periferico, sebbene sia stato in certa misura un laboratorio – perché Trump tanto assomiglia al nostro Berlusconi, soprattutto parlando di conflitto d’interessi -. “Vi è dunque un generale ritardo”, imputabile sì alla classe politica, che “ha colpe enormi”, ma anche allo scarso riguardo del principio di rappresentanza in virtù dei vari “marchingegni” introdotti con il Porcellum, dichiarato incostituzionale, ma anche con l’Italicum, e ancora con il Rosatellum, imposto con 8 voti di fiducia. Nel frattempo, la riforma costituzionale, bocciata con referendum del 4 dicembre 2016 e rispetto alla quale l’ex senatore si è battuto per il “No”, avrebbe ulteriormente indebolito quello stesso principio di rappresentanza. In questo quadro, “vagoliamo in una situazione di incertezza. Abbiamo atteso per anni una sentenza di incostituzionalità sulla legge elettorale, abbiamo due partiti – Lega e M5S – che raccolgono malcontento in maniera esplicitamente reazionaria, soprattutto nel caso del Carroccio”. Quanto ai Cinque Stelle, i loro voti sono, anche se in maniera più trasversale, “di protesta, ma privi di contenuto”. Quando gli chiediamo un parere sull’operato del Capo dello Stato nelle difficili consultazioni di questi giorni, Migone inizia con una premessa: “Mattarella è una persona che merita fiducia, costituzionalmente molto corretto”. Ma osserva: “Non è però onnipotente. Quello che può fare è attuare la Costituzione. Lui, con giusta prudenza, sta portando avanti questo processo. Di certo”, aggiunge, “non può sciogliere il Parlamento fino al momento in cui non si sia chiarito che non esiste una maggioranza possibile. Se questo fosse, a un certo momento ne dovrà prendere atto”.

Un ritorno del fascismo?
Concludiamo la conversazione con Migone con una domanda, rivolta più che al politico e al conoscitore del palazzo, all’autorevole storico, esperto di fascismo e Stati Uniti: che dire del libro dell’ex segretaria di Stato Madeleine Albright, che mette in guardia la stessa democrazia americana dal rischio di un ritorno del fascismo anche in questo Paese? “Metto da parte l’irritazione che mi suscita la fonte, perché la Albright ha avuto delle grosse responsabilità: ha voluto una guerra in Kosovo, alleata con dei “freedom fighters” che si sono rivelati peggio che degli assassini, il tutto per instaurare la seconda base più importante degli Stati Uniti in Europa”, puntualizza Migone. “Insomma”, afferma, “ha contribuito alle disgrazie che oggi denuncia”. Lo storico prosegue: “Quando si impoverisce la classe media, si crea una situazione di pericolo. Non sarà il fascismo come lo conosciamo storicamente, ma diciamo che potrebbero esserci regimi autoritari nazionalisti e autarchici”. E sottolinea: “A queste condizioni, si risponde o andando più a destra, o più a sinistra – dove, per sinistra, non intendo la rivoluzione bolscevica, ma il recupero di valori di democrazia e libertà in termini di maggiore eguaglianza -”. Evidentemente, però, in quest’ultima tornata elettorale italiana, la sinistra era quasi inesistente. “Buona notizia e cattiva notizia: essendo totalmente in crisi, deve ricominciare da zero”. C’è da essere ottimisti? “A costo di essere banale, rispondo con Gramsci: ottimismo della volontà, pessimismo della ragione”.

Gramsci che peraltro, nei suoi Quaderni del Carcere, quasi profeticamente scriveva: “Mi sono convinto che, anche quando tutto sembra perduto, bisogna mettersi tranquillamente all’opera, ricominciando dall’inizio…”.