Dopo aver parlato dell’affaire Cambridge Analytica su La Voce di New York alcuni giorni fa, il direttore mi ha chiesto se avrei seguito l’audizione di Mark Zuckenberg al Congresso Americano (Senate Judiciary Committee) per poi scriverne qualcosa. La cosa è abbastanza vicina al campo di interesse del mio lavoro che l’avrei fatto comunque, anche se non aspettavo grandi sorprese dall’audizione. Come ho spiegato nel mio articolo, è ampiamente confermato che Cambridge Analytica (CA) abbia usato Facebook come “terreno di coltura” per l’intelligenza artificiale che ha permesso a CA di influenzare il voto. Facebook, inoltre, è stato uno dei canali con cui CA ha messo in atto le sue strategie di propaganda basate su profilazione psicologica e microtargeting.
Detto questo, Facebook ha fatto quello che ha sempre fatto sin dalla sua nascita. Sì può strapparsi le vesti sull’accesso non autorizzato ai dati della App di Alksandr Kogan, ma si tratta di un aspetto tutto sommato minore di cui FB non poteva indovinare le conseguenze 4 anni fa. Ammesso che uso non autorizzato di dati ci sia stato, è plausibile che CA abbia cancellato davvero quei dati una volta utilizzati per creare l’Intelligenza artificiale su cui si basa la potenza della loro macchina propagandistica.

Come temevo, l’audizione non ha riservato particolari sorprese, se non quella di dimostrare come molti dei Senatori USA fossero sostanzialmente impreparati sull’argomento e capaci solo di fare domande che avrebbero avuto qualche senso 12 anni fa, quando i social erano all’inizio in un periodo in cui veramente avrebbe avuto un senso chiedersi a cosa stavamo andando incontro.
Mark è partito confessando subito che la sua azienda era stata leggera nel gestire il caso CA. Accortisi del fatto che c’era stato un uso di dati di utenti Facebook non autorizzato, Facebook si era limitata a chiedere conferma scritta della cancellazione di quei dati.
Con questa mossa, Mark ha spostato il discorso su come funziona facebook. E lì è stato gioco facile dimostrare che Facebook fa una cosa semplice: dà a tutti accesso gratuito alla piattaforma in cambio di una serie abbastanza ampia di dati personali. Dati che Facebook, generalmente, tiene per sé, ma che affitta indirettamente agli advertiser che vogliono vendere attrezzatura da sci a chiunque abbia dimostrato un qualche interesse per le attività sciistiche nella sua vita social (si tratta solo di un esempio, ovviamente).
Ovviamente questo è come Facebook ha più o meno sempre funzionato. Gli utenti hanno dato il loro beneplacito a quell’uso dei loro dati, il tutto nella più perfetta legalità.
I senatori hanno ronzato per varie ore intorno all’uso dei dati e alla comprensibilità delle condizioni d’uso piattaforma, come se fossero davanti a qualcosa di nuovo. Mi sarei aspettato che i senatori già sapessero molto di come funziona FB e che avrebbero fatto domande serie, magari su come prevenire l’uso dell’Intelligenza Artificiale e la profilazione psicologica. Niente di tutto questo, aimé. I senatori hanno fatto domando su come funziona la piattaforma pubblicitaria, avendone per tutta risposta quelli che sembravano mini-tutorial su come l’Ad Tech funziona non solo a Facebook, ma un po’ dappertutto. Alcuni senatori si davano l’aria scandalizzata e sorpresa, ma, come dicono da queste parti, “One dollar short, one minute late, senator”, troppo poco e troppo tardi.
Altre domande hanno fatto riferimento a come contrastare l’hate speech su FB. Senator Ted Cruz ha tirato acqua al mulino del Tea Party chiedendo a Zuck come mai un po’ di cagate superconservatrici siano state rimosse dai zelanti admin di Facebook negli anni. La domanda aveva un certo interesse in generale. In fondo, quali sono i confini della libertà di parola? Mark ha risposto confondendo le acque. In fondo è meglio così. Si parlava d’altro. Ha parlato di terrorismo, di ISIS e della sua definizione di hate speech. Un piccolo esercito di reviewer presidia i contenuti. Coadiuvati dal feedback degli utenti, ma anche dagli sforzi di IA per identificare forum terroristi. Come evitare che FB sia utile per le interferenze russe nelle elezioni. Nulla di nuovo. Tutte discussioni che evitano il punto vero e che in fondo a Mark facevano comodo. Non c’è niente di meglio che rispondere a domande sul proprio operato quando si sa di non aver fatto niente di male, stringendo la spazio a domande imbarazzanti.
Le domande più interessanti sono state quelle che hanno portato Zuck a guardare la realtà. Il suo giochino che “connette le persone” può avere conseguenze grandi. Non è un giochino. E’ uno strumento che può impattare la vita delle persone in modo significativo e neanche Zuckerberg lo disconosce.
Di interesse le domande intorno al GDPR, la legge europea che entrerà in azione a maggio, per proteggere i dati personali. Una senatrice incalza: “Dovremmo fare nostra la stessa legislazione che hanno creato gli europei?”. Zuck ha ammesso che ci sono cose buone in quella legge, anche se non si è spinto a dire che andrebbe adottata anche in USA così com’è. Secondo lui occorre migliorare la situazione in modo da dare agli utenti più controllo della loro privacy, ma avvisa anche che leggi troppo dure potrebbero finire per dare un vantaggio ad altri paesi (ad esempio la Cina) che sarebbero capaci di fare progressi tecnologici senza essere bloccati da regole troppo restrittive (e su questa considerazione di Zuck ci sarebbe da commentare molto, ma non divaghiamo).
Questo Zuck, tutto sommato, ne è uscito come un bravo ragazzo. E probabilmente lo è. Un bravo ragazzo che, giocando al piccolo chimico, ha finito per creare una specie di bomba atomica cognitiva…ma non è l’unico. Il focus sul data breach e sulla privacy degli utenti dimostra che anche i senatori americani faticano a capire il nuovo mondo digitale in cui viviamo e soprattutto il potere dei big data e dell’Intelligenza Artificiale. Eppure è un problema di portata enorme perché queste tecnologie dimostrano che le assunzioni su cui basiamo le nostre democrazie non sono più solide come diamo per scontato.