Una delle ragioni per cui papa Francesco I – al secolo Jorge Mario Bergoglio – in questi cinque anni di Pontificato si è attirato le antipatie degli ambienti più conservatori e destrorsi dell’opinione pubblica è certamente la sua tenacia nel difendere il valore della solidarietà verso una delle categorie più deboli, emarginate ed attaccate del nostro tempo: i migranti. Non è un mistero che il tema della crisi migratoria sia stato investito, soprattutto negli ultimi anni, da una violenta ondata ideologica, al punto da diventare uno dei principali argomenti su cui si è giocata la campagna elettorale (e non solo in Italia). Nessuno stupore, insomma, se, ad alcuni, le dichiarazioni di papa Francesco, i suoi appelli a favore dell’accoglienza e i gesti fortemente simbolici, come l’aver effettuato la lavanda dei piedi a migranti (anche musulmani) o l’aver scelto come meta del suo primo viaggio apostolico Lampedusa, abbiano suscitato diversi mal di pancia. E lo stesso Santo Padre se ne deve essere accorto, se poi, lo scorso novembre, ha deciso di rimodulare le posizioni espresse fino ad allora, ammettendo che anche l’accoglienza ha dei “limiti”: limiti, ha detto, “consentiti dal bene comune rettamente inteso”, di cui i governanti devono tenere conto, “per non essere come il costruttore stolto che fece male i calcoli e non riuscì a completare la torre che aveva cominciato a edificare”.
Ad ogni modo, visti i precedenti, non ci si stupirà certamente se l’ultima esortazione apostolica di Bergoglio, Gaudete et Exsultate, risulterà, come altre sue iniziative, divisiva anche tra i cattolici, che, proprio sul tema dei migranti, non si mostrano poi così uniti nel voler accogliere il messaggio di solidarietà del Vangelo. Al punto che, proprio sul Vangelo, ha giurato strategicamente, a fine campagna elettorale, Matteo Salvini, il politico ad oggi più aggressivo sul tema dell’accoglienza, riscuotendo consensi anche tra i fedeli. Per non parlare, poi, della notizia, recentemente uscita, a proposito di un prete che si sarebbe rifiutato di fare la lavanda dei piedi a degli extracomunitari, sintomatica di un atteggiamento, diffuso anche tra gli uomini di fede, non esattamente ben disposto verso gli stranieri. Ancora più significativo, in questo contesto, il fatto che l’ultimo documento papale – 106 pagine «sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo» – presenti un’intera sezione dedicata proprio al tema dell’accoglienza. Partendo innanzitutto da una domanda: «Come si fa per arrivare ad essere un buon cristiano?».

Perché la santità, al giorno d’oggi – scrive il Papa – è anche il coraggio di andare controcorrente rispetto alla violenza, anche quella verbale, diffusa su internet o sui mass media; controcorrente, aggiunge, rispetto al «consumismo edonista» di chi tratta un clochard al pari di un «fagotto» o di un fastidio, più che come una persona a cui restituire dignità. Si tratta, dunque, di contrastare la miseria, l’abbandono, l’esclusione, la tratta di persone, l’eutanasia nascosta dei malati e degli anziani privati di cura, le nuove forme di schiavitù. Ed è proprio in questo contesto, quello dell’emarginazione a tutto tondo, che il Pontefice fa riferimento ai migranti. E lo fa, anche, con una innegabile vis polemica, visto che, scrive, «alcuni cattolici affermano che è un tema secondario rispetto ai temi ‘seri’ della bioetica». Per il Pontefice, chiaramente, le cose non stanno così: parlare di accoglienza e solidarietà non è secondario rispetto all’affrontare i grandi temi etici dell’aborto o dell’eutanasia. “Che dica cose simili un politico preoccupato per i suoi successi si può comprendere, ma non un cristiano, a cui si addice solo l’atteggiamento di mettersi nei panni di quel fratello che rischia la vita per dare un futuro ai suoi figli”, è l’affondo del Santo Padre.
Questo tipo di santità descritta da Francesco è dunque lontano dall’errore «nocivo e ideologico» di «quanti vivono diffidando dell’impegno sociale degli altri, considerandolo qualcosa di superficiale, mondano, secolarizzato, immanentista, comunista, populista». Scelta di vocaboli tutt’altro che scontata, e che denota ancora una volta il piglio “politico” che, in qualche modo, ha fino ad ora caratterizzato il Pontefice. Spesso accusato – dall’ala più conservatrice e di destra – di simpatizzare per il comunismo (si ricordi la croce con falce e martello donatagli da Raul Castro), e in qualche modo da quell’ambiente inserito, più o meno implicitamente, tra le personalità accusate di “radical-chiccheria” nelle loro istanze di difesa di un certo tipo di globalismo solidale – o di solidarietà globale -, sempre più criticate dagli strenui difensori della sovranità e dei confini a tutti i costi. Il santo è tale perché, afferma Francesco, segue l’insegnamento di Gesù in tema di Beatitudini: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi». Difesa dei diritti umani e della solidarietà, dunque, prima di tutto e nonostante tutto. Una chiara scelta di campo, destinata certamente – visto il clima politico e sociale – a far discutere.