
Era da giorni che notiziari, telegiornali e quotidiani online parlavano ossessivamente di Burion, la perturbazione che avrebbe abbattuto sullo Stivale – e in particolare sulla sua parte centrale – quantità indefinite di neve e tanto, tanto freddo. Temperature artiche, ripetevano, ghiaccio, neve e chissà cos’altro: innanzitutto disagi in grande quantità. Soprattutto nella bella e impossibile Capitale d’Italia. Sì, perché quando a Roma piove la città spronfonda nel caos: figurarsi le rare volte in cui nevica.
Per quanto riguarda me, dopo aver provato sulla mia pelle – particolarmente sensibile al freddo – il rigidissimo inverno newyorkese appena trascorso, non nutrivo particolare preoccupazione per le temperatura in picchiata: dopo essere sopravvissuta ai -20 gradi della Grande Mela, mi dicevo, sono pronta a tutto, a maggior ragione a quel paio di gradi sottozero, al massimo, che avrebbero “congelato” la Capitale. Quello che temevo, e con me la gran parte dei romani, non era tanto Burion, quanto il suo impatto sul già precario sistema di trasporti e servizi della città più bella del mondo. Perché, come i tanti pendolari romani potranno indiscutibilmente confermare, già nella più classica giornata soleggiata romana, la filosofia è: sai quando parti, non sai quando arrivi e tantomeno quando torni. Sono pochi quelli che ancora consultano l’orario degli autobus, a Roma. La tecnica, di solito, è quella di recarsi alla fermata, e cominciare a sperare. Sperare che non sia uno di quei giorni (tanti) in cui un mezzo si rompe, un altro cumula ritardi inenarrabili e un altro ancora, proprio, sparisce nel nulla. E magari ci sono pure i No Vax che manifestano e intere zone di Roma vengono interdette al traffico.

E se è questa la classica avventura che il romano tipo deve affrontare in una giornata tipo, figuratevi voi quando nevica. Tanto più che la neve, a Roma, è un fenomeno straordinario, quasi alieno, al quale la macchina amministrativa (già di norma abituata agli intoppi) non sa bene come reagire. New York, in questo senso, è un altro pianeta, anzi, un altro universo: 20 cm di neve per strada, freddo artico, vento che ti taglia l’epidermide come un coltello affilato, e la Grande Mela non si ferma. Continua, imperterrita, nelle proprie attività: la gente va al lavoro, i bambini e ragazzi (salvo rari casi) vanno a scuola, i pendolari prendono l’autobus, che arriva al massimo con qualche minuto di ritardo, e per strada i newyorkesi sostengono il solito ritmo atletico di camminata, incuranti delle lastre di ghiaccio – su cui si muovono in perfetto e imperturbabile equilibrio – che si stendono sotto le loro scarpe. Scarpe che, addirittura, in alcuni casi hanno tacchi di venti centimentri o sono aperte davanti, senza che chi le indossa mostri alcun cenno di sofferenza o cedimento. A Roma, con 1 cm di neve per strada, è subito “The Day After Tomorrow”.


Inizio con lo sconfessare subito l’immagine che chi non è stato nella Capitale in questi giorni potrebbe

erroneamente essersi formato nella propria testa, a furia di parlare di emergenza: la nevicata c’è stata, ma le strade sono rimaste imbiancate giusto per qualche ora. Da metà mattina, infatti, è spuntato un bel sole, che ha cominciato a sciogliere la neve depositatasi per terra. Al massimo, il freddo della sera ha formato ghiaccio sui marciapiedi, mettendo a serio rischio, insieme alle classiche buche e alle tante radici scoperte che caratterizzano le strade romane, la salute già di norma precaria dei passanti. Ma girando per il centro città verso ora di pranzo, di neve in giro ne era già rimasta ben poca: alla faccia del maltempo. In compenso, i disagi erano appena iniziati. Dalle prime ore del mattino, infatti, la circolazione dei mezzi di superficie era decisamente limitata, tanto che era consigliabile muoversi in metro. Attenzione: non siamo a New York, dove con la metropolitana (che pure – ammettiamolo – ha i suoi problemi) si arriva dappertutto. Ampi settori di Roma, con la metro, non sono raggiungibili, e il tentativo di costruire una terza linea – la C – per collegare la periferia Est della città alla parte centrale si è arenato a poco più di metà percorso, senza neanche riuscire ancora a incrociare la linea A alla fermata San Giovanni. Obiettivo che, giuravano a fine settembre, sarebbe stato raggiunto al massimo il mese successivo. Nel frattempo, il Campidoglio si affannava a rassicurare la cittadinanza pubblicando note e post su Facebook che avvertivano dell’attività di spazzaneve, mezzi spargisale e quant’altro.
Il peggio, però, doveva ancora arrivare. Perché quella nevicata tutto sommato modesta – perlomeno per chi ne abbia mai vista una vera – è riuscita mandare totalmente in tilt i treni, anche ad alta velocità, di passaggio a Roma. Alla stazione Termini si possono ammirare, da ieri mattina, file interminabili di passeggeri che hanno avuto il proprio treno cancellato, oppure che attendono pazientemente di poter partire nonostante ritardi accumulati di 200, 300, 400 minuti. Chi scrive avrebbe dovuto trovarsi a Milano da questa mattina, il “day after” per intenderci, se solo il suo treno non fosse stato depennato dal tabellone per i disagi alla circolazione. E solo per capire come sbloccare la situazione è stata una autentica odissea.
Per l’occasione, Trenitalia ha infatti predisposto un numero verde. Questa mattina, dopo aver appreso, dal sito, della cancellazione del mio treno, mi sono illusa per qualche istante di poter usufruire del servizio, salvo poi restare in linea, in attesa di una risposta, per ben 47 minuti e 6 secondi. Un’altro tentativo è durato più di un’ora. A quel punto, la musichetta in loop e la voce registrata che invitava a “rimanere in linea per non perdere la priorità accumulata” era riuscita a provocarmi un numero sufficiente di istinti suicidi per decidere di riattaccare. Così, mi sono recata personalmente in stazione, a Tiburtina, con l’intenzione di rivolgermi al personale in biglietteria e la speranza di evitare la coda interminabile di Termini. Peccato che in quella stazione la biglietteria fosse chiusa. Sì, avete capito bene: chiusa, senza un motivo, nel pieno dell’emergenza, con i passeggeri giustamente disorientati. A quel punto, mi sono spostata a Termini, e, non appena giunta, i miei timori sono stati confermati: la coda partiva dalla biglietteria e terminava, praticamente, all’entrata della stazione che dà su Piazza dei Cinquecento. Un autentico incubo.

Dopo un’attesa interminabile, mi sono resa conto che, di quel passo, non avrei mai cavato un ragno dal buco. Così, mi sono rivolta a un operatore dell’assistenza clienti in servizio in stazione, nella speranza di trovare una via d’uscita. Via d’uscita che ancora adesso, in realtà, non sono certa di aver scovato: perché mi è stato detto di non farmi rimborsare il biglietto inutilizzato, né di avventurarmi a proseguire la coda nel tentativo di prenotare un altro viaggio; semplicemente, mi è stato consigliato di saltare su un treno qualsiasi diretto a Milano con il mio vecchio biglietto. Così, in scioltezza. Ed è proprio questo che tenterò di fare domani mattina, sperando che la Fortuna mi assista, e che Roma, all’alba di un nuovo giorno (di sole), sia più clemente di quanto non lo sia stata nei due precedenti.