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Caso Oshegale: su Pamela un’indagine attenta, e lo spettro del muro contro muro

Il Gip ha convalidato il fermo di Innocent Oshegale, ma non per l'omicidio di Pamela Mastropietro, provocando polemiche incrociate

Fabio CammalleribyFabio Cammalleri
Caso Oshegale: su Pamela un’indagine attenta, e lo spettro del muro contro muro

Pamela Mastropietro, la ragazza uccisa a Macerata

Time: 3 mins read

Il Gip di Macerata ha convalidato il fermo di Innocent Oshegale, ma non per l’omicidio di Pamela Mastropietro: per occultamento e vilipendio del suo cadavere.

Riassumiamo. La vittima, diciotto anni, tra il 29 e il 30 Gennaio scorso, avrebbe incontrato a Macerata un certo numero di persone, non ancora precisato. Certamente l’uomo cinquantenne, con cui la ragazza si sarebbe fermata, il 29, il giorno stesso in cui era fuggita da una vicina comunità di recupero per tossicodipendenti; e il tassista peruviano, che l’avrebbe accompagnata ai giardini Diaz, in cui incontra Oshegale. Fra queste altre persone, gli investigatori suppongono ce ne sia un’altra ancora, di 29 anni, cittadino nigeriano come Oshegale, indiziato di avere ceduto sostanza stupefacente a Pamela.

Il giudice ha ritenuto che, come si dice, “allo stato”, non vi siano indizi sufficienti per affermare che o il solo Oshegale, o questi insieme all’altra persona sottoposta a indagine per la cessione di stupefacente, possano aver prima ucciso Pamela e poi sezionato il suo cadavere. Il dubbio é che, assunta la sostanza stupefacente, la povera ragazza sia morta per overdose, e che, solo dopo, il suo cadavere potrebbe esser stato malamente martoriato. Questo perché sembra che il mero esame autoptico non abbia offerto risultati univoci. Così é stato disposto un più pertinente esame tossicologico.

In questo quadro, ovviamente in evoluzione, si spiegherebbero tutti gli altri indizi: il rinvenimento, nell’appartamento abitato da Oshegale, degli indumenti insanguinati della vittima; delle varie armi da taglio, due grossi coltelli e una mannaia; di alcuni contenitori di candeggina, che potrebbe essere stata usata per cancellare tracce di sangue; dello scontrino di un acquisto in farmacia, compiuto poco prima della morte da Pamela, secondo le prime visioni delle telecamere, proprio in compagnia di Oshegele.

Sulla scorta di queste notizie, la decisione di non convalidare il fermo anche per l’ipotesi di omicidio, appare inappuntabile. S’intende, che se l’esame tossicologico dovesse essere in grado di escludere la morte per overdose, la lettura complessiva degli altri indizi, verosimilmente, si aggraverebbe in direzione dell’omicidio. Ma, visto che nessuno ancora lo sa, si ripete, si deve ribadire che questo é il giusto e civile modo di procedere: prima le prove, dopo le responsabilità. Non il contrario. E, ad ogni precisa responsabilità, la sua prova.

Ma questa tristissima vicenda, come sappiamo, é ancora più oscura di così. Per via di Luca Traini, l’uomo che, dopo aver corso la città sparando contro persone di colore, elette a bersaglio ranbom, purché fossero tali (sei colpiti, e altri cinque mancati), è ora in custodia cautelare, accusato di strage, aggravata dalla “finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale, o religioso” come recita la norma. Avrebbe dichiarato che ha agito per “vendicare”: perché  “...ho sentito alla radio che parlavano di nuovo del male fatto a Pamela da quel nigeriano, e in quel momento non ci ho visto più…Volevo ucciderli tutti”.

I due piani, quello della cronaca e quello socio-politico sono connessi. Ma si ha l’impressione che si tratti solo di una connessione deteriore, di una connessione pretestuosa. Che si invochi “a prescindere”.

Se Pamela risultasse morta per overdose, la simmetria della “vendetta”, della specie “rappresaglia” (per un morto dei “nostri”, molti dei “loro”), si riterrebbe interrotta? Credo, temo, di no. Perché? Perché la “vendetta”, il “noi, loro”, come si sa, hanno bocca buona. L’avere infierito in modo tanto truce e disumano su un cadavere, sarebbe comunque assunto a presupposto sufficientemente motivante della deriva psico-politica.

Tutto sta a non vellicare certi appetiti, ecco il punto. Quali? Trainiè stato candidato con la Lega alle amministrative 2017, e risulterebbe abbia tenuto a casa una copia del Mein Kampf, una bandiera con croce celtica, e varie pubblicazioni ritenute di estrema destra. E questo, é certamente un pessimo appetito. E qui vellica Salvini. Che nulla sa delle armi del Traini in carne ed ossa, ma molto delle suggestioni farneticanti di tanti potenziali Traini.

Ma mettere, senza altre mediazioni, senza altre ragioni, chiunque nutrisse una posizione critica, ed anche intensamente critica, verso la  questione migratoria, di fronte alle pallottole di Traini, sarebbe interpretazione precipitosa. Sarebbe un modo scivoloso di confondere la parola con la pistola. E qui vellica Saviano, che dà a Salvini del ”mandante morale”. Altri brutti appetiti. E, data la formulazione iconica, a Salvini, sembra voler accomunare molti milioni di persone che non sparano, nè mai sparerebbero ma, più o meno erroneamente, temono e si incupiscono.

Rimane invece sempre possibile distinguere, rifuggire facili appetiti: possibile e doveroso. Accostare una semplificazione ad un’altra, fronteggiare un rancore, insinuando suggestioni che sovraeccitano a loro volta, che fomentano l’irrazionale, accantonano il razionale, significa avviarsi verso una condizione in cui uno o undici, diventano numeri irrisori: una condizione in cui l’odio del muro contro muro, fanno contare non le unità, ma le migliaia, le centinaia di migliaia, le infinite moltitudini. Quello che é già accaduto, può sempre ripetersi: basta ignorarlo. Qualche prova di regresso storico, cruenta e diffusa la sua parte, l’abbiamo già fatta durante gli anni ’70.

Bisogna parlare sempre: e non stancarsi mai di cercare la precisione, il reale, con i suoi esatti limiti, chiarirsi e chiarire se c’è questo e non quello.

Bisogna sempre distinguere. Il provvedimento del giudice di Macerata, per una volta, insegna questo.

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Fabio Cammalleri

Fabio Cammalleri

Il potere di giudicare e condannare una persona è, semplicemente, il potere. Niente può eguagliare la forza ambigua di un uomo che chiude in galera un altro uomo. E niente come questa forza tende ad esorbitare. Così, il potere sulla pena, nata parte di un tutto, si fa tutto. Per tutti. Da avvocato, negli anni, temo di aver capito che, per fronteggiare un simile disordine, in Italia non basti più la buona volontà: i penalisti, i garantisti, cioè, una parte. Forse bisognerebbe spogliarsi di ogni parzialità, rendendosi semplicemente uomini. Memore del fatto che Gesù e Socrate, imputati e giudicati rei, si compirono senza scrivere una riga, mi rivolgo alla pagina con cautela. Con me c’è Silvia e, con noi, Francesco e Armida, i nostri gemelli.

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