Un anno fa, dopo l’elezione di Trump e prima del suo giuramento, David Ignatius ,uno dei più prestigiosi opinionisti del Washington Post, scrisse un articolo dal titolo provocatorio: Donald Trump is the American Machiavelli.
Dubito che oggi scriverebbe le stesse cose sotto lo stesso titolo. Ma se, paradossalmente, presentasse l’articolo come saggio finale per il mio corso su Machiavelli alla New York University, non avrei altra scelta che bocciarlo. Anche alla luce delle rivelazioni del best seller The Fire and the Fury, il libro del giornalista di destra Michael Wolff che sta facendo tremare la Casa Bianca, risulta sempre più chiaro che Trump non ha né la lucidità di giudizio, né la profondità di analisi, né l’intuito politico, né il sublime uso della lingua del Segretario Fiorentino; forse lo può ricordare solo un po’ per la spregiudicatezza espressiva.
Da 20 anni tengo corsi su Machiavelli per gli studenti della New York University e tutte le volte resto colpito dal fascino che, dopo cinque secoli, il Segretario fiorentino continua ad esercitare su questa folla di ragazze e ragazzi provenienti da tutto il mondo coi jeans strappati sulle ginocchia e gli occhi perennemente incollati agli schermi dei loro aggeggi elettronici. Si iscrivono al mio corso per i motivi più disparati: alcuni sono fans di Tupac Shakur, il rapper maudit ucciso da un colpo di pistola nel 1996 che pubblicò il suo ultimo album col nome d’arte, Makaveli, che si era dato dopo aver letto Il Principe nella biblioteca del carcere. Altri sono fans del videogioco Assassin’s Creed in cui Machiavelli appare come consigliere del protagonista Ezio e gli dà i consigli necessari per uccidere il maggior numero di nemici. La maggior parte, però, viene alle mie lezioni attratta dalla cattiva fama di quel ragazzaccio fiorentino che rivoluzionò la filosofia politica con l’ambizione di farla diventare scienza.
L’ambizione del mio corso, invece, è, più modestamente, quella di sfatare tutti i miti negativi che, soprattutto nel modo anglosassone, fanno sì che tuttora l’aggettivo ‘machiavellian’ sia riferito a personaggi che agiscono con astuzia, doppiezza o malafede. Come dico ai miei studenti, non sono l’avvocato d’ufficio di Niccolò, che non ne ha bisogno, ma dobbiamo essere consapevoli del fatto che, ironia della sorte per un anticlericale/agnostico come lui, Machiavelli fu la prima vittima delle guerre di religione che iniziarono subito dopo la sua morte. Per i protestanti egli era l’antesignano delle manipolazioni gesuitiche sulle corti d’Europa e l’ispiratore occulto di Caterina de Medici, ritenuta vera mandante della strage di s. Bartolomeo (avvenuta una quarantina d’anni dopo la morte del povero Niccolò…), mentre per i cattolici egli era il precursore della spietata critica alla corruzione del papato e del clero che fu uno dei cavalli di battaglia dell’inarrestabile onda protestante. Questo strano destino fece sì che Machiavelli fosse giudicato in tutta Europa prima sulla base degli scritti dei suoi detrattori e solo successivamente su quello che egli stesso aveva realmente detto.
Proprio per questo invito i miei studenti a non cadere nella tentazione di lanciarsi in confronti un po’ semplicistici con personaggi politici contemporanei, concedendo come unica eccezione la discussione del machiavellismo fallito di Richard Nixon che citava regolarmente il Segretario e che, apparentemente, portava sempre con sé una copia del Principe.
Riflettendo in questi giorni sulle preoccupanti rivelazioni di Wolff sull’amministrazione Trump e sulla sua brillante definizione del ‘disordine esecutivo’ che la domina, non ho resistito e sono caduto nella tentazione da cui cerco di salvare i miei studenti. Machiavelli ammonisce il Principe ad usare la massima cautela nella scelta dei suoi consiglieri e Trump ne ha già licenziati una mezza dozzina, alcuni addirittura scortati a forza dagli agenti dei servizi segreti fuori dai loro uffici. Quasi tutti gli si sono rivoltati contro, come l’orrido Steve Bannon, forse il principale ispiratore di Wolff. Machiavelli consiglia al principe di guardarsi dagli adulatori, mentre Trump ama circondarsi esclusivamente di gente che lo loda incessantemente e acriticamente. Machiavelli suggerisce al principe di cercare di essere temuto più che amato, ma lo mette in guardia dal pericolo di essere odiato, mentre Trump sembra non curarsi dell’odio che certi suoi provvedimenti e affermazioni gli attirano da intere fasce della popolazione. Machiavelli cesellava ogni sua frase come un gioiello prezioso ma senza fronzoli: la sua prosa sublime era un riflesso della chiarezza del suo pensiero. I tweet di Trump non raggiungono il livello di competenza linguistica che negli Usa ci si aspetta da un bambino di terza elementare.
Con buona pace del Washington Post e di qualunque considerazione moralistica, Trump continua a rivelarsi l’opposto dell’ideale di leader tratteggiato da Machiavelli. Forse qualche suo amico potrebbe suggerirgli di leggerselo attentamente, ma credo sia troppo tardi e, data la sua capacità di concentrazione, dubito comunque che andrebbe oltre i primi 140 caratteri, spazi inclusi, ovviamente.